Mentre Berlusconi continua la sua personalissima campagna acquisti, il mondo va avanti. Se avessimo un Governo decente, la crisi economica sarebbe l'unico tema rilevante e l'azione dell'esecutivo dovrebbe derivare da un'attenta analisi della situazione attuale, individuando un'idea di Italia capace di risultare vincente nel lungo periodo. Il prestigio dell'Italia nel mondo non si misura contando le pacche sulle spalle che il nostro Presidente del Consiglio dà a Putin, ma valutando la competitività e il livello di innovazione delle nostre aziende. Il paese non può perciò essere visto come un insieme di realtà in conflitto tra loro per ottenere le risorse pubbliche (giovani contro anziani, lavoratori dipendenti contro autonomi, italiani contro extracomunitari, ecc..), ma come un sistema ricco di interconnessioni in cui il livello di benessere è legato alla coesione sociale, alla capacità innovativa delle aziende e al livello qualitativo di alcuni servizi fondamentali. Il Governo sta fallendo su tutta la linea, ma preme sottolineare che i disinvestimenti nella scuola, nell'università, nel trasporto pubblico e nella giustizia (le riforme di cui si parla servono a salvare il Cavaliere dai processi, non risolvono i problemi veri), avranno un impatto molto forte sul futuro dell'Italia e sulla qualità della vita degli italiani. Il Governo che sogno dovrebbe innanzitutto cambiare approccio ai problemi, non più un atteggiamento tattico per la sopravvivenza nel breve periodo, ma un piano strategico per rafforzare i fattori critici di successo nel lungo periodo. La scuola e l'università sono un passaggio obbligato per sognare un futuro migliore, sono la base per installare quell'ascensore sociale che manca al paese. Nella sua relazione al Parlamento l'on. De Girolamo (PdL) ha detto che il figlio dell'operaio deve avere la possibilità di fare il notaio. Tutto molto bucolico a parole, ma poi se guardiamo la realtà dei fatti, vediamo che il Governo taglia gli investimenti nell'istruzione e riduce al lumicino le speranze di avere una vera meritocrazia.
Con Berlusconi, Bossi e il sopravvalutato Tremonti, tiriamo a campare. La visibilità arriva al massimo al prossimo weekend, e la gestione della spesa pubblica è puramente quantitativa, mancano quegli elementi qualitativi che qualificano le potenzialità future del paese. Fateci caso, ma avete mai sentito un discorso strategico da quei tre? Berlusconi ha dapprima negato l'esistenza della crisi e si prodigava in inviti continui a consumare come se non vi fosse lo spettro di una recessione. Poi in un secondo luogo, se ne usciva dicendo che eravamo i migliori nel mondo, e allora tutti i peones giù a celebrare il sorpasso del PIL pro capite sul Regno Unito e a raccontare che la Spagna ha le "pezze al culo". Ora, dopo due anni di recessione (finalmente terminata), ci resta solo l'ultima consolazione. Ma che futuro può avere un paese in cui la classe politica non sa offrire il meglio, ma riesce solo a farfugliare che non siamo il peggio?
La tenuta nella crisi economica è stata causata anche da alcune virtù private, che onestamente non hanno molto a che fare con gli evidenti vizi pubblici. Draghi, in una recente relazione, ricordava che gli italiani avevano un patrimonio pro-capite molto alto rispetto agli altri paesi del G8. In una certa misura suggeriva che la caduta del PIL pro-capite era attenuata dalla ricchezza accumulata dalle generazioni passate. In parole povere si vive di rendita, e la cosa non è una buona prospettiva per lo sviluppo e l'innovazione. Al tempo stesso Confindustria ci ricorda che sono stati persi 540 mila posti di lavoro e il PIL crescerà del 1% nel 2011. La strada per tornare ai livelli pre-crisi è irta e ogni confronto con la Germania è impietoso.
Il Governo del fare invece è tutto preso dai complotti contro il premier, dal problema importantissimo delle toghe rosse, dai complotti internazionali per gettare discredito sull'Italia. Di crisi non si parla, le ricette per sostenere l'occupazione si sono limitate alla cassa integrazione. Per l'amor del cielo quello è stato uno sforzo apprezzabile e giusto, ma se non è accompagnato da un cambiamento nel trattamento fiscale del lavoro precario e del lavoro fisso, potremo dire che è stato un palliativo. Ma il Governo non sente da quell'orecchio, e trova coesione solo in una patetica chiusura a riccio, in cui vengono difese tutte le porcate dei faccendieri prestati alla politica che vedono in essa uno strumento per ottenere un arricchimento personale. Si difendono le clientele, si fanno consulenze opinabili (vedi il Ministero del Turismo, anche se bisogna aspettare un giudizio), per poi raccontare al cittadino che non è possibile garantirgli molti servizi fondamentali perché negli anni '70 si è speso troppo, quando invece il Governo del fare ha una scaletta di priorità completamente autoreferenziale. Se gli uomini di Governo volessero il bene del paese troverebbero il modo per potenziare la spesa nell'istruzione perché sarebbe la vera priorità per rilanciare la speranza di un futuro migliore.
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