giovedì 19 agosto 2010

Il team Geox prende pure Menchov e Riccò passa alla Vacansoleil

Dopo Carlos Sastre il team Geox ha effettuato un'altra acquisizione importante. Denis Menchov ha infatti deciso di abbandonare la Rabobank, squadra con cui corre dal 2005, e ha firmato un contratto biennale col team di Mauro Gianetti. Menchov ha vinto due Giri di Spagna e un Giro d'Italia, collezionando due terzi posti al Tour de France. Il team Geox dovrebbe ora concentrarsi su Damiano Cunego che diverrebbe il naturale leader della squadra per le classiche delle Ardenne.

Nel frattempo il ritorno di Riccardo Riccò nel circuito Pro Tour ha subito una brusca frenata. La scorsa settimana pareva che l'accordo tra il modenese e la Quick Step fosse cosa fatta. Mancava  solo l'ufficialità, ma alcune interviste dei diretti interessati davano per certa l'operazione. L'imprevisto colpo di scena si è materializzato durante lo scorso fine settimana, quando la Quick Step ha tentennato e Riccò ha deciso di accettare la proposta della Vacansoleil, squadra olandese che mira ad entrare nel Pro Tour. Il Cobra non correrà quindi la prossima Vuelta ed ora trova come compagni di squadra gli italiani Ongarato e Carrara, e dal prossimo anno dovrebbe correre con l'ex campione del Belgio Devolder. La mia impressione è che per Riccò si tratta di un passo indietro, del resto oggi tra Quick Step e Vacansoleil non c'è paragone.

Possiamo esercitarci in diversi giochi di fantasia per ricercare le motivazioni che hanno spinto la Quick Step a desistere dall'operazione. Sulla Gazzetta si è parlato di problemi legati ad alcuni sponsor tecnici (gli scarpini), anche se la cosa mi pare improbabile: non credo si mandi a monte una trattativa per questioni di quella portata. Forse è più razionale immaginare che la Quick Step non avesse totale fiducia nel modenese.

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martedì 17 agosto 2010

L'assalto a Fini e la reazione di Napolitano

Da quando si è consumata la rottura tra Fini e Berlusconi, il Giornale e Libero hanno iniziato una campagna martellante contro il Presidente della Camera, tirando fuori dal cassetto lo scandalo della casa di Montecarlo. La cosa è stata presentata da Feltri, Belpietro e il bel Sallusti, come la madre di tutte le malafatte, come la goccia che doveva generare un terremoto nella politica italiana, arrivando a causare le dimissioni della terza carica istituzionale.

E' ancora presto per dire che la montagna ha partorito un topolino perché dietro agli articoli dei giornalisti pagati da Berlusconi immagino che si celi un fondo di verità. La cosa che stride con la realtà, e con la virtù dell'equilibrio, è l'enfasi data all'intera vicenda, soprattutto se la paragoniamo con altre. Qualche incauto pidiellino si è lanciato in improbabili paragoni con il caso Scajola, quando invece l'ex Ministro ligure era in una posizione ben diversa. Infatti quello per cui Marco Biagi era un "rompicoglioni" ignorava chi gli avesse generosamente pagato la casa e, fatto ancor più grave, ignorava i motivi che avrebbero spinto l'anonimo benefattore a compiere un gesto così altruista. Il parallelo tra Fini e Scajola regge solo perché l'oggetto è comune, ma, a ben vedere, sarebbe un po' come dire che Baggio e Barone sono paragonabili. La vicenda Fini dimostra l'inadeguatezza dei criteri che regolano la gestione dei patrimoni di cui dispongono i partiti italiani. L'operazione di compravendita è stata effettuata ad un prezzo di favore (anche se bisognerebbe considerare lo stato dell'immobile) ed è poco edificante vedere un partito che vende un bene a delle società di cui si ignorano i proprietari. Immagino che  la gestione degli immobili sia affidata ad alcune persone nominate dai vertici politici, ma poi sarebbe interessante approfondire le responsabilità giuridiche dei diversi soggetti e il livello di autonomia di cui godevano i diversi amministratori. Fermo restando che rispetto al conflitto d'interessi generato dal coordinatore del PdL - Denis Verdini - parliamo di pagliuzze. Nella peggiore delle ipotesi Fini ha usato per scopi personali il potere politico che i tesserati del suo partito gli avevano concesso. Se anche avesse beneficiato dell'operazione non avrebbe tradito la fiducia degli italiani e non avrebbe macchiato la carica istituzionale che copre. Si creerebbero però i presupposti per valutare la sua affidabilità a ricoprire la terza carica dello Stato, ma considerato il curriculum dell'ex alleato e il momento storico - politico, non credo che si arriverebbe ad un passo indietro.

In tutto questo caos sono emerse alcuni vizietti italiani, ben presenti nel berlusconismo. In primis il tentativo di screditare i Tulliani, colpevoli di arrivismo in una società di anime pie, in cui il berlusconismo incarna i principi della meritocrazia e punisce la lunga schiera di paraculi - arrivisti. In secondo luogo il tentativo di condizionare l'arbitro, vizio bipartisan perché certe esternazioni di Di Pietro si spiegavano da sole. Napolitano ha mostrato grande equilibrio, ha espresso opinioni personali che, fino a prova contraria, sono criticabili. I parlamentari del PdL che hanno aggredito il capo dello Stato dimostrano di essere coi nervi a fior di pelle, forse qualche improvvisato consigliere di Berlusconi ha fatto male i conti sui finiani e ora deve mostrarsi duro e puro per farsi perdonare. La replica di Napolitano a Bianconi è stata esemplare, ma per correttezza avrebbe dovuto essere altrettanto duro con Di Pietro, che a mezzo stampa ne aveva richiesto l'impeachment.

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Una buona notizia per il ciclismo italiano: nasce il team Geox

Il ciclismo italiano non vive un momento felice e l'avvento di un nuovo sponsor intenzionato a costruire un top team è un evento che può segnare un'inversione di tendenza. Il declino del pedale è in atto da un decennio ed è dovuto al mancato ricambio generazionale - la generazione di fenomeni del '70 era di tutt'altro livello rispetto a quella degli '80 - e all'impressionante serie di disinvestimenti occorsa nell'ultimo decennio. La diaspora degli sponsor italiani è stata influenzata dalle vicende di doping e dal modo in cui esse sono state raccontate dai media. Tanto per esser chiari è bene ricordare che in Italia non c'è stato alcuno scandalo della portata dell'affaire Festina (un'intera squadra cacciata per doping nel Tour 1998), o del caso TVM sempre al Tour del 1998. Ma forse è più esplicito un parallelo spontaneo tra due grandi campioni estromessi da due grandi corse a tappe mentre erano leader della classifica generale. Pantani è stato espulso dal Giro 1999 per il più insignificante dei controlli, mentre Heras è stato squalificato dalla competizione perché trovato positivo all'EPO. Tra le due cose c'è una bella differenza, e la parola insignificante non vuole in alcun modo mettere in dubbio l'autorevolezza del test, che però va soppesato con il giusto equilibrio.

Nonostante il doping sia una questione internazionale, in Italia si è creato un clima di totale sfiducia, alimentato dalla lunga schiera di giornalisti avvoltoi. Sono così spariti diversi sponsor storici, come ad esempio la Mapei, la Mercatone Uno, la Fassa Bortolo, la Saeco, il Team Polti. Tutte squadre che avevano un occhio di riguardo per gli atleti italiani e permettevano loro di crescere, partecipando alle corse più importanti. Ad oggi nel circuito Pro Tour abbiamo solo la Lampre e la Liquigas. Il numero di atleti italiani ingaggiati dai team stranieri resta limitato, e ci troviamo con una miriade di team Continental che schierano buoni corridori, ma che non partecipano alle competizioni più importanti. Il campione italiano corre per la LSD Neri, poi ci sono la "Acqua & Sapone", la "Androni Giocattoli", la "Ceramica Flaminia", la "Carmiooro NGC", la "Colnago CSF-Inox" e la "De Rosa Plastic". Tutte squadre cui dobbiamo fare un plauso per la passione che alimenta meccanici, direttori sportivi e addetti vari, ma che non possono offrire ai loro atleti la ribalta internazionale. Insomma accanto a questi team che animano le competizioni nazionali (e che andrebbero invitati al Giro) servono almeno cinque top team che corrono Tour, Vuelta e grandi classiche. In un movimento in salute i team Continental dovrebbero essere il trampolino di lancio per i neoprofessionisti che poi devono mirare allo sbarco nei team Pro Tour.

L'avvento del team Geox è una buona notizia perché potrebbe segnare un'inversione di tendenza. Il primo colpo messo a segno da Mauro Gianetti - team manager del team Geox - risponde al nome di Carlos Sastre, tenace scalatore iberico che ha vinto il Tour 2008. Sastre mi sembra in fase calante perché ha 35 anni e nell'ultimo anno non ha mai convinto, sia al Giro che al Tour. Ma forse ha commesso degli errori nella preparazione e può ancora fare qualcosa di interessante nella prossima stagione. Di certo Sastre è un nome capace di dare grande visibilità al team italiano e spero che si aggiungano nuovi campioni, come ad esempio Menchov e Kreuziger, con la costruzione di una base costituita da giovani italiani.

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lunedì 16 agosto 2010

A cosa serve lo scambio tra Kaladze e Grosso?

I tifosi hanno ormai preso confidenza con alcuni termini che di sportivo hanno ben poco, ma da anni riempiono le pagine dei quotidiani sportivi. I concetti di plusvalenza, minusvalenza, ammortamento, ecc, rientrano nell'insieme delle competenze che dovrebbe avere un tifoso evoluto del terzo millennio. Ma alla fine il calcio è uno sport, e se un club è controllato attraverso delle S.P.A. che devono rispettare gli obblighi previsti dalla legge, questa non è una buona ragione per accettare che i discorsi sportivi si trasformino solo in discorsi economici. Con questo non voglio in alcun modo sminuire le capacità di quei manager che badano con efficacia ai risultati e al bilancio, ma voglio solo chiarire che il punto di vista del vero sportivo non deve essere quello dell'investitore.

L'ossessione del risultato economico è diventata una costante nei discorsi sul pallone. I club virtuosi erano, e sono, quelli capaci di costruire società sostenibili, ovvero team in cui l'ammontare dei costi operativi era più che bilanciato dai ricavi operativi. Il doping amministrativo si è sempre celato dietro giochetti sporchi fatti per salvare il risultato di bilancio nel breve periodo. Negli ultimi dieci anni, tanto per fare un esempio, abbiamo visto tantissime operazioni di mercato che coinvolgevano due club e prevedevano uno scambio alla pari tra diversi giocatori. Ricordo operazioni sull'asse Roma - Parma (Ferronetti, Mangone, Fuser) e anche tra le due milanesi. Milan ed Inter hanno scambiato alla pari buoni giocatori come Brocchi, Simic, Helveg, Guly, e campioni scambiati per comprimari come Pirlo e Seedorf. Ma oltre a questi casi famosi ci sono state anche svariate operazioni che hanno visto protagonisti giocatori del vivaio. Nella stragrande maggioranza dei casi (quindi escludiamo i casi Pirlo e Seedorf) si trattava di operazioni in cui si drogava il bilancio gonfiando il valore degli atleti scambiati. Il gioco permetteva di generare delle plusvalenze fittizie perché esistevano solo sulla carta, infatti, essendo determinate da operazioni di scambio, non c'era alcun beneficio di cassa.

Spero che lo scambio Kaladze - Grosso, di cui si parla da Ferragosto, non rientri nel filone sopracitato, anche se alcune cose fanno pensare in quella direzione. I due giocatori hanno stipendi sproporzionati rispetto all'attuale valore, quindi se Juventus e Milan dovessero scambiarseli non migliorerebbero la loro situazione operativa. In secondo luogo l'operazione sarebbe insignificante a livello tecnico - tattico. La Juventus ha una voragine a sinistra e, se non dovesse trovare un terzino all'altezza, avrebbe bisogno di Grosso. Il Milan a sinistra ha Antonini, Jankulosky (in rotta col club) e potrebbe utilizzare persino Zambrotta. Oltre a questo c'è anche da considerare l'età e la parabola dei protagonisti. Entrambi hanno 32 anni, e quindi possono dare qualcosa, ma sembrano in declino. Nel frattempo l'Inter se la ride.

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Un Milan di transizione, ma per qualcuno vale più dell'Inter

Il Milan pretende di essere la seconda forza del campionato, ma, dall'inaspettata  vittoria nella Champions League del 2007, non ha mai dato l'impressione di poter competere con l'Inter. La stagione 2009/10 è stata emblematica sotto questo punto di vista. Se ci focalizziamo solo sul campionato possiamo dire che l'Inter ha fatto un enorme sforzo per perderlo, mentre i giocatori del Milan hanno dato l'impressione di giocare superando i loro limiti e sopperendo alle difficoltà oggettive generate dal fatto di poter contare su una rosa limitata. Nonostante ciò, l'Inter ha vinto il campionato rifilando una decina di punti ai cugini rossoneri, e nei due derby è stata autentica mattanza. Ogni tentativo di spiegare questo risultato limitandosi a considerare gli infortuni di Pato e Nesta è grossolano e si allinea perfettamente con la mentalità miope dei dirigenti rossoneri, che sono ormai maestri nel negare l'evidenza.

Ma certi giochi alla Minzolini è un po' difficile farli quando si parla di calcio agli italiani. Le barzellette di Galliani sui tifosi evoluti non hanno avuto l'effetto sperato generando un movimento di ironica protesta, che ha manifestato il suo disappunto durante il primo giorno di allenamenti dei rossoneri (20 luglio 2010). Il movimento dei tifosi non evoluti ha posto alcuni argomenti interessanti e condivisibili. Su tutti credo che abbiano ragione per quanto riguarda il connubio soldi e sport, al tifoso interessano i risultati e il livello di gioco espresso dalla squadra, le questioni economiche sono il mezzo necessario per raggiungere quel fine, ma alla fine toccano solo il portafoglio del Presidente. Nel caso del Milan poi si realizza un miracolo negativo. Il club sembrerebbe disporre di poca liquidità, ma, nonostante effettui campagne acquisti morigerate, genera una perdita netta enorme. Questo disastro economico (che non è correlato coi risultati sportivi, l'Inter ne è la controprova) è figlio di opinabili scelte per quel che riguarda la composizione della rosa e i compensi destinati ai calciatori. Il Milan deve tagliare il suo monte ingaggi ed oggi paga la scelta di affidarsi solo a giocatori maturi che percepiscono cifre superiori rispetto ai giovani, e non garantiscono alcun beneficio in termini di risultati. I casi di Oddo, Jankulosky e Kaladze, senza andare a rivangare gli errori del recente passato, sono strafalcioni grossolani commessi da dirigenti poco lungimiranti.

Potrei stare qui a parlare della rosa e delle lacune. Ad una prima impressione i problemi sono i soliti: in difesa dopo Nesta c'è il vuoto, a centrocampo urgono forze fresche e in attacco serve che Ronaldinho e Pato garantiscano continuità. Magari i due brasiliani potrebbero iniziare ad essere più professionali perché lo stato di forma con cui Ronaldinho osa presentarsi ai raduni, tanto per fare un esempio, vanifica il lavoro fisico fatto nella stagione precedente dallo staff.

Ad oggi la campagna acquisti si limita agli arrivi di: un buon secondo portiere - Amelia -, un terzino del Genoa - Sokratis -, un centrale over 30 - Yepes - e, forse, un giovane mediano autore di un buon Mondiale - Boateng -. Per il resto stupisce il comportamento dei vertici rossoneri, Presidente su tutti. La conferenza stampa del primo giorno di raduno sembrava un estratto di un film demanziale americano. Berlusconi si è lanciato in sperticati elogi a Ronaldinho e strampalate considerazioni sulla sua posizione in campo. Poi c'è stata la gaffe "sull'ottimo Mondiale di Thiago Silva", che però ha giocato solo le partitelle di allenamento, ed infine la solita colata di stile contro il mite Leonardo, reo di aver schierato Huntelaar sulla fascia per un quarto d'ora e incapace di valorizzare Ronaldinho e Pato (quando invece costruì la squadra su quei due). La situazione è diventata imbarazzante persino per Allegri che si è visto dettare la formazione dal poliedrico Presidente. Si preannuncia il solito anno di alti e bassi.

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domenica 15 agosto 2010

Una Juventus a fari spenti

Il 2009/10 doveva essere l'anno della definitiva rinascita bianconera. Per gli addetti ai lavori la Juventus partiva alla pari con l'Inter di Mourinho. L'allora ct della nazionale, Marcello Lippi, si sbilanciò e dichiarò di vedere i bianconeri come favoriti principali per la corsa al tricolore. Ma dopo gli abbagli estivi, il tanto parlare sulla bravura di Alessio Secco, giovane direttore generale capace di portare a Torino quei giocatori (Felipe Melo e Diego) che avrebbero dovuto aiutare il club ad annullare il gap dai nerazzurri, e gli arditi parallelismi tra Ferrara e Guardiola, è arrivato il campo a stroncare le speranze juventine.

Quest'anno la Juventus parte dal fondo, non è favorita e si ha quasi l'impressione che alcune scelte scellerate (campagne acquisti 2008/09 e 09/10, più la cacciata di Ranieri) abbiano fatto fare diversi passi indietro al club più scudettato d'Italia. Gli acquisti della nuova gestione Marotta non sono esaltanti, nella migliore delle ipotesi sono delle scommesse per il futuro. Del resto ai vari Motta, Bonucci, Martinez e Pepe, non si può chiedere di trasformare una zucca in una carrozza, però si può pretendere un livello di gioco e di impegno superiore rispetto all'indegna stagione passata. La società dovrà essere brava nel proteggere i giovani perché saranno l'ossatura di un gruppo che dovrà aspirare a traguardi ambiziosi, ma che nel presente non può fare alcun miracolo. A tal fine sarebbe importante evitare situazione come quelle occorse ai Criscito e a Molinaro, giocatori vessati e maltrattati ingiustamente.

Va invece fatto un discorso diverso per il reparto offensivo dove il dualismo Diego - Del Piero sarà un tormentone che accompagnerà la stagione dei bianconeri. Il brasiliano sembrava in procinto di passare in Bundesliga, ma dopo alcune brillanti prove potrebbe esserci un ripensamento. Anzi, per completezza direi che Diego è emerso per la scarsa forma dei compagni di reparto. Del Piero deve capire che nell'interesse della Juventus non può pretendere una maglia da titolare. Trezeguet garantirà il solito contributo, sempre che non sia martoriato dagli infortuni, mentre Amauri è un'incognita. L'unico attaccante cedibile è Vincenzo Iaquinta perché non è più giovanissimo, non garantisce i gol di Trezeguet e si è dimostrato troppo fragile (ogni due per tre è infortunato). Ma se si procederà ad un sacrificio sarà necessario rinvestire i proventi per migliorare la squadra nelle zone in cui è più debole, cercando un terzino sinistro (De Ceglie vale più di Molinaro?) e un centrocampista centrale capace di giocare la palla.

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sabato 14 agosto 2010

Belinelli agli Hornets, sarà la volta buona?

Dopo aver vestito la casacca di Warriors e Raptors, Marco Belinelli vestirà nel 2010/11 i colori dei New Orleans Hornets, dove giocherà con Paul e Stojakovic. Il trasferimento dell'ex Fortitudo era inatteso, ma certifica la delusione che circonda l'intera esperienza in NBA del bolognese.

Belinelli fu scelto al draft 2007 dai Golden State Warriors. Don Nelson, allenatore dei Warriors, lo riempì di elogi e gli esordi nell'insignificante Summer League furono un'illusione estiva. L'impatto con la stagione regolare è stato infatti devastante. Per due anni Belinelli ha dovuto lottare con una serie di piccoli problemi fisici che non gli hanno permesso di giocare con continuità e, soprattutto, ha dovuto vivere in un ambiente in cui non sentiva molta fiducia. Dopo gli elogi estivi del 2007, Don Nelson ha riservato a Belinelli un trattamento schizofrenico, alternando periodi in cui lo considerava titolare inamovibile, con altri in cui lo metteva in fondo alle rotazioni. Oltre alle scelte tecniche, Belinelli ha pagato anche il fatto di giocare in una franchigia in netto declino che, dopo il miracolo dei playoff 2007 (anno in cui eliminarono i Dallas Mavericks) non ha saputo ripetere quelle gesta. Il trasferimento ai Raptors è sembrato un toccasana perché a Toronto avrebbe trovato una squadra più ambiziosa e un ambiente più europeo. Ma anche in Canada ci sono stati grossi problemi. Triano ha usato Belinelli con più equilibrio, però l'ha trascurato nel disastroso finale di stagione dei Raptors, preferendogli dei giocatori meno tecnici e più atletici. Il passaggio agli Hornets è un punto decisivo per la carriera di Belinelli. Per l'ennesima volta troverà una franchigia che molto probabilmente non giocherà i playoff, ma deve capire quale può essere la sua collocazione nell'NBA. Sempre che ci sia spazio.

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Riccò passa alla Quick Step per tornare nel ciclismo che conta

La storia di Riccardo Riccò la conoscono tutti gli appassionati. Nel Tour 2008 ha entusiasmato il pubblico italiano e francese, ma la sua vicenda si è trasformata da sogno a incubo nello spazio di una settimana. I controlli anti doping disposti dall'organizzazione del Tour evidenziarono un uso di CERA (che all'epoca era l'EPO di ultima generazione), le due vittorie conquistate nella Grande Boucle furono cancellate e la favola del modenese finì in malo modo. Il Cobra si è visto comminare una squalifica di due anni, poi ha avuto una riduzione di un sesto, e da pochi mesi è tornato a gareggiare con la "Ceramica Flaminia". Riccò ha ottenuto qualche buon piazzamento vincendo tappe alla Settimana Lombarda, al Giro del Trentino e aggiudicandosi la classifica finale del Giro d'Austria. Questi risultati, e la ben più importante promessa di non sgarrare una seconda volta, sono stati utili per attirare l'attenzione di molti top team alla ricerca di corridori capaci di fare classifica nelle grandi corse a tappe. La Quick Step ha così offerto un contratto a Riccò, che si è svincolato dalla "Ceramica Flaminia", e si sta preparando per correre la Vuelta a Settembre.

Di storie come questa ce ne sono tante nel ciclismo. Le positività sono tante e nonostante i vani tentativi di costruire rigidi codici etici (anni fa ne fu proposto uno che prevedeva di bandire dal Pro Tour coloro che erano stati trovati positivi), la storia si ripete: un ex dopato torna in gruppo. Non voglio criminalizzare Riccò, alla fine è solo un ragazzo che ha sbagliato ed è giusto che abbia la possibilità di competere ad alto livello. Detto ciò va anche  ricordato che ogni storia di doping ha le sue peculiarità e la storia del Cobra è una delle peggiori. Qui non parliamo di un ematocrito pazzo quando tutto il gruppo giocava con la salute, e non parliamo neanche di sacche di sangue messe da parte per poter frodare nel futuro, ma parliamo di vittorie, di imprese che hanno scaldato il cuore degli appassionati, e che erano costruite sulla menzogna. La storia di Riccò non è neanche lontanamente paragonabile ai casi Basso e Pantani perché in un caso non ci fu alterazione (provata) delle prestazioni sportive, mentre nell'altro si parla di un'epoca in cui c'era ben altra sensibilità rispetto al problema del doping (e comunque anche in quel caso non fu dimostrato). Riccò ha frodato nel 2008, dopo che l'opinione pubblica era ormai stordita, rassegnata, e alla disperata ricerca di esempi positivi e soprattutto puliti. Perdonarlo è doveroso, ma è difficile tifarlo.

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Contador saluta l'Astana e va da Riis

Dopo il Tour 2010 sono arrivati i primi grossi trasferimenti nel mondo del ciclismo. Alberto Contador saluta l'Astana e va alla corte di Bjarne Riis. Nel frattempo i fratelli Schleck hanno annunciato il loro addio al team Saxo Bank e correranno nel 2011 in una nuova squadra avente come sponsor una società lussemburghese. Chiaramente non è chiaro se sia nato prima l'uovo o la gallina, ovvero se è stata la decisione di Contador a causare la partenza dei fratelli Schleck o se invece l'addio tra i due lussemburghesi e Riis era già programmato da tempo. Ma poco importa, questo sono solo dettagli di poco conto, così come è stucchevole un dibattito sulle motivazioni economiche dietro le scelte degli atleti: ai tifosi non credo interessi fare i conti in tasca al beniamino di turno.

Di certo la scelta di Contador è opinabile. All'Astana ha vissuto tre anni tormentati. Nel 2008 non ha potuto correre il Tour e ha dovuto ripiegare su Giro e Vuelta (vincendoli entrambi, ma incantando solo in Spagna). Nel 2009 ha vinto un Tour da separato in casa perché si è trovato a correre contro la sua stessa squadra. Nel 2010 ha rivinto il Tour de France senza ripetere le performance del 2009, però ha potuto contare su una squadra unita e costruita secondo le sue istruzioni. Insomma se doveva esserci un divorzio Astana - Contador era lecito aspettarselo negli anni passati. Il trasferimento nel team di Riis poi non mi entusiasma perché il danese è un manager abile nel programmare impegni e allenamenti, ma estremamente monotono e noioso nella gestione delle corse a tappe. Se c'è qualcuno che può guadagnare qualcosa dal mercato quello è infatti Andy Schleck. Senza gli ossessivi vincoli tattici può finalmente dare libero sfogo a quella sana pazzia che magari non riempie il palmares, ma riconcilia i tifosi con lo sport.

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