domenica 2 settembre 2012

Un triplo Pazzo non fa primavera

Le prime due giornate di campionato hanno offerto un Milan a due facce. I tifosi, se confrontano la pessima prestazione offerta contro la Sampdoria (sconfitta 1 a 0) con la buona partita disputata a Bologna (vittoria 3 a 1), rischiano di passare dalla disperazione all'euforia. Una settimana fa l'esordio casalingo del club più titolato al mondo (espressione tanto cara alla dirigenza) è stato deprimente sia per la sconfitta maturata contro un avversario non irresestibile che per le lacune nel gioco dei rossoneri. La manovra era lenta e quindi prevedibile, l'atteggiamento della squadra era dimesso e alcuni presunti titolari hanno fatto rimpiangere gli illustri predecessori. Senza voler individuare un solo responsabile penso per esempio alle difficoltà e agli errori marchiani che ha commesso Bonera ogni volta che veniva pressato da Eder, ossia un giocatore che con ogni probabilità non avrebbe minimamente infastidito Nesta e Thiago Silva.

Con il Bologna c'è stato un evidente passo in avanti a livello di voglia e concentrazione. La formazione iniziale è cambiata per tre undicesimi: Yepes, Flamini e Robinho, sono stati sostituiti da Acerbi (ottimo esordio), Ambrosini e Pazzini. Grazie alla presenza di una prima punta di ruolo, la squadra è parsa più ordinata e meno confusa, mentre nella prima giornata il tridente iniziale non prevedeva alcun centravanti classico e questo ha disorientato il centrocampo. Non bisogna poi dimenticare come il calcio sia legato agli episodi e se contro i blucerchiati i rossoneri avrebbero potuto ottenere un meritato pareggio se solo uno dei due pali si fosse tramutato in gol, al tempo stesso contro il Bologna i gol che hanno portato in vantaggio il Milan sono stati per certi versi casuali. Il rigore è molto dubbio, mentre il raddoppio di Pazzini è un gentile regalo di Agliardi. La terza realizzazione dell'ex nerazzurro è un colpo di puro istinto. Nel complesso la prestazione del Milan è stata più che positiva anche se il Bologna, a differenza della Sampdoria, non ha fatto le barricate e quindi resta da testare la capacità dei rossoneri contro gli amanti del catenaccio. Cosa non da poco perché le squadre italiane che lottano per non retrocedere applicano un calcio simile a quella mostrato dai blucerchiati a San Siro.

Insomma tra qualche partita potremo comprendere la reale dimensione dei rossoneri. Il rischio è quello di ripercorrere una stagione simile alla Juventus di Del Neri in cui ottime prestazioni si alternano a periodi pausa. E la cosa mi sembra probabile considerando anche il curriculum di alcuni giocatori chiave dello scacchiere milanista, Pazzini in primis.

sabato 1 settembre 2012

Le nozze coi fichi secchi della Serie A italiana

Il mercato appena concluso certifica l'involuzione del calcio italiano. Gli anni scorsi era già suonato più di un campanello d'allarme. Basta pensare al crollo dell'Italia nel ranking Uefa, con conseguente riduzione del numero di club italiani ammessi alla Champions League, e valutare senza paraocchi il saldo tecnico delle sessioni di mercato (ove per saldo tecnico si intende la differenza tra chi arriva in Serie A e chi l'abbandona). Ma nonostante questi fatti oggettivi, c'è stata anche la volontà di difendere il valore attribuito al prodotto da vendere. Di conseguenza le valutazioni critiche sullo stato di salute dei club italiani sono sempre passate in secondo piano, e per ogni fatto c'era una scusa buona per non ammettere il ridimensionamento in corso. Se il Ranking Uefa scendeva solo una minoranza osava constatare che il livello medio della Serie A era in calo, mentre la maggioranza preferiva la forma alla sostanza, criticando i meccanismi di calcolo del ranking, in particolare rilevando che i club italiani snobbavano la Coppa Uefa proprio perché preferivano concentrare le loro risorse sul duro campionato. Tipico atteggiamento da fiaba di Esopo ("la volpe e l'uva" per chi non l'avesse capito). Per non parlare del saldo tecnico dove la capacità di fuoco dei nuovi paperoni (sceicchi, russi) diventava una scusa etica per giustificare le cessioni illustri. Come se invece c'era un'etica quando i soldi giravano in Italia e i Berlusconi, gli Agnelli ed i Moratti (senza contare quelli che per stare al loro passo hanno poi perso la proprietà dei rispettivi club), spadroneggiavano in tutta Europa applicando la stessa scellerata politica dei nuovi ricchi, ossia ingaggi raddoppiati e cartellini strapagati.

In tutto questo ci possiamo anche consolare con i tre pareggi in tre giornate del PSG. Possiamo pensare che tutto sommato Ibrahimovic, Thiago Silva, Thiago Motta, Verratti, Pastore, Menez, Lavezzi, Maxwell e Sirigu, non siano una perdita incolmabile. Ma i primi problemi sorgono constatando che non sono arrivati dall'estero giocatori di grido. Emblematico il caso della Juventus, vale a dire i campioni in carica, negli ultimi ha dovuto sempre ripiegare su scarti della Premier e della Liga. Anni fa trattò Xabi Alonso e si ritrovò con Poulsen, oggi invece si è partiti da Van Persie e ci si ritrova Bendtner. Sia chiaro, probabilmente il centravanti danese farà bene perché è un buon giocatore, ma non ha l'identikit del nome di grido che parte della tifoseria attendeva. E non ne faccio una colpa a Marotta ed Agnelli, semplicemente penso sia doveroso constatare che alcuni giocatori non sono alla portata dei club italiani. Se Galliani può affermare, senza poter essere smentito, che De Jong "fra tutti i giocatori arrivati dall'estero, in questo momento è quello con il nome più pesante", c'è qualcosa che non va. Siamo alle nozze coi fichi secchi (cit).