martedì 17 agosto 2010

L'assalto a Fini e la reazione di Napolitano

Da quando si è consumata la rottura tra Fini e Berlusconi, il Giornale e Libero hanno iniziato una campagna martellante contro il Presidente della Camera, tirando fuori dal cassetto lo scandalo della casa di Montecarlo. La cosa è stata presentata da Feltri, Belpietro e il bel Sallusti, come la madre di tutte le malafatte, come la goccia che doveva generare un terremoto nella politica italiana, arrivando a causare le dimissioni della terza carica istituzionale.

E' ancora presto per dire che la montagna ha partorito un topolino perché dietro agli articoli dei giornalisti pagati da Berlusconi immagino che si celi un fondo di verità. La cosa che stride con la realtà, e con la virtù dell'equilibrio, è l'enfasi data all'intera vicenda, soprattutto se la paragoniamo con altre. Qualche incauto pidiellino si è lanciato in improbabili paragoni con il caso Scajola, quando invece l'ex Ministro ligure era in una posizione ben diversa. Infatti quello per cui Marco Biagi era un "rompicoglioni" ignorava chi gli avesse generosamente pagato la casa e, fatto ancor più grave, ignorava i motivi che avrebbero spinto l'anonimo benefattore a compiere un gesto così altruista. Il parallelo tra Fini e Scajola regge solo perché l'oggetto è comune, ma, a ben vedere, sarebbe un po' come dire che Baggio e Barone sono paragonabili. La vicenda Fini dimostra l'inadeguatezza dei criteri che regolano la gestione dei patrimoni di cui dispongono i partiti italiani. L'operazione di compravendita è stata effettuata ad un prezzo di favore (anche se bisognerebbe considerare lo stato dell'immobile) ed è poco edificante vedere un partito che vende un bene a delle società di cui si ignorano i proprietari. Immagino che  la gestione degli immobili sia affidata ad alcune persone nominate dai vertici politici, ma poi sarebbe interessante approfondire le responsabilità giuridiche dei diversi soggetti e il livello di autonomia di cui godevano i diversi amministratori. Fermo restando che rispetto al conflitto d'interessi generato dal coordinatore del PdL - Denis Verdini - parliamo di pagliuzze. Nella peggiore delle ipotesi Fini ha usato per scopi personali il potere politico che i tesserati del suo partito gli avevano concesso. Se anche avesse beneficiato dell'operazione non avrebbe tradito la fiducia degli italiani e non avrebbe macchiato la carica istituzionale che copre. Si creerebbero però i presupposti per valutare la sua affidabilità a ricoprire la terza carica dello Stato, ma considerato il curriculum dell'ex alleato e il momento storico - politico, non credo che si arriverebbe ad un passo indietro.

In tutto questo caos sono emerse alcuni vizietti italiani, ben presenti nel berlusconismo. In primis il tentativo di screditare i Tulliani, colpevoli di arrivismo in una società di anime pie, in cui il berlusconismo incarna i principi della meritocrazia e punisce la lunga schiera di paraculi - arrivisti. In secondo luogo il tentativo di condizionare l'arbitro, vizio bipartisan perché certe esternazioni di Di Pietro si spiegavano da sole. Napolitano ha mostrato grande equilibrio, ha espresso opinioni personali che, fino a prova contraria, sono criticabili. I parlamentari del PdL che hanno aggredito il capo dello Stato dimostrano di essere coi nervi a fior di pelle, forse qualche improvvisato consigliere di Berlusconi ha fatto male i conti sui finiani e ora deve mostrarsi duro e puro per farsi perdonare. La replica di Napolitano a Bianconi è stata esemplare, ma per correttezza avrebbe dovuto essere altrettanto duro con Di Pietro, che a mezzo stampa ne aveva richiesto l'impeachment.

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