La storia di Riccardo Riccò la conoscono tutti gli appassionati. Nel Tour 2008 ha entusiasmato il pubblico italiano e francese, ma la sua vicenda si è trasformata da sogno a incubo nello spazio di una settimana. I controlli anti doping disposti dall'organizzazione del Tour evidenziarono un uso di CERA (che all'epoca era l'EPO di ultima generazione), le due vittorie conquistate nella Grande Boucle furono cancellate e la favola del modenese finì in malo modo. Il Cobra si è visto comminare una squalifica di due anni, poi ha avuto una riduzione di un sesto, e da pochi mesi è tornato a gareggiare con la "Ceramica Flaminia". Riccò ha ottenuto qualche buon piazzamento vincendo tappe alla Settimana Lombarda, al Giro del Trentino e aggiudicandosi la classifica finale del Giro d'Austria. Questi risultati, e la ben più importante promessa di non sgarrare una seconda volta, sono stati utili per attirare l'attenzione di molti top team alla ricerca di corridori capaci di fare classifica nelle grandi corse a tappe. La Quick Step ha così offerto un contratto a Riccò, che si è svincolato dalla "Ceramica Flaminia", e si sta preparando per correre la Vuelta a Settembre.
Di storie come questa ce ne sono tante nel ciclismo. Le positività sono tante e nonostante i vani tentativi di costruire rigidi codici etici (anni fa ne fu proposto uno che prevedeva di bandire dal Pro Tour coloro che erano stati trovati positivi), la storia si ripete: un ex dopato torna in gruppo. Non voglio criminalizzare Riccò, alla fine è solo un ragazzo che ha sbagliato ed è giusto che abbia la possibilità di competere ad alto livello. Detto ciò va anche ricordato che ogni storia di doping ha le sue peculiarità e la storia del Cobra è una delle peggiori. Qui non parliamo di un ematocrito pazzo quando tutto il gruppo giocava con la salute, e non parliamo neanche di sacche di sangue messe da parte per poter frodare nel futuro, ma parliamo di vittorie, di imprese che hanno scaldato il cuore degli appassionati, e che erano costruite sulla menzogna. La storia di Riccò non è neanche lontanamente paragonabile ai casi Basso e Pantani perché in un caso non ci fu alterazione (provata) delle prestazioni sportive, mentre nell'altro si parla di un'epoca in cui c'era ben altra sensibilità rispetto al problema del doping (e comunque anche in quel caso non fu dimostrato). Riccò ha frodato nel 2008, dopo che l'opinione pubblica era ormai stordita, rassegnata, e alla disperata ricerca di esempi positivi e soprattutto puliti. Perdonarlo è doveroso, ma è difficile tifarlo.
Di storie come questa ce ne sono tante nel ciclismo. Le positività sono tante e nonostante i vani tentativi di costruire rigidi codici etici (anni fa ne fu proposto uno che prevedeva di bandire dal Pro Tour coloro che erano stati trovati positivi), la storia si ripete: un ex dopato torna in gruppo. Non voglio criminalizzare Riccò, alla fine è solo un ragazzo che ha sbagliato ed è giusto che abbia la possibilità di competere ad alto livello. Detto ciò va anche ricordato che ogni storia di doping ha le sue peculiarità e la storia del Cobra è una delle peggiori. Qui non parliamo di un ematocrito pazzo quando tutto il gruppo giocava con la salute, e non parliamo neanche di sacche di sangue messe da parte per poter frodare nel futuro, ma parliamo di vittorie, di imprese che hanno scaldato il cuore degli appassionati, e che erano costruite sulla menzogna. La storia di Riccò non è neanche lontanamente paragonabile ai casi Basso e Pantani perché in un caso non ci fu alterazione (provata) delle prestazioni sportive, mentre nell'altro si parla di un'epoca in cui c'era ben altra sensibilità rispetto al problema del doping (e comunque anche in quel caso non fu dimostrato). Riccò ha frodato nel 2008, dopo che l'opinione pubblica era ormai stordita, rassegnata, e alla disperata ricerca di esempi positivi e soprattutto puliti. Perdonarlo è doveroso, ma è difficile tifarlo.
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