mercoledì 29 dicembre 2010

Meglio Dzeko di Gilardino

La Juventus ha il miglior attacco del campionato, ma aspetta il mercato di gennaio per comprare un nuovo centravanti. La cosa può sembrare illogica, ma in realtà non lo è, in quanto i bianconeri hanno bisogno di una punta di sfondamento per completare la rosa. Iaquinta è generoso, forse troppo, ma è poco preciso sotto porta ed è chiaro che Quagliarella potrebbe anche avere un calo fisiologico. Oltre alla coppia di italiani c'è Amauri, l'oriundo però non vive un periodo facile ed è probabile che finisca sul mercato.

Tra i tanti nomi che sono circolati ne ricordo tre su tutti: Benzema (Mourinho non lo lascia andare), Dzeko e Gilardino. Il centravanti della Fiorentina è dato come favorito, ma da tifoso la cosa non mi entusiasma. L'ex attaccante del Milan è una delle migliori prime punte italiane, però ha anche degli evidenti limiti tecnici e caratteriali. Non sono sicuro che possa aiutare il club a fare quel famoso salto di qualità di cui si sente parlare da mesi. Da juventino spero nell'arrivo di Dzeko perché è capace di fare reparto da solo, sembra avere più carattere e difende meglio la palla rispetto al Gila. Il costo del cartellino sembra essere un ostacolo insormontabile, ma l'affare Krasic ha mostrato che è sempre meglio puntare al top.

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lunedì 27 dicembre 2010

Se Di Pietro fa il Berlusconi..

Luigi De Magistris ha denunciato la disorganizzazione che regna nell'Italia dei Valori. L'improvvisa conversione di Razzi e Scilipoti è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, anche se bastava ascoltare questi due ex dipietristi per capire che qualcosa non funzionava. La lettera scritta dall'europarlamentare, Sonia Alfano e da Giulio Cavalli, ha messo in discussione i criteri adottati dall'IDV per selezionare la classe politica. Il problema è noto da tempo e, in una certa misura, anche il Porcellum di Calderoli ha alimentato questo deriva perché ha conferito un potere spropositato ai capi partito. Nel caso di Scilipoti si narra che Di Pietro lo scelse durante un'assemblea perché il valoroso agopuntore era il più agitato tra gli antiberlusconiani, ed è superfluo rimarcare che in tutto ciò non si veda alcuna traccia di meritocrazia. 

Se questo aneddoto fosse vero si potrebbero dedurre alcune cose. Per esempio che Di Pietro non  sembra essere molto furbo nel selezionare i politici e dovrebbe iniziare ad adottare dei criteri collegiali e trasparenti, in modo da premiare la professionalità e la competenza, a discapito della demagogia e della simpatia. Ad ogni modo bisogna ricordare che la reazione di Di Pietro alle critiche è stata sbagliata perché ha detto che De Magistris vuole fargli le scarpe, esattamente quello che Berlusconi diceva di Fini. Se Di Pietro si arrocca su queste posizioni fa una figura misera e danneggerà il suo movimento politico. 

L'altro aspetto è legato alla porcata che andrebbe cambiata per togliere potere alle segreterie di partito, anche se, senza un cambiamento culturale, non sarà una condizione sufficiente a risolvere definitivamente il problema. Nell'attuale Parlamento c'è un numero consistente di deputati e senatori che hanno cambiato partito. Questo fatto ha portato alcuni incauti onorevoli a dichiarare che la fedeltà e la riconoscenza sono dei valori (per il parlamentare si intende). Ma il male dei vassalli / servi in politica resta, perché infatti non si può accettare che qualche parlamentare metta fedeltà e riconoscenza (due cose che in politica hanno un'importanza secondaria!) davanti alle idee e ai contenuti. Ricordiamo che in Italia non esiste un vincolo di mandato proprio perché il parlamentare ha la libertà di cambiare idea (l'essere è mutevole) o, molto più semplicemente, perché durante l'incarico potrebbero emergere delle nuove criticità che creano delle forti divergenze tra persone che erano state elette con lo stesso partito. E' vero che questa libertà poi legittima i Razzi e gli Scilipoti, ma è un rischio da accettare. E' compito dei partiti adottare meccanismi adeguati per la selezione della classe politica.

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domenica 26 dicembre 2010

Nuovi allenatori, ora nuova disciplina. L'Inter da Benitez a Leonardo

L'avventura di Benitez è finita con una risoluzione consensuale del contratto. Il bilancio dell'allenatore spagnolo è sostanzialmente negativo perché la squadra ha perso troppe partite, in campionato ora ha 13 punti da recuperare sul Milan che potrebbero diventare 7 se i nerazzurri dovessero ottenere due vittorie nei recuperi con Cesena e Fiorentina. In Champions l'Inter non ha impressionato e ha smesso di giocare dopo il fantastico primo tempo disputato con il Tottenham a San Siro. L'ottavo col Bayern non sarà una passeggiata, ma i bavaresi stanno disputando una stagione fin qui anonima e affidano le loro speranze a Robben, che rientrerà da un fastidioso infortunio. In definitiva Benitez porta a casa due trofei cui l'Inter ha partecipato grazie alle vittorie della passata stagione. E' chiaro che i suoi meriti sono limitati, ma questo non toglie alcuna responsabilità a giocatori e dirigenti. L'atteggiamento del gruppo è stato irritante, penso ad esempio al comportamento di Chivu nel match giocato all'Olimpico con la Roma o a quello di Maicon nell'incontro con la Juventus. L'allenatore non ha avuto il rispetto che si meritava e l'anomalia di Moratti (e degli interisti che esaltano questo Presidente) sta nel non capire un concetto chiave: una volta che la dirigenza sceglie un tecnico questo, fin dal primo minuto, deve avere il sostegno di tutti componenti della società. Sapevamo tutti che Benitez non sarebbe stato un sergente di ferro alla Mourinho, ma è implicito che qualunque allenatore, per poter esprimere le sue idee, deve contare sull'appoggio della società. Moratti ha preferito i giocatori a Benitez. Forse sarà anche giusto per un fantomatico debito di riconoscenza, ma in questo modo si è mandato un signor allenatore al macello e ora i nerazzurri sono costretti a recuperare.

L'arrivo di Leonardo può rappresentare un'inversione se cambia il rapporto tra allenatore, dirigenti e squadra. Moratti deve capire che, per provare a rivincere, deve fare blocco unico col nuovo mister per far capire ai giocatori che la società appoggia la nuova linea. Se così non sarà allora rivedremo scene patetiche come la pagliacciata che Materazzi ha orchestrato durante la premiazione del Mondiale per Club. Una società seria e autoritaria non dovrebbe accettare simili comportamenti.

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domenica 19 dicembre 2010

L'Inter sul tetto del mondo e Benitez si toglie qualche macigno dalle scarpe

Il Mazembe si è sciolto come neve al sole e, in onore alla tradizionale discontinuità del calcio africano, ha fatto una misera figura contro l'Inter. I nerazzurri salgono sul tetto del mondo e se è vero che in questa competizione hanno affrontato due squadre da Lega Pro Italiana (ad esser generosi..), non va dimenticato il cammino affrontato durante la scorsa stagione nella Champions League. L'Inter di Mourinho ha vinto una Coppa Campioni eliminando Chelsea, Barcellona e Bayern Monaco, ovvero le squadre che hanno vinto Premier League, Liga e Bundesliga. Il Mondiale per Club giunge quindi come ciliegina sulla torta e 5 trofei vinti in 7 mesi rappresentano un trionfo senza precedenti nella storia del calcio italiano. Se non sbaglio nel 2003 e nel 2007 il Milan si fermò a tre.

Oltre all'aspetto sportivo c'è anche da discutere sulle parole di Benitez. Sul Corriere Sconcerti ha criticato il tecnico spagnolo perché secondo lui non doveva rovinare la festa e rinfacciare i problemi in questo momento. Personalmente credo invece che Benitez ha fatto benissimo per diverse motivi. In primo luogo perché Moratti non ha fatto il mercato, ha puntato tutto su una rosa logora in cui, tra l'altro, non è più presente il talento più cristallino del calcio italiano. Balotelli avrà pure un caratteraccio, ma di certo sarebbe servito come il pane all'Inter attuale. La questione degli infortuni può avere cause molteplici. Per alcuni è colpa di Benitez, ma prima di criticare i metodi di preparazione del tecnico spagnolo bisogna anche conoscere lo stato di salute che avevano gli atleti dopo due anni di cura Mourinho. Quindi questo punto, considerato dalla stampa come una pecca di Benitez, in realtà è ambiguo e la responsabilità non può essere unica. Ma il vero motivo per cui Benitez ha approfittato del trionfo per sfogarsi è legato ai rapporti tra dirigenza, staff tecnico e giocatori. In questi mesi se sono viste di tutti i colori: Eto'o che decide di non giocare in alcuni ruoli, Chivu che manda al diavolo l'allenatore durante la gara dell'Olimpico con la Roma, Maicon che dà di matto in più di un'occasione (con la Juve). Insomma i nerazzurri hanno spesso i nervi fuori controllo e mostrano un atteggiamento irrispettoso nei confronti dell'allenatore spagnolo. Di base si può dire che Benitez non ha l'autorità di Mourinho e quindi è colpa sua, ma se l'allenatore non alza la voce, non fa il sergente di ferro e ha un carattere amichevole, allora la società ha il dovere morale di ricordare ai giocatori che devono portargli rispetto. Insomma, nell'Inter di Moratti il problema di fondo è rappresentato da una dirigenza dal comportamento ambiguo perché dovrebbe conferire autorità all'allenatore (difendendolo e schierandosi dalla sua parte), mentre troppo spesso si ha l'impressione che il Presidente sia troppo riconoscente verso i giocatori e finisce per togliere autorità a Benitez. Mourinho sapeva ovviare a questo storico difetto di Moratti, mentre gli altri 14 allenatori che ha avuto l'Inter non hanno questa capacità.

P.S. la lista dei 14 comprende: Ottavio Bianchi, Luis Suarez, Roy Hodgson, Luciano Castellini, Gigi Simoni, Mircea Lucescu, Luciano Castellini (2), Roy Hodgson (2), Marcello Lippi, Marco Tardelli, Hector Cuper, Roberto Mancini, Rafael Benitez.

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sabato 18 dicembre 2010

Per il futuro dell'Italia non serve un Governo autoreferenziale senza idee

Mentre Berlusconi continua la sua personalissima campagna acquisti, il mondo va avanti. Se avessimo un Governo decente, la crisi economica sarebbe l'unico tema rilevante e l'azione dell'esecutivo dovrebbe derivare da un'attenta analisi della situazione attuale, individuando un'idea di Italia capace di risultare vincente nel lungo periodo. Il prestigio dell'Italia nel mondo non si misura contando le pacche sulle spalle che il nostro Presidente del Consiglio dà a Putin, ma valutando la competitività e il livello di innovazione delle nostre aziende. Il paese non può perciò essere visto come un insieme di realtà in conflitto tra loro per ottenere le risorse pubbliche (giovani contro anziani, lavoratori dipendenti contro autonomi, italiani contro extracomunitari, ecc..), ma come un sistema ricco di interconnessioni in cui il livello di benessere è legato alla coesione sociale, alla capacità innovativa delle aziende e al livello qualitativo di alcuni servizi fondamentali. Il Governo sta fallendo su tutta la linea, ma preme sottolineare che i disinvestimenti nella scuola, nell'università, nel trasporto pubblico e nella giustizia (le riforme di cui si parla servono a salvare il Cavaliere dai processi, non risolvono i problemi veri), avranno un impatto molto forte sul futuro dell'Italia e sulla qualità della vita degli italiani. Il Governo che sogno dovrebbe innanzitutto cambiare approccio ai problemi, non più un atteggiamento tattico per la sopravvivenza nel breve periodo, ma un piano strategico per rafforzare i fattori critici di successo nel lungo periodo. La scuola e l'università sono un passaggio obbligato per sognare un futuro migliore, sono la base per installare quell'ascensore sociale che manca al paese. Nella sua relazione al Parlamento l'on. De Girolamo (PdL) ha detto che il figlio dell'operaio deve avere la possibilità di fare il notaio. Tutto molto bucolico a parole, ma poi se guardiamo la realtà dei fatti, vediamo che il Governo taglia gli investimenti nell'istruzione e riduce al lumicino le speranze di avere una vera meritocrazia.

Con Berlusconi, Bossi e il sopravvalutato Tremonti, tiriamo a campare. La visibilità arriva al massimo al prossimo weekend, e la gestione della spesa pubblica è puramente quantitativa, mancano quegli elementi qualitativi che qualificano le potenzialità future del paese. Fateci caso, ma avete mai sentito un discorso strategico da quei tre? Berlusconi ha dapprima negato l'esistenza della crisi e si prodigava in inviti continui a consumare come se non vi fosse lo spettro di una recessione. Poi in un secondo luogo, se ne usciva dicendo che eravamo i migliori nel mondo, e allora tutti i peones giù a celebrare il sorpasso del PIL pro capite sul Regno Unito e a raccontare che la Spagna ha le "pezze al culo". Ora, dopo due anni di recessione (finalmente terminata), ci resta solo l'ultima consolazione. Ma che futuro può avere un paese in cui la classe politica non sa offrire il meglio, ma riesce solo a farfugliare che non siamo il peggio? 

La tenuta nella crisi economica è stata causata anche da alcune virtù private, che onestamente non hanno molto a che fare con gli evidenti vizi pubblici. Draghi, in una recente relazione, ricordava che gli italiani avevano un patrimonio pro-capite molto alto rispetto agli altri paesi del G8. In una certa misura suggeriva che la caduta del PIL pro-capite era attenuata dalla ricchezza accumulata dalle generazioni passate. In parole povere si vive di rendita, e la cosa non è una buona prospettiva per lo sviluppo e l'innovazione. Al tempo stesso Confindustria ci ricorda che sono stati persi 540 mila posti di lavoro e il PIL crescerà del 1% nel 2011. La strada per tornare ai livelli pre-crisi è irta e ogni confronto con la Germania è impietoso.

Il Governo del fare invece è tutto preso dai complotti contro il premier, dal problema importantissimo delle toghe rosse, dai complotti internazionali per gettare discredito sull'Italia. Di crisi non si parla, le ricette per sostenere l'occupazione si sono limitate alla cassa integrazione. Per l'amor del cielo quello è stato uno sforzo apprezzabile e giusto, ma se non è accompagnato da un cambiamento nel trattamento fiscale del lavoro precario e del lavoro fisso, potremo dire che è stato un palliativo. Ma il Governo non sente da quell'orecchio, e trova coesione solo in una patetica chiusura a riccio, in cui vengono difese tutte le porcate dei faccendieri prestati alla politica che vedono in essa uno strumento per ottenere un arricchimento personale. Si difendono le clientele, si fanno consulenze opinabili (vedi il Ministero del Turismo, anche se bisogna aspettare un giudizio), per poi raccontare al cittadino che non è possibile garantirgli molti servizi fondamentali perché negli anni '70 si è speso troppo, quando invece il Governo del fare ha una scaletta di priorità completamente autoreferenziale. Se gli uomini di Governo volessero il bene del paese troverebbero il modo per potenziare la spesa nell'istruzione perché sarebbe la vera priorità per rilanciare la speranza di un futuro migliore.

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venerdì 17 dicembre 2010

Questo straordinario Governo del fare

Berlusconi può continuare ad esultare, grazie a tre finiani addormentati e a qualche transfugo accuratamente scelto da PD e IDV può governare. Chiunque vede l'inconsistenza di questa maggioranza, ma per Berlusconi l'obiettivo era tattico: mantenere la poltrona per non perdere il privilegio del legittimo impedimento. Poche storie, è per questo che continua a fare il Presidente del Consiglio e si ostina a non immaginare un altro leader nel centrodestra. I risultati però sono sotto gli occhi di tutti e il nostro premier sembra più interessato ai bunga bunga serali che ai problemi del paese. Per quanto Minzolini, Sallusti e Belpietro si sforzino, l'Italia sta perdendo, lentamente, competitività e sta scivolando in una posizione defilata rispetto alle altre potenze occidentali. Ma a questo Governo la cosa non sembra interessare.

Il rilancio del paese deve passare da un'oculata gestione del debito e così,il senatore Quagliarello è venuto a ricordarci che la responsabilità non è del Governo del fare, ma dei Governi di solidarietà nazionale di fine anni '70. La stucchevole disputa sulle colpe storiche dovrebbe imporci una riflessione: l'Italia si merita un Governo che fugge dalle responsabilità provanti? Non v'è dubbio che il debito abbia numerosi padri, ma è altrettanto chiaro che solo al Governo in carica spetta il compito di risolvere il problema (se ne ha le capacità). Del resto non so voi, ma personalmente non mi fiderei troppo di un medico abilissimo nell'effettuare una diagnosi e totalmente incapace nell'individuare una cura.

Forse corro troppo, ma gli scandali che hanno riempito le pagine dei quotidiani d'inchiesta hanno mostrato che l'attuale maggioranza non sta percorrendo la strada della vera efficienza finalizzata al riordino dei conti pubblici. Le cricche inseguono interessi privati e questi divergono con l'obiettivo di razionalizzare la spesa pubblica. Altro che "Italia migliore", abbiamo spesso letto la descrizione di un'Italia che cerca nella politica un interlocutore per arraffare tutto quello che può, danneggiando così la collettività. E' successo con alcuni Ministri (penso a Bondi che trova un lavoro pubblico a l'ex marito di sua moglie), con alcuni coordinatori nazionali, con il maxi scandalo della parentopoli romana (a proposito Alemanno, per sostenere il così fan tutti sono gradite delle prove, almeno risolviamo più problemi in una volta sola). E non è questione di destra o sinistra perché alcuni Ministri del passato esecutivo non li rimpiangiamo per le stesse ragioni. Purtroppo sono tutte queste inefficienze il vero male incurabile del nostro paese e alla base c'è una mentalità egoistica che ci porta a fottere lo Stato come se fosse una parte terza totalmente estranea. 

Al tempo stesso l'Italia è il terzo paese per pressione fiscale e non offre, ai cittadini, quei servizi garantiti dalle democrazie nord europee. Per tenere i conti in equilibrio siamo così costretti a tagliare i servizi essenziali e il Governo prova a mistificare la realtà raccontandoci che tutto è normale, tutto va bene. Si tagliano i soldi alle forze dell'ordine, si tagliano i trasferimenti alla scuola e all'università, si tagliano i trasferimenti per il trasporto pubblico, e in questo quadro decadente i cittadini faticano a leggere il nesso che c'è tra alcune inefficienze e il degrado di alcuni servizi pubblici
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mercoledì 15 dicembre 2010

Nonostante l'amore dei pidiellini Fini resiste

Gli ultimi 8 mesi della politica italiana sono stati terribili. Il PdL, noto anche come partito dell'amore (un amore un po' egocentrico, ma sempre di amore si tratta!), ha mostrato la sua vera faccia. Gianfranco Fini e la sparuta pattuglia di finiani sono stati cacciati dal partito lo scorso 29 luglio e sono stati sottoposti ad un linciaggio mediatico vergognoso. La macchina del fango del Cavaliere si è aggrappata ad un'operazione sospetta tra parti correlate, peccato che i due soggetti fossero due entità private, da un lato infatti vi era il partito di Fini, mentre dall'altra parte il cognato. Non è ancora chiaro se Tulliani fosse il beneficiario finale dell'operazione, per il momento l'unica cosa certa è l'archiviazione da parte della Procura di Roma che ha ottenuto una perizia in cui venivano smentite le fantasiose stime pubblicate da Sallusti & Co. Il fatto di per sè aveva una rilevanza limitata, l'immobile in questione nel 1999 valeva 240.000 euro. Sallusti si è stracciato le vesti perché pensava che l'immobile valesse 1,5 milioni nel 2008, e pur non conoscendo i minimi dettagli, ritengo totalmente infondata una stima che prevede una rivalutazione del 525% in 9 anni, per un bene che non era stato oggetto di valorizzazione. Questo non toglie che il partito (AN) poteva adottare una politica più oculata, ma francamente non penso che la valorizzazione dei beni immobiliari sia una finalità dei partiti politici. E' comunque vero che la vicenda poteva sfociare in un dibattito costruttivo, in cui si chiedeva a gran voce una normativa più seria per le operazioni con le parti correlate e in cui si chiedeva ai partiti maggiore trasparenza.

Ma il fine dei vassalli del duce Silvio non era questo. Poverini, mica hanno la capacità di elaborare una proposta. Per loro basta picconare, agitando la penna con amorevole odio. Dopo mesi di prime pagine e scoop sul nulla c'è stata la rottura definitiva tra Fini e Berlusconi. A conti fatti, dopo la "vittoria" del partito dell'amore bifolco, possiamo dire che Fini è stato troppo precipitoso, ma in realtà non condivido i giudizi che lo danno per finito. Forse per Fini si riducono i margini di manovra in questa legislatura, ma qualunque politologo sa che i discorsi del Presidente della Camera hanno riscosso discreti consensi tra la maggioranza degli italiani (perché la maggioranza assoluta non vota B.). Insomma, Fini potrà anche perdere deputati e senatori, ma al contempo può uscire rafforzato in termini di risultato elettorale. I Moffa, la Polidori e la Siliquini, non sono una grave perdita. Certo, il loro voltagabbana è motivo di gioia per gli ex AN - ora berluscones, ma per FLI non è un dramma. Il partito di Fini non si rivolge ad un elettorato di colombe, anzi pesca a piene mani nell'antiberlusconismo, o meglio, in quell'insieme di persone che non si riconoscono nelle scelte politiche adottate da Berlusconi. Di certo qualche domanda ai Moffa & Co, andrebbe posta. Per esempio si potrebbe chiedere loro se leggevano i giornali o dormivano sul pero. Anche un analfabeta, leggendo il libro di Fini (o qualche stralcio), capiva che la rottura era inevitabile, e la presentazione di una mozione di sfiducia non poteva essere intesa come una pistola scarica. Era un atto politico costruito per far cadere il peggior Governo dell'Italia repubblicana. Chi pensava in un ritiro della mozione e sognava una riappacificazione è in palese malafede. Se non votano la sfiducia perché sono entrati in FLI?

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sabato 11 dicembre 2010

L'uomo che porta la moralità

Il 14 dicembre sarà un giorno come gli altri e l'esito della votazione è ininfluente. Se fossimo in una situazione normale anche lo stesso Berlusconi non si dannerebbe l'anima e come tutti ben sappiamo l'anormalità non è causata dalla vera emergenza di questi tempi (la crisi economica, per chi non se ne fosse accorto), ma dal fatto che senza la carica di Presidente del Consiglio cade lo scudo giudiziario e il Cavaliere ritorna processabile. L'esito del voto tormenta solo Berlusconi quindi, per gli altri attori della contesa non è così rilevante come lo si vuole far credere. Certo, il trio del terzo polo, ovvero Fini, Casini e Rutelli, si è speso per far cadere l'esecutivo, ma se anche il Governo dovesse ottenere una fiducia risicata, chiunque sa che l'unica certezza sarebbe l'ingovernabilità. I vari soggetti poi che hanno abbandonato la nave dell'opposizione per approdare nell'area dell'amore bifolco non sembrano neanche tanto affidabili. A proposito preme sottolineare la differenza che esiste tra finiani e i voltagabbana. In un caso la rottura ed il cambio di bandiera è determinato da motivazioni precise, politiche e chiare. La distanza che esiste tra Fini e il PdL è abissale. Nel caso dei nuovi transfughi approdati nella maggioranza non sono invece chiare le motivazioni. Sui giornali si è parlato di affari privati e piccole leggi ad hoc per accontentare la clientela locale. Anche un cieco è in grado di capire la differenza esistente tra le due cose.

Ma del nostro straordinario Cavaliere stupisce la fantasia. Nel tentativo di commentare il voto del 14 dicembre, Berlusconi ha parlato di "moralità", usando il termine per indicare che un parlamentare eletto col centro destra aveva il dovere di rimanere nel partito con cui era stato eletto. Non v'è dubbio che il cambio di casacca sia un gesto ambiguo che pone delle domande serie. Ma la frase di Berlusconi dimostra la visione della democrazia che quest'uomo ha in testa. Una visione medioevale, in cui si prova a gabbare la Costituzione approvando in fretta e furia una legge porcata dagli effetti devastanti. La legge elettorale pensata da quel gran genio di Calderoli offre a Berlusconi il pretesto di trattare i parlamentari come vassalli, in cui il senatore o deputato di turno viene nominato dal gran capo in persona, e perciò gli deve essere riconoscente. Ma questo meccanismo, che i pidiellini accettano, è esattamente l'opposto dei principi che hanno guidato la stesura della Costituzione. Indipendenza, responsabilità, agire nell'interesse di tutti (e non di chi ti vota o nomina!) sono principi base che in una sana società dovrebbe animare non solo chi ci governa, ma addirittura chi ricopre cariche sociali nelle società private. Insomma, più che nuova moralità, e a giudicare dai disastri combinati da alcuni parlamentari forse era meglio la vecchia, qui abbiamo un PdL che ci riporta nel medioevo. I vassalli ci sono già e sono pure felici di esserlo.

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Idioti e contenti

Wikileaks ha avuto l'enorme merito di svelare il vuoto che si cela dietro ad una politica estera basata sulle pacche sulle spalle. E' vero che i documenti pubblicati riflettono l'opinione degli Stati Uniti, e quindi i leaks non devono essere presi come il Vangelo, ma bisogna valutare la differenza, se esiste, tra ciò che conviene agli americani e ciò che conviene agli italiani. Mi spiego meglio, prendiamo ad esempio il caso del South Stream e dei rapporti commerciali tra Eni e Gazprom. Non v'è dubbio che quell'opera suscita fastidio negli ambienti statunitensi perché potrebbe danneggiare i loro interessi, ma da italiani dovremmo preoccuparci della convenienza del nostro paese. La relazione Eni - Gazprom dovrebbe assicurare stabilità energetica all'Italia, ma sul Corriere Massimo Mucchetti ha scritto tre articoli in cui pone delle questioni che mettono in dubbio la convenienza economica dell'intera operazione ("Tutti i dubbi sugli affari dell'Eni in Russia", "Eni, Gazprom e i sospetti su due affari", "Alcune domande su Eni e Mosca"). Insomma, non è chiaro se l'Eni ha perseguito la creazione di valore per gli azionisti e, considerando che l'ENI è una S.P.A. quotata, la cosa non è irrelevante. Grazie a Wikileaks risulta invece chiaro un altro aspetto: le manovre Italia - Russia ci allontanano dagli Stati Uniti.

I documenti pubblicati ci invitano anche a fare altre due riflessioni. In primo luogo chiunque (a patto di conoscere l'inglese) può leggere i documenti per capire che la fitta rete di diplomatici americani lavora per servire il proprio paese. Nei leaks ci sono interessanti analisi geopolitiche e si percepisce una cosa fondamentale: gli Stati Uniti si credono padroni del mondo e vogliono interferire con le principali scelte geopolitiche - economiche. Non so se la cosa sia un bene o un male, su questo tema ognuno ha la sua opinione, da italiano però stupisce vedere che ci sono paesi in cui avverti l'orgoglio di appartenenza, in cui avverti la voglia di fare "sistema" per servire una causa comune. In Italia invece abbiamo una visione diametralmente opposta perché lo Stato è visto come un estraneo, come una controparte da fregare, e per riuscire nell'impresa di arraffare tutto quello che si può ci si costituisce in cricche di comodo. Mentre gli Stati Uniti attuano la loro politica finalizzata al controllo dell'economia mondiale noi assistiamo allo spettacolo desolante offerto da una politica di incapaci concentrati sul proprio ombelico. Berlusconi non vuole perdere la poltrona di Presidente del Consiglio per non correre il rischio di andare a processo (se avesse veramente a cuore il bene comune avrebbe rinunciato a qualche bunga bunga per dedicare quel tempo al suo paese..) e al massimo per difendere i suoi interessi imprenditoriali. Poi, mano mano che si scende, la storia si ripete con le dovute proporzioni. C'è qualcuno capace di intravedere qualcosa di nobile nei Verdini (col suo mitico credito fiorentino) e in tutta la schiera di Ministri capaci solo di piazzare amici, parenti e concubine nelle municipalizzate? L'ambasciatore Spogli fa una relazione semplice e a prova di deficiente per spiegare i rapporti Italia - Russia, pensate di trovare un simile approccio analitico nel lavoro dei parlamentari che ci rappresentano?

L'altro tema riguarda invece il prestigio dell'Italia nel mondo. Ormai, ad eccezione di fanboy e vassalli irriducibili, deve essere chiaro che con Berlusconi siamo al centro dell'attenzione solo perché tutti si aspettano la gaffe per ridere un po'. Stiamo diventando un fenomeno da baraccone, e direi che per giunta siamo anche un fenomeno tragico perché ci illudiamo di contare qualcosa. Wikileaks ci spiega che i nostri amici americani non vogliono intermediari nei loro rapporti con la Russia, e vedono con fastidio il tentativo di Berlusconi di mettersi in mezzo tra le due superpotenze. Questo non perché temono che Berlusconi possa trasformare l'Italia in una superpotenza, ma in quanto pensano che sia una marionetta succube a Putin. Nel frattempo possiamo però continuare ad illuderci, ascoltando i Rossella, i Frattini e i La Russa di turno. Forse basterebbe poco per capire che un utile idiota non dà fastidio a chi lo comanda.


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martedì 7 dicembre 2010

Tutta colpa di Benitez?

Nel giro di sei mesi l'Inter è passata dalle stelle alle stalle. Per gli interisti la colpa è tutta di Benitez, ma se vi fosse un briciolo di obiettività si dovrebbero valutare anche le responsabilità da attribuire al Presidente e ai dirigenti. So già che qualche interista potrebbe obiettare che con quel Presidente e con quei dirigenti si è vinto tutto, ma se la pensano così, e credono di dover riconoscenza eterna a Moratti, Branca & co, allora dovrebbero anche rinunciare al diritto alla critica. L'anno scorso i successi sono andati ben oltre le possibilità della rosa. Mourinho è stato grandissimo nel riuscire ad ottenere il 110% da una squadra di giocatori esperti e affamati.

Benitez quest'anno si è trovato però a gestire una rosa svuotata. Forse non ha programmato una buona preparazione, ma a giudicare dal numero di infortuni che hanno Milan e Juventus, non credo che se ne debba fare un dramma. Il problema vero è determinato dalla qualità della rosa perché l'Inter di oggi ha una rosa più ristretta rispetto alle due rivali storiche, e non riesce a sopperire alle assenze. L'anno scorso l'Inter aveva un attacco stellare, con Milito, Eto'o, Pandev, Sneijder e Balotelli. Grazie a Mourinho, e con l'intercessione di Raiola, l'Inter è riuscita nell'impresa di bruciare il talento più esplosivo del calcio italiano. Balotelli non è stato rimpiazzato da nessun nuovo acquisto, e se sommiamo questa cessione con il legittimo calo degli altri quattro (con la sola eccezione di Eto'o) abbiamo spiegato l'involuzione dei nerazzurri in fase realizzativa. Ad oggi l'Inter si ritrova a giocare con Coutinho, talento da verificare, e Biabiany. In due non fanno mezzo Balotelli.

Ma quando si critica Benitez bisognerebbe avere l'onestà di guardare ai giocatori che compongono la rosa. Dopo la sconfitta dell'Olimpico con la Lazio si è detto che non doveva schierare Natalino ed invece doveva riproporre Cordoba terzino e Materazzi al centro. Ma chi sostiene questo ha visto per caso il derby, la gara col Chievo e quella con il Parma? Materazzi è calato paurosamente, ormai è impresentabile ad alti livelli. Per non parlare degli altri reparti, dove Benitez è stato costretto a schierare Obi, Alibec. Giocatori che non conoscevano nemmeno gli interisti più accaniti. Moratti potrà anche cacciare Benitez, ma la qualità della rosa è imbarazzante e l'Inter non riesce a rimpiazzare gli infortunati. Forse più che a Benitez (mi pare volesse Mascherano e Kuyt, sarebbero serviti) bisogna chieder conto a qualche dirigente. Chi dorme non piglia pesci, e all'Inter stanno dormendo da giugno.


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sabato 4 dicembre 2010

L'amore secondo Belpietro

Maurizio Belpietro ha deciso di pubblicare l'elenco dei traditori finiani, fornendo foto e indirizzo web. L'iniziativa dimostra l'imparzialità di "Libero" (edito dalla famiglia Angelucci) ed è il secondo segnale di un nervosismo crescente. Il primo sono state le parole sconclusionate di Verdini. Ad ogni modo nei prossimi giorni mi aspetto il peggio perché il padrone del Partito dell'Amore è arrivato al capolinea, e il 14 dicembre dovrà affrontare, in un solo colpo, i due esami che ha sempre cercato di rimandare. La mozione di sfiducia presentata dal terzo Polo è un documento politico pensato per far cadere questo Governo. Non penso che l'obiettivo di Casini, Fini e Rutelli, sia quello di andare alle urne, piuttosto ritengo che vogliano arrivare ad una situazione in cui Berlusconi è spodestato dalla Presidenza del Consiglio, il PdL si frantuma e nasce una nuova maggioranza parlamentare diversa da quella uscita dalle elezioni. Personalmente la cosa non mi scandalizzerebbe perché siamo una Repubblica Parlamentare e ciascun deputato, o senatore, è libero di cambiare partito. Le dichiarazioni dei pidiellini su un'eventuale sovvertimento della volontà popolare sono una bella cazzata perché la Costituzione prevale sulla legge elettorale, ed è lei che definisce le prerogative ed i compiti del Parlamento e dei suoi componenti. Tra tutte le scuse, quella più ridicola riguarda la constatazione che con la porcata di Calderoli la gente vedeva stampato il nome del candidato della coalizione, come se quell'iniziativa fosse sufficiente per modificare il ruolo del parlamentare. Se proprio vogliono essere coerenti allora dovrebbero abolire i parlamentari.

Ad ogni modo sia "Libero" che "Il Giornale" hanno dato ampio spazio alle tesi dei Verdini, La Russa e vassalli vari. Ora però la temperatura si è alzata grazie alla trovata giornalistica del buon Belpietro. Molto probabilmente l'incresciosa aggressione che ha subito non è servita a molto. Quando Belpietro subì l'attentato fallito, gridò contro il network dell'odio. Personalmente non credo che fosse colpa di chi, giustamente, sbeffeggiava questa sottospecie di giornalista. Ma la regola aurea dice di non fare agli altri quello che non vorresti subire. Ora, se Belpietro parlava di clima d'odio e diceva che quel clima metteva in pericolo la sua vita, allora cosa dovrebbe dire lo stesso Belpietro se dovesse commentare la sua lista dei traditori? Se fosse coerente si dovrebbe dare del cattivo maestro, lo farà?

martedì 30 novembre 2010

Quando i contenuti prevalgono sulla forma

"Vieni via con me" è stato un successo strepitoso. La trasmissione ha viaggiato attorno ad una media di 9 milioni di telespettatori, e sarebbero stati molti di più se la RAI avesse valorizzato il programma, trasmettendolo su RAI1. Invece in Italia abbiamo la fortuna di avere numerose aziende pubbliche gestite col solo scopo di non urtare gli interessi della politica. Nel caso della RAI gli interessi sono economici, perché la televisione pubblica è il principale competitor di Mediaset, e informativi. La politica teme un'informazione libera e tutti gli schieramenti politici che si sono alternati al Governo hanno provato, con risultati alterni, a condizionare le scelte editoriali dei telegiornali della RAI. 

Così, mentre infuocavano le polemiche su Saviano, in pochi chiedevano la rimozione di quel direttore che falsifica la realtà e che ha tenuto una condotta eticamente inaccettabile anche quando svolgeva l'attività di giornalista sulla carta stampata. Nell'ultimo anno Minzolini ha provato a nascondere di tutto, dalla prescrizione di Mills alle motivazioni della condanna di Dell'Utri, e oggi scopriamo che questo "giornalista" potrebbe risultare coinvolto in una vicenda su cui indaga la Consob perché nel 2008 avrebbe pubblicato false notizie su una fantomatica cordata di imprenditori italiani pronta a rilevare Alitalia. La notizia fu pubblicata poco prima delle elezioni, quando la vicenda Alitalia era in alto mare, ebbe quindi degli impatti sul risultato elettorale e quel falso produsse degli effetti consistenti sul valore del titolo quotato in Borsa.

Ma nessuno si sognerà mai di toccare il direttorissimo e nessuno si è scandalizzato quando il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo nel quale si sosteneva che Minzolini avesse ottenuto rimborsi spese per circa 60.000 euro. Nessuno pensa che in tempi di crisi sia doveroso assumere un atteggiamento morigerato, soprattutto quando si lavora per un ente pubblico e si è rimborsati coi soldi dei cittadini. Ma la RAI ha altri problemi e si dice che Masi volesse bloccare la trasmissione di Saviano. Lo scrittore di Gomorra e Fazio hanno confezionato un'opera originale, personale e di grande qualità. Certo, ha ragione Aldo Grasso quando critica alcune scelte perché televisivamente il prodotto poteva essere migliorato. Ma la vera novità è scoprire che una trasmissione improntata sull'impegno civico, sulla narrazione (lenta, forse troppo) di fatti scomodi abbia incontrato un successo incredibile. "Vieni via con me" è un esperimento irripetibile in cui, è questo è il principale merito, il contenuto prevale sulla forma. Finalmente.

lunedì 29 novembre 2010

Mai così alto il prestigio dell'Italia!!

Elizabeth Dibble è la diplomatica dell'Ambasciata USA in Italia che ha scritto alcuni dei documenti pubblicati da Wikileaks. In quei documenti sono contenuti giudizi netti e fortemente critici rispetto alla condotta del nostro Presidente del Consiglio. Berlusconi è associato ad aggettivi poco simpatici (inetto, inaffidabile, incapace..le 3 i del Governo del fare), come uomo si dice che sia più interessato agli affari personali che non alla gestione della cosa pubblica (infatti la Clinton voleva investigare sui rapporti con la Russia) ed è pesantamente criticato per la linea che sta seguendo nella politica estera. L'amicizia con Putin e Gheddafi è del tutto indigesta agli americani.

I berluscones sono apparsi in tv per anestetizzare la realtà. Rossella è stato patetico quando a "Otto e mezzo" ha provato a costruire un'astrusa tesi per la quale la Dibble sarebbe una persona insignificante e non può parlare per conto dell'amministrazione Obama. Forse qualcuno gli deve spiegare la funzione dei diplomatici, e intanto che c'è gli può anche impartire qualche lezione di logica per fargli capire che, se i giudizi della Dibble fossero stati ritenuti eccessivi, l'avrebbero degradata. Se invece la Dibble è rimasta al suo posto e scriveva, allora è chiaro che o era intoccabile o era giudicata affidabile. Ma si sa, l'amore può render ciechi.

Ad ogni modo i documenti di Wikileaks vanno presi con estrema cautela perché rendono pubblica la visione che gli americani hanno della geopolitica. Le critiche sulla politica estera sono dettate dal fatto che gli americani stessi giudicano inaffidabile la Russia e la vedono come un potenziale nemico. E' però curioso considerare che il miglior Presidente degli ultimi 150 anni (al max degli ultimi 2), quello della famigerata rivoluzione liberale, sia più attratto dalle sirene russe rispetto a quelle americane. Sulle feste selvagge non c'è niente di nuovo. La carne è debole, il premier lavora 15 ore al giorno e si deve rilassare. Poi se qualcuno gliele paga non disdegna.

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domenica 28 novembre 2010

Finalmente protagonisti

La pattuglia italiana sta vivendo la sua miglior stagione in NBA. 

I Toronto Raptors di Andrea Bargnani hanno un record negativo con sole 6 vittorie e ben 10 sconfitte, ma non sembrano tagliati fuori dalla lotta per i playoff e va ricordato che scontano il disastroso tour ad Ovest con cui hanno inaugurato la stagione in corso. Per il futuro dei Raptors bisognerà valutare l'impatto che avrà la trade definita una settimana fa con New Orleans e, soprattutto, il peso che avrà l'assenza di Reggie Evans. L'ex 76ers è stato fondamentale in questo inizio di stagione, e se i Raptors presentano un saldo positivo nella differenza tra rimbalzi presi e concessi, buona parte del merito è da attribuire allo stesso Evans. Forse è presto per dirlo, ma la partenza di Bosh è stata meno drammatica di quanto si potesse immaginare. L'anno scorso il team aveva numerosi passaggi a vuoto, come quest'anno, e la presenza di Bosh e Bargnani non era sufficiente per proteggere l'area pitturata. La coppia Evans - Bargnani sembra essere più completa perché i limiti dell'uno sono i punti di forza dell'altro (idem Evans - Bosh). A livello individuale Bargnani sta facendo un salto di qualità consistente. Viaggia sopra ai 20 punti di media, in difesa ha fatto qualche piccolo progresso e nel complesso dimostra di avere ulteriori margini di miglioramento.
 
Anche a New York il vento è cambiato. Dopo l'anno di transizione i Knicks di D'Antoni iniziano a prendere forma. Gli arrivi di Felton e Stoudemire sono fondamentali per il progetto in atto, e a Gallinari si richiede maggiore continuità. Per il momento l'ex Armani sta giocando una discreta stagione. Le statistiche dal campo non sono esaltanti (viaggia sotto il 40%), ma Gallinari non dà mai l'impressione di essere un corpo estraneo.

La nota più lieta arriva da Belinelli. Per tre anni ha vagato alla ricerca di una collocazione stabile. A Golden State ha subito le lune di Don Nelson, mentre a Toronto è stato inspiegabilmente dimenticato nel finale di stagione. A New Orleans Belinelli è stabilmente in quintetto, gioca circa 30 minuti a partita ed è spesso determinante. Il Beli non ha avuto picchi straordinari, ma si sta dimostrando estremamente regolare, garantendo anche una discreta intensità difensiva. Negli Hornets ha anche la possibilità di giocare in un team vincente, dove la presenza di Paul, Ariza e West, dovrebbe condurre la franchigia ai playoff.

L'indipendenza di Allegri

La stagione del Milan iniziò a luglio, con la contestazione dei tifosi non evoluti e una conferenza stampa surreale in cui Berlusconi attaccò arbitri di sinistra e Leonardo. Di quel monologo autocelebrativo si ricordano anche alcune memorabili frasi, come ad esempio gli elogi a Thiago Silva per il Mondiale disputato col Brasile, quando invece il forte difensore brasiliano non aveva giocato nemmeno uno spezzone di partita. Ma la vera caduta di stile, nel caso ce ne fosse mai stato uno, era rappresentata dagli attacchi a Leonardo. Le colpe dell'ex allenatore rossonero erano legate alla gestione di Pato, e all'incapacità di costruire un sistema di gioco in cui potessero trovare spazio tutti i calciatori tecnici del Milan. Berlusconi diede la sua lezione di tattica e spiegò lo schema che il Milan avrebbe dovuto adottare per sfruttare la fantasia di Ronaldinho e la classe di Pato. In quei momenti Allegri sembrò in evidente imbarazzo e in molti pensavano che l'avessero scelto perché avrebbe schierato la squadra rispettando i desideri presidenziali.

In questi mesi Allegri ha dimostrato di volersi costruire una posizione autonoma. Per lungo tempo ha inseguito il sogno berlusconiano, provando a far convivere Pirlo, Seedorf, Ibrahimovic, Ronaldinho e Pato. I risultati non sono stati scoppiettanti e la sconfitta netta maturata a Madrid ha mostrato l'inconsistenza di quel progetto. Da quel momento in poi Allegri ha cambiato filosofia e ha iniziato a modificare l'impostazione della squadra costruendola attorno al centravanti dominante del campionato italiano: Zlatan Ibrahimovic. Se Berlusconi sognava una squadra di solisti, Allegri sta invece costruendo una squadra completa e bilanciata, in cui Ronaldinho, Pato e Pirlo finiscono spesso fuori dall'11 titolare, mentre trovano spazio i tre mediani di quantità. Con queste scelte coraggiose Allegri sta mostrando un'inattesa autonomia. Ma i risultati e i fatti gli danno ragione. Ronaldinho è impresentabile a certi livelli ed è degnamente sostituito da Robinho e Seedorf (ovvero due fantasisti con rispettivamente più corsa e più intelligenza tattica). Pato gioca all'ala, esattamente come con Leonardo, ma non è centrale nello scacchiere rossonero. Il baby brasiliano dopo tre anni ha mostrato evidenti limiti caratteriali e non può essere un elemento centrale in un team vincente. La squadra poggia sulle spalle possenti di Ibra, il quale, a differenza degli altri due, ha dimostrato di appartenere ad un'altra categoria.

sabato 20 novembre 2010

Inter: crisi psicologica o atletica?

Tempo fa avevo letto una traduzione di un articolo di un quotidiano tedesco in cui gli operatori del private equity erano paragonati alle locuste. L'espressione era forte e provocatoria, però aveva la capacità di sintetizzare un concetto basilare. L'operatore di private equity rileva delle società, le riorganizza affinchè siano in grado di remunerare il capitale investito e alla fine le vende. Queste tre fasi vengono condotte in modo tale da massimizzare il valore dell'investimento. I detrattori del private equity sostengono che gli operatori spolpano le aziende del loro valore, e quando le vendono non cedono al nuovo acquirente una macchina riparata, ma una carcassa incapace di dare soddisfazioni. A dire il vero esistono degli studi che smentiscono questa interpretazione del fenomeno del private equity, però la figura dell'investitore che entra in una società ed estrae tutto il valore possibile, lasciando poi le ceneri, può essere efficace per descrivere l'Inter del 2010/11.

E' presto per parlare di crisi, la squadra ha tutto il tempo per risollevarsi e riconquistare la vetta del campionato, però lo stato di forma di alcuni giocatori suggerisce alcune considerazioni. La preparazione estiva forse non è stata ben pensata, e gli eccessivi carichi di lavoro hanno pesato più del dovuto su un gruppo di atleti logoro dopo una serie di stagioni sfibranti. Ma più che le gambe, la gravità dell'attuale involuzione dell'Inter deve essere valutata sulla base del nuovo atteggiamento dei nerazzurri. Spesso nervosi, meno propensi al sacrificio, rassegnati ancora prima del triplice fischio - derby -. L'Inter di quest'anno sembra una squadra completamente svuotata rispetto all'armata del triplete. La cura Mourinho ha regalato due scudetti e una fantastica Champions League (più una serie di trofei minori), però forse è lecito pensare che il portoghese ha raccolto il massimo spremendo una squadra che è andata oltre i suoi limiti. Non sono frasi fatte, del resto basta pensare alla tensione con cui Mourinho usava gestire i rapporti del club con stampa ed arbitri. Quel clima da "uno contro tutti", da perseguitati, alimentato da espressioni celeberrime - come il rumore dei nemici -, ha caricato a molla l'intero ambiente producendo risultati strabilianti nel breve periodo, ma non ha sicuramente aiutato l'Inter nel lungo periodo. Fermo restano che comunque Mourinho ha vinto tutto quello che c'era da vincere. E non è poco.

giovedì 19 agosto 2010

Il team Geox prende pure Menchov e Riccò passa alla Vacansoleil

Dopo Carlos Sastre il team Geox ha effettuato un'altra acquisizione importante. Denis Menchov ha infatti deciso di abbandonare la Rabobank, squadra con cui corre dal 2005, e ha firmato un contratto biennale col team di Mauro Gianetti. Menchov ha vinto due Giri di Spagna e un Giro d'Italia, collezionando due terzi posti al Tour de France. Il team Geox dovrebbe ora concentrarsi su Damiano Cunego che diverrebbe il naturale leader della squadra per le classiche delle Ardenne.

Nel frattempo il ritorno di Riccardo Riccò nel circuito Pro Tour ha subito una brusca frenata. La scorsa settimana pareva che l'accordo tra il modenese e la Quick Step fosse cosa fatta. Mancava  solo l'ufficialità, ma alcune interviste dei diretti interessati davano per certa l'operazione. L'imprevisto colpo di scena si è materializzato durante lo scorso fine settimana, quando la Quick Step ha tentennato e Riccò ha deciso di accettare la proposta della Vacansoleil, squadra olandese che mira ad entrare nel Pro Tour. Il Cobra non correrà quindi la prossima Vuelta ed ora trova come compagni di squadra gli italiani Ongarato e Carrara, e dal prossimo anno dovrebbe correre con l'ex campione del Belgio Devolder. La mia impressione è che per Riccò si tratta di un passo indietro, del resto oggi tra Quick Step e Vacansoleil non c'è paragone.

Possiamo esercitarci in diversi giochi di fantasia per ricercare le motivazioni che hanno spinto la Quick Step a desistere dall'operazione. Sulla Gazzetta si è parlato di problemi legati ad alcuni sponsor tecnici (gli scarpini), anche se la cosa mi pare improbabile: non credo si mandi a monte una trattativa per questioni di quella portata. Forse è più razionale immaginare che la Quick Step non avesse totale fiducia nel modenese.

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martedì 17 agosto 2010

L'assalto a Fini e la reazione di Napolitano

Da quando si è consumata la rottura tra Fini e Berlusconi, il Giornale e Libero hanno iniziato una campagna martellante contro il Presidente della Camera, tirando fuori dal cassetto lo scandalo della casa di Montecarlo. La cosa è stata presentata da Feltri, Belpietro e il bel Sallusti, come la madre di tutte le malafatte, come la goccia che doveva generare un terremoto nella politica italiana, arrivando a causare le dimissioni della terza carica istituzionale.

E' ancora presto per dire che la montagna ha partorito un topolino perché dietro agli articoli dei giornalisti pagati da Berlusconi immagino che si celi un fondo di verità. La cosa che stride con la realtà, e con la virtù dell'equilibrio, è l'enfasi data all'intera vicenda, soprattutto se la paragoniamo con altre. Qualche incauto pidiellino si è lanciato in improbabili paragoni con il caso Scajola, quando invece l'ex Ministro ligure era in una posizione ben diversa. Infatti quello per cui Marco Biagi era un "rompicoglioni" ignorava chi gli avesse generosamente pagato la casa e, fatto ancor più grave, ignorava i motivi che avrebbero spinto l'anonimo benefattore a compiere un gesto così altruista. Il parallelo tra Fini e Scajola regge solo perché l'oggetto è comune, ma, a ben vedere, sarebbe un po' come dire che Baggio e Barone sono paragonabili. La vicenda Fini dimostra l'inadeguatezza dei criteri che regolano la gestione dei patrimoni di cui dispongono i partiti italiani. L'operazione di compravendita è stata effettuata ad un prezzo di favore (anche se bisognerebbe considerare lo stato dell'immobile) ed è poco edificante vedere un partito che vende un bene a delle società di cui si ignorano i proprietari. Immagino che  la gestione degli immobili sia affidata ad alcune persone nominate dai vertici politici, ma poi sarebbe interessante approfondire le responsabilità giuridiche dei diversi soggetti e il livello di autonomia di cui godevano i diversi amministratori. Fermo restando che rispetto al conflitto d'interessi generato dal coordinatore del PdL - Denis Verdini - parliamo di pagliuzze. Nella peggiore delle ipotesi Fini ha usato per scopi personali il potere politico che i tesserati del suo partito gli avevano concesso. Se anche avesse beneficiato dell'operazione non avrebbe tradito la fiducia degli italiani e non avrebbe macchiato la carica istituzionale che copre. Si creerebbero però i presupposti per valutare la sua affidabilità a ricoprire la terza carica dello Stato, ma considerato il curriculum dell'ex alleato e il momento storico - politico, non credo che si arriverebbe ad un passo indietro.

In tutto questo caos sono emerse alcuni vizietti italiani, ben presenti nel berlusconismo. In primis il tentativo di screditare i Tulliani, colpevoli di arrivismo in una società di anime pie, in cui il berlusconismo incarna i principi della meritocrazia e punisce la lunga schiera di paraculi - arrivisti. In secondo luogo il tentativo di condizionare l'arbitro, vizio bipartisan perché certe esternazioni di Di Pietro si spiegavano da sole. Napolitano ha mostrato grande equilibrio, ha espresso opinioni personali che, fino a prova contraria, sono criticabili. I parlamentari del PdL che hanno aggredito il capo dello Stato dimostrano di essere coi nervi a fior di pelle, forse qualche improvvisato consigliere di Berlusconi ha fatto male i conti sui finiani e ora deve mostrarsi duro e puro per farsi perdonare. La replica di Napolitano a Bianconi è stata esemplare, ma per correttezza avrebbe dovuto essere altrettanto duro con Di Pietro, che a mezzo stampa ne aveva richiesto l'impeachment.

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Una buona notizia per il ciclismo italiano: nasce il team Geox

Il ciclismo italiano non vive un momento felice e l'avvento di un nuovo sponsor intenzionato a costruire un top team è un evento che può segnare un'inversione di tendenza. Il declino del pedale è in atto da un decennio ed è dovuto al mancato ricambio generazionale - la generazione di fenomeni del '70 era di tutt'altro livello rispetto a quella degli '80 - e all'impressionante serie di disinvestimenti occorsa nell'ultimo decennio. La diaspora degli sponsor italiani è stata influenzata dalle vicende di doping e dal modo in cui esse sono state raccontate dai media. Tanto per esser chiari è bene ricordare che in Italia non c'è stato alcuno scandalo della portata dell'affaire Festina (un'intera squadra cacciata per doping nel Tour 1998), o del caso TVM sempre al Tour del 1998. Ma forse è più esplicito un parallelo spontaneo tra due grandi campioni estromessi da due grandi corse a tappe mentre erano leader della classifica generale. Pantani è stato espulso dal Giro 1999 per il più insignificante dei controlli, mentre Heras è stato squalificato dalla competizione perché trovato positivo all'EPO. Tra le due cose c'è una bella differenza, e la parola insignificante non vuole in alcun modo mettere in dubbio l'autorevolezza del test, che però va soppesato con il giusto equilibrio.

Nonostante il doping sia una questione internazionale, in Italia si è creato un clima di totale sfiducia, alimentato dalla lunga schiera di giornalisti avvoltoi. Sono così spariti diversi sponsor storici, come ad esempio la Mapei, la Mercatone Uno, la Fassa Bortolo, la Saeco, il Team Polti. Tutte squadre che avevano un occhio di riguardo per gli atleti italiani e permettevano loro di crescere, partecipando alle corse più importanti. Ad oggi nel circuito Pro Tour abbiamo solo la Lampre e la Liquigas. Il numero di atleti italiani ingaggiati dai team stranieri resta limitato, e ci troviamo con una miriade di team Continental che schierano buoni corridori, ma che non partecipano alle competizioni più importanti. Il campione italiano corre per la LSD Neri, poi ci sono la "Acqua & Sapone", la "Androni Giocattoli", la "Ceramica Flaminia", la "Carmiooro NGC", la "Colnago CSF-Inox" e la "De Rosa Plastic". Tutte squadre cui dobbiamo fare un plauso per la passione che alimenta meccanici, direttori sportivi e addetti vari, ma che non possono offrire ai loro atleti la ribalta internazionale. Insomma accanto a questi team che animano le competizioni nazionali (e che andrebbero invitati al Giro) servono almeno cinque top team che corrono Tour, Vuelta e grandi classiche. In un movimento in salute i team Continental dovrebbero essere il trampolino di lancio per i neoprofessionisti che poi devono mirare allo sbarco nei team Pro Tour.

L'avvento del team Geox è una buona notizia perché potrebbe segnare un'inversione di tendenza. Il primo colpo messo a segno da Mauro Gianetti - team manager del team Geox - risponde al nome di Carlos Sastre, tenace scalatore iberico che ha vinto il Tour 2008. Sastre mi sembra in fase calante perché ha 35 anni e nell'ultimo anno non ha mai convinto, sia al Giro che al Tour. Ma forse ha commesso degli errori nella preparazione e può ancora fare qualcosa di interessante nella prossima stagione. Di certo Sastre è un nome capace di dare grande visibilità al team italiano e spero che si aggiungano nuovi campioni, come ad esempio Menchov e Kreuziger, con la costruzione di una base costituita da giovani italiani.

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lunedì 16 agosto 2010

A cosa serve lo scambio tra Kaladze e Grosso?

I tifosi hanno ormai preso confidenza con alcuni termini che di sportivo hanno ben poco, ma da anni riempiono le pagine dei quotidiani sportivi. I concetti di plusvalenza, minusvalenza, ammortamento, ecc, rientrano nell'insieme delle competenze che dovrebbe avere un tifoso evoluto del terzo millennio. Ma alla fine il calcio è uno sport, e se un club è controllato attraverso delle S.P.A. che devono rispettare gli obblighi previsti dalla legge, questa non è una buona ragione per accettare che i discorsi sportivi si trasformino solo in discorsi economici. Con questo non voglio in alcun modo sminuire le capacità di quei manager che badano con efficacia ai risultati e al bilancio, ma voglio solo chiarire che il punto di vista del vero sportivo non deve essere quello dell'investitore.

L'ossessione del risultato economico è diventata una costante nei discorsi sul pallone. I club virtuosi erano, e sono, quelli capaci di costruire società sostenibili, ovvero team in cui l'ammontare dei costi operativi era più che bilanciato dai ricavi operativi. Il doping amministrativo si è sempre celato dietro giochetti sporchi fatti per salvare il risultato di bilancio nel breve periodo. Negli ultimi dieci anni, tanto per fare un esempio, abbiamo visto tantissime operazioni di mercato che coinvolgevano due club e prevedevano uno scambio alla pari tra diversi giocatori. Ricordo operazioni sull'asse Roma - Parma (Ferronetti, Mangone, Fuser) e anche tra le due milanesi. Milan ed Inter hanno scambiato alla pari buoni giocatori come Brocchi, Simic, Helveg, Guly, e campioni scambiati per comprimari come Pirlo e Seedorf. Ma oltre a questi casi famosi ci sono state anche svariate operazioni che hanno visto protagonisti giocatori del vivaio. Nella stragrande maggioranza dei casi (quindi escludiamo i casi Pirlo e Seedorf) si trattava di operazioni in cui si drogava il bilancio gonfiando il valore degli atleti scambiati. Il gioco permetteva di generare delle plusvalenze fittizie perché esistevano solo sulla carta, infatti, essendo determinate da operazioni di scambio, non c'era alcun beneficio di cassa.

Spero che lo scambio Kaladze - Grosso, di cui si parla da Ferragosto, non rientri nel filone sopracitato, anche se alcune cose fanno pensare in quella direzione. I due giocatori hanno stipendi sproporzionati rispetto all'attuale valore, quindi se Juventus e Milan dovessero scambiarseli non migliorerebbero la loro situazione operativa. In secondo luogo l'operazione sarebbe insignificante a livello tecnico - tattico. La Juventus ha una voragine a sinistra e, se non dovesse trovare un terzino all'altezza, avrebbe bisogno di Grosso. Il Milan a sinistra ha Antonini, Jankulosky (in rotta col club) e potrebbe utilizzare persino Zambrotta. Oltre a questo c'è anche da considerare l'età e la parabola dei protagonisti. Entrambi hanno 32 anni, e quindi possono dare qualcosa, ma sembrano in declino. Nel frattempo l'Inter se la ride.

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Un Milan di transizione, ma per qualcuno vale più dell'Inter

Il Milan pretende di essere la seconda forza del campionato, ma, dall'inaspettata  vittoria nella Champions League del 2007, non ha mai dato l'impressione di poter competere con l'Inter. La stagione 2009/10 è stata emblematica sotto questo punto di vista. Se ci focalizziamo solo sul campionato possiamo dire che l'Inter ha fatto un enorme sforzo per perderlo, mentre i giocatori del Milan hanno dato l'impressione di giocare superando i loro limiti e sopperendo alle difficoltà oggettive generate dal fatto di poter contare su una rosa limitata. Nonostante ciò, l'Inter ha vinto il campionato rifilando una decina di punti ai cugini rossoneri, e nei due derby è stata autentica mattanza. Ogni tentativo di spiegare questo risultato limitandosi a considerare gli infortuni di Pato e Nesta è grossolano e si allinea perfettamente con la mentalità miope dei dirigenti rossoneri, che sono ormai maestri nel negare l'evidenza.

Ma certi giochi alla Minzolini è un po' difficile farli quando si parla di calcio agli italiani. Le barzellette di Galliani sui tifosi evoluti non hanno avuto l'effetto sperato generando un movimento di ironica protesta, che ha manifestato il suo disappunto durante il primo giorno di allenamenti dei rossoneri (20 luglio 2010). Il movimento dei tifosi non evoluti ha posto alcuni argomenti interessanti e condivisibili. Su tutti credo che abbiano ragione per quanto riguarda il connubio soldi e sport, al tifoso interessano i risultati e il livello di gioco espresso dalla squadra, le questioni economiche sono il mezzo necessario per raggiungere quel fine, ma alla fine toccano solo il portafoglio del Presidente. Nel caso del Milan poi si realizza un miracolo negativo. Il club sembrerebbe disporre di poca liquidità, ma, nonostante effettui campagne acquisti morigerate, genera una perdita netta enorme. Questo disastro economico (che non è correlato coi risultati sportivi, l'Inter ne è la controprova) è figlio di opinabili scelte per quel che riguarda la composizione della rosa e i compensi destinati ai calciatori. Il Milan deve tagliare il suo monte ingaggi ed oggi paga la scelta di affidarsi solo a giocatori maturi che percepiscono cifre superiori rispetto ai giovani, e non garantiscono alcun beneficio in termini di risultati. I casi di Oddo, Jankulosky e Kaladze, senza andare a rivangare gli errori del recente passato, sono strafalcioni grossolani commessi da dirigenti poco lungimiranti.

Potrei stare qui a parlare della rosa e delle lacune. Ad una prima impressione i problemi sono i soliti: in difesa dopo Nesta c'è il vuoto, a centrocampo urgono forze fresche e in attacco serve che Ronaldinho e Pato garantiscano continuità. Magari i due brasiliani potrebbero iniziare ad essere più professionali perché lo stato di forma con cui Ronaldinho osa presentarsi ai raduni, tanto per fare un esempio, vanifica il lavoro fisico fatto nella stagione precedente dallo staff.

Ad oggi la campagna acquisti si limita agli arrivi di: un buon secondo portiere - Amelia -, un terzino del Genoa - Sokratis -, un centrale over 30 - Yepes - e, forse, un giovane mediano autore di un buon Mondiale - Boateng -. Per il resto stupisce il comportamento dei vertici rossoneri, Presidente su tutti. La conferenza stampa del primo giorno di raduno sembrava un estratto di un film demanziale americano. Berlusconi si è lanciato in sperticati elogi a Ronaldinho e strampalate considerazioni sulla sua posizione in campo. Poi c'è stata la gaffe "sull'ottimo Mondiale di Thiago Silva", che però ha giocato solo le partitelle di allenamento, ed infine la solita colata di stile contro il mite Leonardo, reo di aver schierato Huntelaar sulla fascia per un quarto d'ora e incapace di valorizzare Ronaldinho e Pato (quando invece costruì la squadra su quei due). La situazione è diventata imbarazzante persino per Allegri che si è visto dettare la formazione dal poliedrico Presidente. Si preannuncia il solito anno di alti e bassi.

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domenica 15 agosto 2010

Una Juventus a fari spenti

Il 2009/10 doveva essere l'anno della definitiva rinascita bianconera. Per gli addetti ai lavori la Juventus partiva alla pari con l'Inter di Mourinho. L'allora ct della nazionale, Marcello Lippi, si sbilanciò e dichiarò di vedere i bianconeri come favoriti principali per la corsa al tricolore. Ma dopo gli abbagli estivi, il tanto parlare sulla bravura di Alessio Secco, giovane direttore generale capace di portare a Torino quei giocatori (Felipe Melo e Diego) che avrebbero dovuto aiutare il club ad annullare il gap dai nerazzurri, e gli arditi parallelismi tra Ferrara e Guardiola, è arrivato il campo a stroncare le speranze juventine.

Quest'anno la Juventus parte dal fondo, non è favorita e si ha quasi l'impressione che alcune scelte scellerate (campagne acquisti 2008/09 e 09/10, più la cacciata di Ranieri) abbiano fatto fare diversi passi indietro al club più scudettato d'Italia. Gli acquisti della nuova gestione Marotta non sono esaltanti, nella migliore delle ipotesi sono delle scommesse per il futuro. Del resto ai vari Motta, Bonucci, Martinez e Pepe, non si può chiedere di trasformare una zucca in una carrozza, però si può pretendere un livello di gioco e di impegno superiore rispetto all'indegna stagione passata. La società dovrà essere brava nel proteggere i giovani perché saranno l'ossatura di un gruppo che dovrà aspirare a traguardi ambiziosi, ma che nel presente non può fare alcun miracolo. A tal fine sarebbe importante evitare situazione come quelle occorse ai Criscito e a Molinaro, giocatori vessati e maltrattati ingiustamente.

Va invece fatto un discorso diverso per il reparto offensivo dove il dualismo Diego - Del Piero sarà un tormentone che accompagnerà la stagione dei bianconeri. Il brasiliano sembrava in procinto di passare in Bundesliga, ma dopo alcune brillanti prove potrebbe esserci un ripensamento. Anzi, per completezza direi che Diego è emerso per la scarsa forma dei compagni di reparto. Del Piero deve capire che nell'interesse della Juventus non può pretendere una maglia da titolare. Trezeguet garantirà il solito contributo, sempre che non sia martoriato dagli infortuni, mentre Amauri è un'incognita. L'unico attaccante cedibile è Vincenzo Iaquinta perché non è più giovanissimo, non garantisce i gol di Trezeguet e si è dimostrato troppo fragile (ogni due per tre è infortunato). Ma se si procederà ad un sacrificio sarà necessario rinvestire i proventi per migliorare la squadra nelle zone in cui è più debole, cercando un terzino sinistro (De Ceglie vale più di Molinaro?) e un centrocampista centrale capace di giocare la palla.

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sabato 14 agosto 2010

Belinelli agli Hornets, sarà la volta buona?

Dopo aver vestito la casacca di Warriors e Raptors, Marco Belinelli vestirà nel 2010/11 i colori dei New Orleans Hornets, dove giocherà con Paul e Stojakovic. Il trasferimento dell'ex Fortitudo era inatteso, ma certifica la delusione che circonda l'intera esperienza in NBA del bolognese.

Belinelli fu scelto al draft 2007 dai Golden State Warriors. Don Nelson, allenatore dei Warriors, lo riempì di elogi e gli esordi nell'insignificante Summer League furono un'illusione estiva. L'impatto con la stagione regolare è stato infatti devastante. Per due anni Belinelli ha dovuto lottare con una serie di piccoli problemi fisici che non gli hanno permesso di giocare con continuità e, soprattutto, ha dovuto vivere in un ambiente in cui non sentiva molta fiducia. Dopo gli elogi estivi del 2007, Don Nelson ha riservato a Belinelli un trattamento schizofrenico, alternando periodi in cui lo considerava titolare inamovibile, con altri in cui lo metteva in fondo alle rotazioni. Oltre alle scelte tecniche, Belinelli ha pagato anche il fatto di giocare in una franchigia in netto declino che, dopo il miracolo dei playoff 2007 (anno in cui eliminarono i Dallas Mavericks) non ha saputo ripetere quelle gesta. Il trasferimento ai Raptors è sembrato un toccasana perché a Toronto avrebbe trovato una squadra più ambiziosa e un ambiente più europeo. Ma anche in Canada ci sono stati grossi problemi. Triano ha usato Belinelli con più equilibrio, però l'ha trascurato nel disastroso finale di stagione dei Raptors, preferendogli dei giocatori meno tecnici e più atletici. Il passaggio agli Hornets è un punto decisivo per la carriera di Belinelli. Per l'ennesima volta troverà una franchigia che molto probabilmente non giocherà i playoff, ma deve capire quale può essere la sua collocazione nell'NBA. Sempre che ci sia spazio.

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Riccò passa alla Quick Step per tornare nel ciclismo che conta

La storia di Riccardo Riccò la conoscono tutti gli appassionati. Nel Tour 2008 ha entusiasmato il pubblico italiano e francese, ma la sua vicenda si è trasformata da sogno a incubo nello spazio di una settimana. I controlli anti doping disposti dall'organizzazione del Tour evidenziarono un uso di CERA (che all'epoca era l'EPO di ultima generazione), le due vittorie conquistate nella Grande Boucle furono cancellate e la favola del modenese finì in malo modo. Il Cobra si è visto comminare una squalifica di due anni, poi ha avuto una riduzione di un sesto, e da pochi mesi è tornato a gareggiare con la "Ceramica Flaminia". Riccò ha ottenuto qualche buon piazzamento vincendo tappe alla Settimana Lombarda, al Giro del Trentino e aggiudicandosi la classifica finale del Giro d'Austria. Questi risultati, e la ben più importante promessa di non sgarrare una seconda volta, sono stati utili per attirare l'attenzione di molti top team alla ricerca di corridori capaci di fare classifica nelle grandi corse a tappe. La Quick Step ha così offerto un contratto a Riccò, che si è svincolato dalla "Ceramica Flaminia", e si sta preparando per correre la Vuelta a Settembre.

Di storie come questa ce ne sono tante nel ciclismo. Le positività sono tante e nonostante i vani tentativi di costruire rigidi codici etici (anni fa ne fu proposto uno che prevedeva di bandire dal Pro Tour coloro che erano stati trovati positivi), la storia si ripete: un ex dopato torna in gruppo. Non voglio criminalizzare Riccò, alla fine è solo un ragazzo che ha sbagliato ed è giusto che abbia la possibilità di competere ad alto livello. Detto ciò va anche  ricordato che ogni storia di doping ha le sue peculiarità e la storia del Cobra è una delle peggiori. Qui non parliamo di un ematocrito pazzo quando tutto il gruppo giocava con la salute, e non parliamo neanche di sacche di sangue messe da parte per poter frodare nel futuro, ma parliamo di vittorie, di imprese che hanno scaldato il cuore degli appassionati, e che erano costruite sulla menzogna. La storia di Riccò non è neanche lontanamente paragonabile ai casi Basso e Pantani perché in un caso non ci fu alterazione (provata) delle prestazioni sportive, mentre nell'altro si parla di un'epoca in cui c'era ben altra sensibilità rispetto al problema del doping (e comunque anche in quel caso non fu dimostrato). Riccò ha frodato nel 2008, dopo che l'opinione pubblica era ormai stordita, rassegnata, e alla disperata ricerca di esempi positivi e soprattutto puliti. Perdonarlo è doveroso, ma è difficile tifarlo.

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Contador saluta l'Astana e va da Riis

Dopo il Tour 2010 sono arrivati i primi grossi trasferimenti nel mondo del ciclismo. Alberto Contador saluta l'Astana e va alla corte di Bjarne Riis. Nel frattempo i fratelli Schleck hanno annunciato il loro addio al team Saxo Bank e correranno nel 2011 in una nuova squadra avente come sponsor una società lussemburghese. Chiaramente non è chiaro se sia nato prima l'uovo o la gallina, ovvero se è stata la decisione di Contador a causare la partenza dei fratelli Schleck o se invece l'addio tra i due lussemburghesi e Riis era già programmato da tempo. Ma poco importa, questo sono solo dettagli di poco conto, così come è stucchevole un dibattito sulle motivazioni economiche dietro le scelte degli atleti: ai tifosi non credo interessi fare i conti in tasca al beniamino di turno.

Di certo la scelta di Contador è opinabile. All'Astana ha vissuto tre anni tormentati. Nel 2008 non ha potuto correre il Tour e ha dovuto ripiegare su Giro e Vuelta (vincendoli entrambi, ma incantando solo in Spagna). Nel 2009 ha vinto un Tour da separato in casa perché si è trovato a correre contro la sua stessa squadra. Nel 2010 ha rivinto il Tour de France senza ripetere le performance del 2009, però ha potuto contare su una squadra unita e costruita secondo le sue istruzioni. Insomma se doveva esserci un divorzio Astana - Contador era lecito aspettarselo negli anni passati. Il trasferimento nel team di Riis poi non mi entusiasma perché il danese è un manager abile nel programmare impegni e allenamenti, ma estremamente monotono e noioso nella gestione delle corse a tappe. Se c'è qualcuno che può guadagnare qualcosa dal mercato quello è infatti Andy Schleck. Senza gli ossessivi vincoli tattici può finalmente dare libero sfogo a quella sana pazzia che magari non riempie il palmares, ma riconcilia i tifosi con lo sport.

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sabato 31 luglio 2010

L'onestà di Schwazer e la pericolosa paura di fare fatica

In questo periodo a Barcelona sono in corso gli Europei di Atletica. Il movimento italiano non sta navigando in  una nuova età dell'oro, ma può contare su alcune buone individualità e sta raccogliendo dei bei risultati.

Non voglio però usare questo spazio per commentare le prestazioni degli atleti azzurri, bensì preferisco concentrarmi sulle parole pronunciate da Alex Schwazer dopo il prematuro ritiro nella 50 km di marcia vinta dal francese Diniz. L'altoatesino è un predestinato, ha già vinto un oro olimpico e ha ottenuto brillanti pazziamenti nei Campionati Mondiali. Pur avendo fallito l'obiettivo della 50 km non tornerà a casa a mani vuote perché nella 20 km ha vinto la medaglia d'argento. Senza alcun ombra di dubbio si può dire che Schwazer sia una delle migliori espressioni dello sport italiano. Fatti i dovuti paragoni lo colloco ai livelli di un Valentino Rossi, anche se, per questioni anagrafiche, ha vinto meno. Ma chiunque segua l'atletica sa che Schwazer ha tutto per diventare un campione capace di cannibalizzare la sua disciplina.

Dopo il ritiro ha rilasciato delle dichiarazioni che gli fanno onore perché ha dimostrato un coraggio ed un'onestà invidiabili. Davanti ai microfoni della stampa non ha cercato scuse per giustificare la prestazione deludente, ma ha esternato il suo disagio, trovando il coraggio di raccontarsi. Del resto chi ha provato a fare sport sa che la vera sfida non è contro i rivali, ma contro se stessi. La cosa vale soprattutto nelle discipline di resistenza (atletica, nuoto, ciclismo, sci di fondo), dove l'atleta combatte un'aspra battaglia per migliorare le sue prestazioni e la fatica è inseparabile compagna di viaggio. Quando ti applichi negli sport di resistenza sai che arriverà un momento in cui i tuoi muscoli chiedono tregua, e tu sei chiamato a dare quel qualcosa in più che spesso fa la differenza tra un buon piazzamento e una prestazione leggendaria. Certo per vincere bisogna avere i mezzi fisici, ma le motivazioni, la voglia di faticare, sono una condizione imprescindibile. Chi ignora quest'aspetto, non sa cosa sia veramente lo sport.

Ammettere di non voler fare fatica è una prova di coraggio. Schwazer l'ha fatto, ed è scontato ricordare che se non c'è la volontà di faticare, mancherà anche la gioia di fare sport. Il campione si è mostrato fragile e vulnerabile, e credo debba valutare bene cosa fare nel futuro. Se non riuscirà a ritrovare gli stimoli e conviverà con la "paura" di fare fatica, allora gli consiglio di mollare con l'agonismo perchè altrimenti andrebbe incontro ad una serie cocente di delusioni. Nell'ultimo decennio c'è stato un altro grandissimo della bicicletta che ha corso con pochi stimoli per due anni e la cosa non l'ha aiutato.

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giovedì 29 luglio 2010

Da compagni di partito a martiri

A leggere il Giornale e Libero c'è da pensare che non ci sia una grossa differenza tra l'affittare un'abitazione del partito ad un parente piuttosto che essere indagati per ipotesi d'associazione segreta. La non morale di Feltri, Belpietro e della schiera di berluscones incalliti la conosciamo benissimo: siccome tutti hanno piccoli o grandi scheletri nell'armadio, allora nessuno può permettersi di fare il moralista. In pratica per questi "giornalisti" l'umanità dovrebbe accontentarsi della mediocrità. Davanti agli scandali finanziari e politici dovremmo scrollare le spalle e porgere l'altra guancia, del resto chi siamo noi per criticare, quando ne abbiam fatte di cotte e di crude?

In realtà già Aristotele aveva zimbellato chi ragionava in questo modo. Non ci vuole molto per capire che quando un giornalista usa l'inchiostro per nascondere la politica, scrivendo a vanvera sui rimborsi elettorali di Grillo (o sugli affari della moglie di Bocchino, o sulla casa di Fini, o  sul nemico di turno di B.), per provare a non parlare di cose ben più serie come  ad esempio gli affari della cricca, le tangenti, la 'ndrangheta e la movida milanese. Lo fa per nascondere qualcosa che c'è, ma è imbarazzante.

Le cronache degli ultimi mesi hanno mostrato i limiti strutturali di un potere carismatico, e le bugie di chi si dichiara liberale anche se non lo è. Con l'aggravante che certi signori sputtanano una parola ed una scuola di pensiero senza eguali, il pensiero liberale meriterebbe ben altri rappresentanti. L'autoproclamatosi liberale al capo del Governo varerà norme che impongono ai blogger l'obbligo di rettifica entro 48 ore, pena il pagamento di una sanzione di 12.500 euro. E' fin troppo chiaro che chi non può controllare quotidianamente il computer finirà per evitare di scrivere, e, a casa mia, quando un Governo propone norme che disincentivano la discussione, è un Governo illiberale. O forse è solo un Governo di gente miope che non ha mai usato Internet (vero B? la I di Internet era buona per fare gli slogan dato che poi non sappiamo neanche cosa sia Google!!), e ha paura della vera libertà, che non è quella di farsi gli affari propri, ma consiste nell'accettare quella altrui, rispettando le regole della convivenza civile.

Il tema del giorno è invece la cacciata dei finiani che dimostra tre cose. In primo luogo la totale assenza di un'opposizione di sinistra. Bersani va bene, ma presiede un non-partito, Di Pietro sa solo urlare, e Casini non si è capito cosa voglia fare da grande. Il secondo tema coinvolge i politologi filo Berlusconi. Dopo la lite di Aprile, molti dicevano che Fini non aveva seguito e andava verso il suicidio politico. Se dopo soli tre mesi lo cacciano è perché invece sta diventando troppo ingombrante. Avrà pure 30 deputati e una decina di senatori, ma i sondaggi di Mannheimer parlano chiaro: un terzo polo oggi prenderebbe il 20%. E più si scioglie la neve, più emergono le falle del berlusconismo e più cresce la popolarità dei finiani (non va dimenticato che in tempi di crisi cresce l'appeal del giustizialismo). Altro che quattro sfigati, se la rottura si fosse consumata ad aprile forse ora non saremmo in questa situazione numerica. I berluscones che esultano devono fare affidamento sul potere mediatico di B. perché questa scelta drastica trasformerà i finiani in martiri del berlusconismo. Agli occhi della gente han fatto più opposizione loro che D'Alema in quindici anni. Minzolini e compagnia bella dovranno fare gli straordinari. Il terzo tema invece riguarda i politici del PdL. Degli ex-colonnelli (ora sono vassalli, sono scesi di grado) non parlo, sarebbe come sparare sulla croce rossa. Di certo c'è l'ambiguità di un partito liberale a parole, e incapace di tollerare il dissenso. Granata finirà ai probiviri per aver espresso opinioni, discutibili, ma pur sempre opinioni. Bocchino e gli altri pure, mentre le persone coinvolte nelle tristi vicende di questi mesi (P3, scandali in Lombardia su tutte) resteranno ancorate ai loro posti, potendo del resto contare sull'infinità stupidità di chi li vota. Quasi quasi vien da rimpiangere Scajola. E' vero che non era, e non è, indagato, ma almeno lui ha avuto la dignità di capire che i confini della morale non sono quelli della legge.

mercoledì 28 luglio 2010

Il Tour di Contador e la fantasia di Schleck

Il Tour 2010 ha offerto diversi spunti di riflessione. Contador ha vinto, ma non ha ripetuto la straordinaria dimostrazione di forza del 2009, anno in cui annientò sia la concorrenza esterna (fratelli Schleck) che quella interna (Armstrong e l'intera Astana). Lo spagnolo ha realizzato un capolavoro tattico perché, con la condizione che aveva, non poteva immaginare di vivere giornate simili a quella di Verbier, e non poteva neanche fare eccessivo affidamento sulle qualità di cronoman. Contador ha corso con grande intelligenza tattica, non era il più forte in salita e ha dovuto quindi fare affidamento sul suo sangue freddo e sulla capacità di leggere la corsa, sfruttando i momenti di debolezza dei rivali. Per una volta è stato freddo calcolatore, ma non mi sembra appropriata l'etichetta di ragioniere che qualcuno gli vuole attaccare, del resto basta ricordare il modo in cui corse il Tour 2009 e la Vuelta 2008 per sbugiardare una simile baggianata.

Andy Schleck invece si conferma il ciclista più sopravvalutato. Intendiamoci, lo Schleck minore è uno degli scalatori più forti al mondo, ma fanno sorridere certe considerazioni strampalate che si inventa la stampa. Dopo il celeberrimo salto di catena (che errore da principiante!), abbiamo visto che, siccome alcuni giornalisti sono alla disperata ricerca di personaggi, non appena intravedono lembi di estroversione, si lanciano in paragoni arditi col passato e sviolinate immeritate. Se Contador è ragioniere, lo è pure il lussemberghese. In quattro anni di ciclismo ad alto livello non ha mai fatto cose trascendentali, non ha mai inventato attacchi folli, e non ha neanche cambiato il modo di interpretare la stagione professionistica. Corre come il 99% dei corridori moderni, si concentra su due / massimo tre obiettivi (Ardenne e Tour), e quando vuole attaccare aspetta l'ultima salita. Quando vincerà il Tour non celebremo la fantasia al potere, quella capita ogni quarant'anni. Ad ogni modo il suo Tour è stato corso male. L'unica vera impresa l'ha fatta ad Arenberg, per il resto è meglio stendere un velo pietoso dimenticando il buonismo del Tourmalet (andare a sentire cosa si dicevano Pantani ed Armstrong dopo il Ventoux del 2000) e il tatticismo suicida del primo arrivo in salita pirenaico. Forse un cambio di squadra può liberarlo e può cambiare il suo modo di interpretare la corsa. E in quel caso posso mettere in discussione il mio giudizio su Andy.

Per il resto il Tour ha detto le solite cose. Menchov si conferma su ottimi livelli, le performance di Basso dimostrano che al Giro aveva speso troppo, Cavendish è un marziano nelle volate, Evans ha una sfortuna incredibile e Sastre è (purtroppo) al capolinea. Il ciclismo italiano ha fatto una figura modesta. La maglia verde di Petacchi è un grande traguardo, ma preoccupa il vuoto alle spalle dello spezzino. L'unico che ha veramente convinto è Damiano Cunego.

martedì 13 luglio 2010

Si continua a scavare

I primi atti di un'inchiesta vanno presi con estrema cautela, ma devono comunque far riflettere. Per chi ci governa, l'atteggiamento che l'opinione pubblica dovrebbe assumere davanti ad un'inchiesta, dovrebbe essere un misto tra indifferenza ed omertà. Al raggiungimento di questo duplice obiettivo contribuiscono, in maniera decisiva, gli pseudo giornalisti della carta stampata, siano essi da osteria o da villaggio lunare, e i mega direttori dei telegiornali. Fortunatamente a La7 è tornato Enrico Mentana, uno dei pochi giornalisti bravi e col pregio di non essere fazioso. Ma i Minzolini, i Mimum & co, stanno svilendo il prodotto informativo che realizzano: riempiono lo spazio con servizi di costume o con le emergenze di comodo, e poi trattano con imperdonabile superficialità i temi cruciali.

La presunta associazione segreta creata da Carboni, Verdini, Dell'Utri e Cosentino, è solo un'ipotesi investigativa, e come tale deve essere trattata. Però è anche vero che si inserisce in un quadro nefasto, in cui sono scoppiati gli scandali che coinvolgevano Bertolaso, la Protezione Civile, Scajola, il solito Cosentino. E poi c'è l'indagine in corso per  ricettazione riguardante quel famoso nastro in cui Fassino esultava perché aveva una banca, indagine che dovrebbe coinvolgere anche l'avvocato Ghedini. Non spetta al sottoscritto pronunciare la sentenza, però questi fatti dovrebbero invitare ad una riflessione sul sistema di potere che esiste in Italia.

Tempo fa, quando scoppiò l'affaire Protezione Civile, avevo scritto che c'era un problema di governance. Le notizie di oggi confermano quella tesi. In Italia abbiamo tre emergenze distinte. La prima riguarda la selezione della classe politica, cui concorrono una legge elettorale pessima (Parlamento dei nominati) e il disinteresse degli italiani. A tal proposito sarebbe interessante proporre un sondaggio con la seguente domanda: cosa pensate di una persona che fa politica? Il secondo aspetto riguarda il sistema di controlli e controllori. Tutte le authority sono in mano ai partiti, che lottizzano e le affidano a persone di fiducia (politici trombati, ex manager delle proprie aziende). Accettiamo che ci sia un via vai squallido tra società pubbliche ed enti di controllo, come se quelle poltrone fossero dei centri di potere da usare per dare qualche contentino allo scontento di turno. Se i vertici delle aziende sono scelti con certe logiche, non deve poi stupirci scoprire che sono gestite in modo pessimo (vedi la Rai). Infine l'ultimo tema coinvolge i rapporti tra potere politico e informazione. E' il conflitto d'interessi che, nonostante esista da anni, resta un fatto anomalo in democrazia.

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giovedì 8 luglio 2010

Cabaret istituzionale

"Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto" Claudio Scajola - 05/2010.

Nei momenti tristi e bui bisogna trovare il coraggio di sorridere. Io quelli del "Governo del fare" li ringrazio perché sono degli ottimi umoristi. Lo so che è datata, ma questa frase di Scajola è fantastica ed è bene ricordare queste perle degli uomini del fare, perché testimoniano la presunzione della nostra classe politica. Non si sentono mai in dovere di chiedere di scusa, non avvertono mai alcuna vergogna e finiscono per dare l'impressione di essere anche un po' incoscienti.

Ieri gli abruzzesi hanno protestato sotto Palazzo Grazioli. Il nostro premier non ha perso occasione per sfoggiare il suo senso di responsabilità. Berlusconi ha detto che la colpa è solo degli enti locali, però tre mesi fa quando dovette inaugurare le prime case consegnate agli abruzzesi (e pagate dalla Provincia autonoma di Trento) organizzò, col fido Bruno Vespa, una puntata su misura in prima serata per prendersi dei meriti che non erano solo suoi. Quando una persona si comporta in questo modo è lecito pretendere che abbia poi l'umiltà di assumersi tutte le colpe quando le cose non vanno nella direzione sperata. Berlusconi invece ignora un discorso di questo tipo. La sua grande capacità comunicativa è centrata sulla voglia di prendersi tutti i meriti, anche non suoi, e sul tentativo di scaricare tutte le responsabilità sugli altri. Questo testimonia la grandezza dello statista che ci rappresenta. Poi magari, per qualcuno, il suo potrà essere un comportamento apprezzabile, ma provate ad immaginare cosa sarebbe la società in cui viviamo se tutti fossero così.

mercoledì 7 luglio 2010

Il compagno Gianfranco

Non ci vuole una sfera di cristallo per immaginare i commenti di Sallusti e di Belpietro. A dire il vero qualche articolo delle due testate filo berlusconiane è comparso sul mio computer, e se non sbaglio era a firma dell'onnipresente Sallusti che rileggeva, alla sua maniera, le vicissitudini del PdL. Per il vice di Feltri la regola numero uno è quella di provare ad attaccare Fini, e non avendo motivazioni intelligenti (ne ha mai avute? ah sì, quando Tartaglia aggredì Berlusconi scrisse che i mandanti morali erano Fini e Casini..) ha deciso di allenarsi coi temini da diario adolescenziale. 

Va detto però che buona parte degli italiani vive la politica con spirito ideologico. Ci sono un sacco di persone che votano il centro destra perché hanno l'allergia ai "comunisti", così come ce ne sono altrettante che arrivano alla conclusione opposta perché non vogliono regalare il paese ai "fascisti". Questa parte dell'elettorato non valuta la proposta politica, ma il colore di chi la espone. Non sto a spiegare il mio schifo per chi ragiona in questo modo, soprattutto se ha meno di cinquant'anni perché per gli altri si può fare un'eccezione. Ad ogni modo oggi è ridicolo parlare di "comunisti" e "fascisti", ed è altrettanto certo che al Giornale pensino di avere dei lettori manichei e ideologizzati (gente che non mangia la pasta col pomodoro perché è rosso). Forse è per questo che l'analisi comico - politica del Sallusti si intitolava "Povera sinistra: da Gramsci a Fini". Come se Fini fosse di sinistra perché contrario a parte della politica berlusconiana. Come se Berlusconi, con una politica orientata alla risoluzione dei propri interessi, fosse di destra.

Potrà piacere o no, potrà ispirare fiducia o meno, ma è oggettivo constatare che Fini, negli ultimi quattro anni, ha seguito una linea che rappresenta una forte rottura col suo passato. La decisione di confluire nel PdL resta una macchia, anche se politicamente aveva una sua logica. Però, se restiamo concentrati sui temi caldi (legalità, ruolo del Parlamento, federalismo, ruolo dell'informazione, ecc) Fini ha mantenuto una sua coerenza nel breve periodo.  Alla fine è dalle elezioni del 2006 che ha condiviso queste posizionii. Chi si nasconde dietro la frase del "è inaffidabile perché ha cambiato idea", dovrebbe allora ricordarsi anche dei Ministri Socialisti che ora sono nel PdL, del signor Bondi che stava nel PCI, di Capezzone che stava nei radicali, dei La Russa & co che in piena Tangentopoli avevano le t-shirt inneggianti a Di Pietro. Se cerchiamo gente dura e pura, allora è meglio non votare.

Dall'altra parte invece il vuoto politico sta diventando enorme. Bersani ha anche preparato alcune proposte interessanti, ma paga la disgregazione del PD. Nel complesso le opposizioni non hanno la capacità di allestire una valida alternativa e questa loro debolezza ridà ossigeno ad un Governo in difficoltà. Sia da una parte, che dall'altra, i nodi irrisolti vengono al pettine.