sabato 31 luglio 2010

L'onestà di Schwazer e la pericolosa paura di fare fatica

In questo periodo a Barcelona sono in corso gli Europei di Atletica. Il movimento italiano non sta navigando in  una nuova età dell'oro, ma può contare su alcune buone individualità e sta raccogliendo dei bei risultati.

Non voglio però usare questo spazio per commentare le prestazioni degli atleti azzurri, bensì preferisco concentrarmi sulle parole pronunciate da Alex Schwazer dopo il prematuro ritiro nella 50 km di marcia vinta dal francese Diniz. L'altoatesino è un predestinato, ha già vinto un oro olimpico e ha ottenuto brillanti pazziamenti nei Campionati Mondiali. Pur avendo fallito l'obiettivo della 50 km non tornerà a casa a mani vuote perché nella 20 km ha vinto la medaglia d'argento. Senza alcun ombra di dubbio si può dire che Schwazer sia una delle migliori espressioni dello sport italiano. Fatti i dovuti paragoni lo colloco ai livelli di un Valentino Rossi, anche se, per questioni anagrafiche, ha vinto meno. Ma chiunque segua l'atletica sa che Schwazer ha tutto per diventare un campione capace di cannibalizzare la sua disciplina.

Dopo il ritiro ha rilasciato delle dichiarazioni che gli fanno onore perché ha dimostrato un coraggio ed un'onestà invidiabili. Davanti ai microfoni della stampa non ha cercato scuse per giustificare la prestazione deludente, ma ha esternato il suo disagio, trovando il coraggio di raccontarsi. Del resto chi ha provato a fare sport sa che la vera sfida non è contro i rivali, ma contro se stessi. La cosa vale soprattutto nelle discipline di resistenza (atletica, nuoto, ciclismo, sci di fondo), dove l'atleta combatte un'aspra battaglia per migliorare le sue prestazioni e la fatica è inseparabile compagna di viaggio. Quando ti applichi negli sport di resistenza sai che arriverà un momento in cui i tuoi muscoli chiedono tregua, e tu sei chiamato a dare quel qualcosa in più che spesso fa la differenza tra un buon piazzamento e una prestazione leggendaria. Certo per vincere bisogna avere i mezzi fisici, ma le motivazioni, la voglia di faticare, sono una condizione imprescindibile. Chi ignora quest'aspetto, non sa cosa sia veramente lo sport.

Ammettere di non voler fare fatica è una prova di coraggio. Schwazer l'ha fatto, ed è scontato ricordare che se non c'è la volontà di faticare, mancherà anche la gioia di fare sport. Il campione si è mostrato fragile e vulnerabile, e credo debba valutare bene cosa fare nel futuro. Se non riuscirà a ritrovare gli stimoli e conviverà con la "paura" di fare fatica, allora gli consiglio di mollare con l'agonismo perchè altrimenti andrebbe incontro ad una serie cocente di delusioni. Nell'ultimo decennio c'è stato un altro grandissimo della bicicletta che ha corso con pochi stimoli per due anni e la cosa non l'ha aiutato.

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giovedì 29 luglio 2010

Da compagni di partito a martiri

A leggere il Giornale e Libero c'è da pensare che non ci sia una grossa differenza tra l'affittare un'abitazione del partito ad un parente piuttosto che essere indagati per ipotesi d'associazione segreta. La non morale di Feltri, Belpietro e della schiera di berluscones incalliti la conosciamo benissimo: siccome tutti hanno piccoli o grandi scheletri nell'armadio, allora nessuno può permettersi di fare il moralista. In pratica per questi "giornalisti" l'umanità dovrebbe accontentarsi della mediocrità. Davanti agli scandali finanziari e politici dovremmo scrollare le spalle e porgere l'altra guancia, del resto chi siamo noi per criticare, quando ne abbiam fatte di cotte e di crude?

In realtà già Aristotele aveva zimbellato chi ragionava in questo modo. Non ci vuole molto per capire che quando un giornalista usa l'inchiostro per nascondere la politica, scrivendo a vanvera sui rimborsi elettorali di Grillo (o sugli affari della moglie di Bocchino, o sulla casa di Fini, o  sul nemico di turno di B.), per provare a non parlare di cose ben più serie come  ad esempio gli affari della cricca, le tangenti, la 'ndrangheta e la movida milanese. Lo fa per nascondere qualcosa che c'è, ma è imbarazzante.

Le cronache degli ultimi mesi hanno mostrato i limiti strutturali di un potere carismatico, e le bugie di chi si dichiara liberale anche se non lo è. Con l'aggravante che certi signori sputtanano una parola ed una scuola di pensiero senza eguali, il pensiero liberale meriterebbe ben altri rappresentanti. L'autoproclamatosi liberale al capo del Governo varerà norme che impongono ai blogger l'obbligo di rettifica entro 48 ore, pena il pagamento di una sanzione di 12.500 euro. E' fin troppo chiaro che chi non può controllare quotidianamente il computer finirà per evitare di scrivere, e, a casa mia, quando un Governo propone norme che disincentivano la discussione, è un Governo illiberale. O forse è solo un Governo di gente miope che non ha mai usato Internet (vero B? la I di Internet era buona per fare gli slogan dato che poi non sappiamo neanche cosa sia Google!!), e ha paura della vera libertà, che non è quella di farsi gli affari propri, ma consiste nell'accettare quella altrui, rispettando le regole della convivenza civile.

Il tema del giorno è invece la cacciata dei finiani che dimostra tre cose. In primo luogo la totale assenza di un'opposizione di sinistra. Bersani va bene, ma presiede un non-partito, Di Pietro sa solo urlare, e Casini non si è capito cosa voglia fare da grande. Il secondo tema coinvolge i politologi filo Berlusconi. Dopo la lite di Aprile, molti dicevano che Fini non aveva seguito e andava verso il suicidio politico. Se dopo soli tre mesi lo cacciano è perché invece sta diventando troppo ingombrante. Avrà pure 30 deputati e una decina di senatori, ma i sondaggi di Mannheimer parlano chiaro: un terzo polo oggi prenderebbe il 20%. E più si scioglie la neve, più emergono le falle del berlusconismo e più cresce la popolarità dei finiani (non va dimenticato che in tempi di crisi cresce l'appeal del giustizialismo). Altro che quattro sfigati, se la rottura si fosse consumata ad aprile forse ora non saremmo in questa situazione numerica. I berluscones che esultano devono fare affidamento sul potere mediatico di B. perché questa scelta drastica trasformerà i finiani in martiri del berlusconismo. Agli occhi della gente han fatto più opposizione loro che D'Alema in quindici anni. Minzolini e compagnia bella dovranno fare gli straordinari. Il terzo tema invece riguarda i politici del PdL. Degli ex-colonnelli (ora sono vassalli, sono scesi di grado) non parlo, sarebbe come sparare sulla croce rossa. Di certo c'è l'ambiguità di un partito liberale a parole, e incapace di tollerare il dissenso. Granata finirà ai probiviri per aver espresso opinioni, discutibili, ma pur sempre opinioni. Bocchino e gli altri pure, mentre le persone coinvolte nelle tristi vicende di questi mesi (P3, scandali in Lombardia su tutte) resteranno ancorate ai loro posti, potendo del resto contare sull'infinità stupidità di chi li vota. Quasi quasi vien da rimpiangere Scajola. E' vero che non era, e non è, indagato, ma almeno lui ha avuto la dignità di capire che i confini della morale non sono quelli della legge.

mercoledì 28 luglio 2010

Il Tour di Contador e la fantasia di Schleck

Il Tour 2010 ha offerto diversi spunti di riflessione. Contador ha vinto, ma non ha ripetuto la straordinaria dimostrazione di forza del 2009, anno in cui annientò sia la concorrenza esterna (fratelli Schleck) che quella interna (Armstrong e l'intera Astana). Lo spagnolo ha realizzato un capolavoro tattico perché, con la condizione che aveva, non poteva immaginare di vivere giornate simili a quella di Verbier, e non poteva neanche fare eccessivo affidamento sulle qualità di cronoman. Contador ha corso con grande intelligenza tattica, non era il più forte in salita e ha dovuto quindi fare affidamento sul suo sangue freddo e sulla capacità di leggere la corsa, sfruttando i momenti di debolezza dei rivali. Per una volta è stato freddo calcolatore, ma non mi sembra appropriata l'etichetta di ragioniere che qualcuno gli vuole attaccare, del resto basta ricordare il modo in cui corse il Tour 2009 e la Vuelta 2008 per sbugiardare una simile baggianata.

Andy Schleck invece si conferma il ciclista più sopravvalutato. Intendiamoci, lo Schleck minore è uno degli scalatori più forti al mondo, ma fanno sorridere certe considerazioni strampalate che si inventa la stampa. Dopo il celeberrimo salto di catena (che errore da principiante!), abbiamo visto che, siccome alcuni giornalisti sono alla disperata ricerca di personaggi, non appena intravedono lembi di estroversione, si lanciano in paragoni arditi col passato e sviolinate immeritate. Se Contador è ragioniere, lo è pure il lussemberghese. In quattro anni di ciclismo ad alto livello non ha mai fatto cose trascendentali, non ha mai inventato attacchi folli, e non ha neanche cambiato il modo di interpretare la stagione professionistica. Corre come il 99% dei corridori moderni, si concentra su due / massimo tre obiettivi (Ardenne e Tour), e quando vuole attaccare aspetta l'ultima salita. Quando vincerà il Tour non celebremo la fantasia al potere, quella capita ogni quarant'anni. Ad ogni modo il suo Tour è stato corso male. L'unica vera impresa l'ha fatta ad Arenberg, per il resto è meglio stendere un velo pietoso dimenticando il buonismo del Tourmalet (andare a sentire cosa si dicevano Pantani ed Armstrong dopo il Ventoux del 2000) e il tatticismo suicida del primo arrivo in salita pirenaico. Forse un cambio di squadra può liberarlo e può cambiare il suo modo di interpretare la corsa. E in quel caso posso mettere in discussione il mio giudizio su Andy.

Per il resto il Tour ha detto le solite cose. Menchov si conferma su ottimi livelli, le performance di Basso dimostrano che al Giro aveva speso troppo, Cavendish è un marziano nelle volate, Evans ha una sfortuna incredibile e Sastre è (purtroppo) al capolinea. Il ciclismo italiano ha fatto una figura modesta. La maglia verde di Petacchi è un grande traguardo, ma preoccupa il vuoto alle spalle dello spezzino. L'unico che ha veramente convinto è Damiano Cunego.

martedì 13 luglio 2010

Si continua a scavare

I primi atti di un'inchiesta vanno presi con estrema cautela, ma devono comunque far riflettere. Per chi ci governa, l'atteggiamento che l'opinione pubblica dovrebbe assumere davanti ad un'inchiesta, dovrebbe essere un misto tra indifferenza ed omertà. Al raggiungimento di questo duplice obiettivo contribuiscono, in maniera decisiva, gli pseudo giornalisti della carta stampata, siano essi da osteria o da villaggio lunare, e i mega direttori dei telegiornali. Fortunatamente a La7 è tornato Enrico Mentana, uno dei pochi giornalisti bravi e col pregio di non essere fazioso. Ma i Minzolini, i Mimum & co, stanno svilendo il prodotto informativo che realizzano: riempiono lo spazio con servizi di costume o con le emergenze di comodo, e poi trattano con imperdonabile superficialità i temi cruciali.

La presunta associazione segreta creata da Carboni, Verdini, Dell'Utri e Cosentino, è solo un'ipotesi investigativa, e come tale deve essere trattata. Però è anche vero che si inserisce in un quadro nefasto, in cui sono scoppiati gli scandali che coinvolgevano Bertolaso, la Protezione Civile, Scajola, il solito Cosentino. E poi c'è l'indagine in corso per  ricettazione riguardante quel famoso nastro in cui Fassino esultava perché aveva una banca, indagine che dovrebbe coinvolgere anche l'avvocato Ghedini. Non spetta al sottoscritto pronunciare la sentenza, però questi fatti dovrebbero invitare ad una riflessione sul sistema di potere che esiste in Italia.

Tempo fa, quando scoppiò l'affaire Protezione Civile, avevo scritto che c'era un problema di governance. Le notizie di oggi confermano quella tesi. In Italia abbiamo tre emergenze distinte. La prima riguarda la selezione della classe politica, cui concorrono una legge elettorale pessima (Parlamento dei nominati) e il disinteresse degli italiani. A tal proposito sarebbe interessante proporre un sondaggio con la seguente domanda: cosa pensate di una persona che fa politica? Il secondo aspetto riguarda il sistema di controlli e controllori. Tutte le authority sono in mano ai partiti, che lottizzano e le affidano a persone di fiducia (politici trombati, ex manager delle proprie aziende). Accettiamo che ci sia un via vai squallido tra società pubbliche ed enti di controllo, come se quelle poltrone fossero dei centri di potere da usare per dare qualche contentino allo scontento di turno. Se i vertici delle aziende sono scelti con certe logiche, non deve poi stupirci scoprire che sono gestite in modo pessimo (vedi la Rai). Infine l'ultimo tema coinvolge i rapporti tra potere politico e informazione. E' il conflitto d'interessi che, nonostante esista da anni, resta un fatto anomalo in democrazia.

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giovedì 8 luglio 2010

Cabaret istituzionale

"Se dovessi acclarare che la mia abitazione fosse stata pagata da altri senza saperne io il motivo, il tornaconto e l'interesse, i miei legali eserciterebbero le azioni necessarie per l'annullamento del contratto" Claudio Scajola - 05/2010.

Nei momenti tristi e bui bisogna trovare il coraggio di sorridere. Io quelli del "Governo del fare" li ringrazio perché sono degli ottimi umoristi. Lo so che è datata, ma questa frase di Scajola è fantastica ed è bene ricordare queste perle degli uomini del fare, perché testimoniano la presunzione della nostra classe politica. Non si sentono mai in dovere di chiedere di scusa, non avvertono mai alcuna vergogna e finiscono per dare l'impressione di essere anche un po' incoscienti.

Ieri gli abruzzesi hanno protestato sotto Palazzo Grazioli. Il nostro premier non ha perso occasione per sfoggiare il suo senso di responsabilità. Berlusconi ha detto che la colpa è solo degli enti locali, però tre mesi fa quando dovette inaugurare le prime case consegnate agli abruzzesi (e pagate dalla Provincia autonoma di Trento) organizzò, col fido Bruno Vespa, una puntata su misura in prima serata per prendersi dei meriti che non erano solo suoi. Quando una persona si comporta in questo modo è lecito pretendere che abbia poi l'umiltà di assumersi tutte le colpe quando le cose non vanno nella direzione sperata. Berlusconi invece ignora un discorso di questo tipo. La sua grande capacità comunicativa è centrata sulla voglia di prendersi tutti i meriti, anche non suoi, e sul tentativo di scaricare tutte le responsabilità sugli altri. Questo testimonia la grandezza dello statista che ci rappresenta. Poi magari, per qualcuno, il suo potrà essere un comportamento apprezzabile, ma provate ad immaginare cosa sarebbe la società in cui viviamo se tutti fossero così.

mercoledì 7 luglio 2010

Il compagno Gianfranco

Non ci vuole una sfera di cristallo per immaginare i commenti di Sallusti e di Belpietro. A dire il vero qualche articolo delle due testate filo berlusconiane è comparso sul mio computer, e se non sbaglio era a firma dell'onnipresente Sallusti che rileggeva, alla sua maniera, le vicissitudini del PdL. Per il vice di Feltri la regola numero uno è quella di provare ad attaccare Fini, e non avendo motivazioni intelligenti (ne ha mai avute? ah sì, quando Tartaglia aggredì Berlusconi scrisse che i mandanti morali erano Fini e Casini..) ha deciso di allenarsi coi temini da diario adolescenziale. 

Va detto però che buona parte degli italiani vive la politica con spirito ideologico. Ci sono un sacco di persone che votano il centro destra perché hanno l'allergia ai "comunisti", così come ce ne sono altrettante che arrivano alla conclusione opposta perché non vogliono regalare il paese ai "fascisti". Questa parte dell'elettorato non valuta la proposta politica, ma il colore di chi la espone. Non sto a spiegare il mio schifo per chi ragiona in questo modo, soprattutto se ha meno di cinquant'anni perché per gli altri si può fare un'eccezione. Ad ogni modo oggi è ridicolo parlare di "comunisti" e "fascisti", ed è altrettanto certo che al Giornale pensino di avere dei lettori manichei e ideologizzati (gente che non mangia la pasta col pomodoro perché è rosso). Forse è per questo che l'analisi comico - politica del Sallusti si intitolava "Povera sinistra: da Gramsci a Fini". Come se Fini fosse di sinistra perché contrario a parte della politica berlusconiana. Come se Berlusconi, con una politica orientata alla risoluzione dei propri interessi, fosse di destra.

Potrà piacere o no, potrà ispirare fiducia o meno, ma è oggettivo constatare che Fini, negli ultimi quattro anni, ha seguito una linea che rappresenta una forte rottura col suo passato. La decisione di confluire nel PdL resta una macchia, anche se politicamente aveva una sua logica. Però, se restiamo concentrati sui temi caldi (legalità, ruolo del Parlamento, federalismo, ruolo dell'informazione, ecc) Fini ha mantenuto una sua coerenza nel breve periodo.  Alla fine è dalle elezioni del 2006 che ha condiviso queste posizionii. Chi si nasconde dietro la frase del "è inaffidabile perché ha cambiato idea", dovrebbe allora ricordarsi anche dei Ministri Socialisti che ora sono nel PdL, del signor Bondi che stava nel PCI, di Capezzone che stava nei radicali, dei La Russa & co che in piena Tangentopoli avevano le t-shirt inneggianti a Di Pietro. Se cerchiamo gente dura e pura, allora è meglio non votare.

Dall'altra parte invece il vuoto politico sta diventando enorme. Bersani ha anche preparato alcune proposte interessanti, ma paga la disgregazione del PD. Nel complesso le opposizioni non hanno la capacità di allestire una valida alternativa e questa loro debolezza ridà ossigeno ad un Governo in difficoltà. Sia da una parte, che dall'altra, i nodi irrisolti vengono al pettine.

sabato 3 luglio 2010

Ad ascoltar chi urla spesso si sbaglia

Quando la legge bavaglio fu votata dal Senato, mi lanciai in una frettolosa invettiva contro Napolitano. Tra le altre cose ho visto che un pezzo del post Napolitano ha letto la Costituzione? è stato inserito in un articolo che riassumeva le reazioni del web e del popolo viola (di cui non faccio parte). In realtà quel post che scrissi si divideva in due livelli: da un lato alcune considerazioni generali sul curriculum del Presidente della Repubblica e sul suo modo di gestire le relazioni con il Governo, e dall'altra parte uno sfogo personale sulla legge bavaglio. Non è un'opinione ricordare la provenienza politica di Giorgio Napolitano, così come mi sembra assai discutibile il fatto che dia consigli al Governo su come scrivere le leggi. Ho sempre pensato che il Presidente della Repubblica dovesse lasciare un'autonomia totale all'esecutivo, salvo poi limitarsi ad analizzare le leggi che gli venivano presentate a giochi fatti.

Insomma per quanto riguarda quello specifico aspetto continuo a nutrire delle grosse perplessità, ma sulla legge bavaglio mi devo ricredere e devo chiedere scusa al Presidente. La fretta e la superficialità mi hanno fatto supporre che, le parole rivolte dal Presidente a coloro che lo invitavano a non firmare, fossero sinonimo di condivisione del provvedimento promosso dal Governo Berlusconi. Invece in questa settimana Napolitano ha fatto capire che non condivide quel provvedimento e che si sentì infastidito perché Di Pietro lo chiamava in causa nel momento sbagliato. Dopo il voto del Senato, con annessa espulsione degli agitatissimi senatori dell'IDV, Napolitano non doveva fare e dire nulla. E per una volta era esattamente quanto stava facendo, finchè non è stato tirato per la giacca dall'ex pm.

Detto questo volevo puntualizzare che le mie critiche su quella specifica circostanza erano infondate e sbagliate. Stessa cosa non si può dire per le parole dell'onorevole Ghedini, ma quella è un'altra storia.

Parte la caccia a Contador. Basso cerca la doppietta storica

Quattro anni fa Ivan Basso doveva abbandonare il Tour de France scappando da un'uscita secondaria dell'hotel in cui alloggiava la CSC. Era il 2006: il varesino arrivava dalla vittoria straripante al Giro, il suo sodalizio con il chiaccherato Bjarne Rjis sembrava indistruttibile, e il Tour si annunciava come un duello italo tedesco con Jan Ullrich. Nessuno immaginava che in poco tempo potesse esplodere il finimondo. La Guardia Civil mandò infatti un fax contenente l'elenco degli atleti coinvolti nell'Operacion Puerto. Basso, su cui le voci si rincorrevano da fine Giro, venne estromesso, la carriera di Jan Ullrich finì in quel preciso istante, la squadra di Manolo Sainz - potente ex direttore della Once di Jaja e Zulle, all'epoca boss della Liberty Seguros che annoverava tra le sue fila Contador e Vinokourov se ben ricordo - fu demolita e cancellata dal ciclismo.

Sembra passata un'eternità, ma sono passati solo quattro anni e quell'inchiesta ha stravolto la storia del ciclismo. L'edizione 2006 del Tour è stata poi tormentata. Le esclusioni eccellenti non sono bastate per garantire che la competizione fosse pulita. Floyd Landis costruì un'impresa mostruosa nella tappa del Joux Plane, per riprendersi la maglia gialla persa ingenuamente qualche giorno prima e, dopo neanche 7 giorni, festeggiò sui Campi Elisi il suo primo Tour. Ma in quei momenti non sapeva che la sua gioia era effimera: dopo neanche una settimana arrivò la notizia della positività - riferita proprio alla tappa del Joux Plane - e la vittoria andò al semisconosciuto Oscar Pereiro Sio Quella vittoria sembrava sancire l'inzio di una nuova era per le grandi corse a tappe: gli italiani erano - e sono - ossessionati dal Giro e poco inclini a confrontarsi sulle strade francesi e spagnole; il vecchio padrone, Armstrong, aveva abbandonato l'attività agonistica da neanche un anno e i presunti eredi erano stati azzerati dall'inchiesta sul doping.

L'interregno è però durato pochissimo perché sulla scena mondiale si è affacciato un nuovo fenomeno, magari poco simpatico - anche se andrebbe prima conosciuto -, ma dallo scatto micidiale. Contador ha vinto il Tour del 2007 e quello del 2009. Nel 2008 ha ripiegato su Giro e Vuelta, vincendo entrambe le competizioni, e al Tour non è stato ammesso per una cervellotica decisione degli organizzatori francesi, tanto inquisitori e ottusamente sciovinisti da far impallidire i Torquemada nostrani. Per anni la società che gestisce il Tour ha lasciato a casa Pantani e Cipollini. Nessuno ha mai capito se le motivazioni fossero tecniche, etiche - ma allora aveva senso chiamare Richard Virenque, reo confesso su doping e abuso di Epo? - o soggettive. Con Contador nel 2008 la storia è stata un po' diversa: lo spagnolo pagò per le colpe del team in cui militava. Il Tour 2007 invece, se la memoria non m'inganna, fu quello della squalifica di Rasmussen, che stava dominando in maglia gialla, ma mentiva, apparentemente senza motivo, sulla comunicazione dei luoghi in cui si allenava. L'ex biker millantava di essere stato in Messico, ma Cassani l'aveva incrociato in Italia. Dopo la conferma di questa notizia Rabobank e organizzatori furono intransigenti: Rasmussen a casa e Contador festeggiò in giallo a Parigi. Nel mezzo della ben poco onorevole vicenda del danese ci fu anche il patatrac causato dai kazaki. Vinokourov, osannato da Bulbarelli, andò in crisi sulle prime montagne, e poi miracolosamente si destò e vinse qualche tappa (ricordo con certezza una cronometro). La scoperta che tale rinascita fosse artificiale fu la goccia che azzerò la credibilità dell'Astana, il team preparato dal governo kazako per rilevare la Liberty Seguros. Nel 2007 Contador non era nell'Astana, all'epoca era nella Discovery Channel, ma passò nel team kazako l'anno dopo e subì la punizione che l'organizzazione del Tour riservò all'Astana.

Tra una vittoria e l'altra - 2007 e 2009 - ci sono stati i disastri di Riccò. Da erede di Pantani ad impostore la strada è corta, basta vincere due gare con l'inganno e sottoporsi ai controlli antidoping obbligatori. Si sprecarono commenti sulla condotta del modenese e si lessero anche i soliti parallelismi superficiali col Pirata: ma Pantani non è mai stato trovato positivo, e la cosa non è un formalismo, bensì un dato di partenza. Comunque anche quell'edizione andò ad uno spagnolo, Carlos Sastre, e la Spagna ha così completato un quadriennio d'oro: 4 Tour con 3 ciclisti diversi.

Quest'anno si rischia il pokerissimo. Contador è strafavorito, ma la foresta di Arenberg può mescolare le carte. I rivali dovrebbero essere agguerriti. I fratelli Schleck, dopo lo scempio del Ventoux 2009, provano a ribaltare il pronostico. I due lussemberghesi sono ottimi ciclisti, ma non esaltano perché corrono col bilancino e non osano mai - e non è solo questione di gambe, ma anche di testa! -. Armstrong torna e si appresta a riabbandonare il ciclismo finito il Tour. Non so se potrà vincere, di certo mi aspetto qualche colpo basso nelle tappe "facili" perché altrimenti non ha la minima chance di vittoria. Basso forse è il più serio rivale di Contador, ma al Giro ha speso molto e per poter ben figurare deve poter contare su una squadra capace di render dura la corsa. Gli altri hanno meno possibilità. Evans ha finito il giro in calando e la cosa non è di buon auspicio. Sastre può al massimo ambire al podio e mi auguro che possa onorare qualche tappa di montagna. Menchov è stato inserito nella top five, ma al Tour non ha mai pienamente convinto.

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