domenica 27 giugno 2010

Il lento declino del calcio italiano

Nel paese in cui il calcio è religione capita di pensare di essere nel posto sbagliato. L'uscita dell'Italia dai Mondiali di Calcio è stata vissuta come uno shock e tutti i quotidiani, da quelli sportivi a quelli tradizionali, hanno usato la parola "vergogna" nei loro titoli. Se nel primo caso la cosa è accettabile, nel secondo è sintomatica sullo stato anche culturale del paese. Fior fior di giornalisti si sono poi sprecati in azzardate similitudini tra la situazione dell'Italia pallonara e quella economica / civile del paese. Di certo l'Italia è un paese ingessato: il famoso ascensore sociale è un illustre sconosciuto, il potere è sempre nelle mani delle solite persone e non c'è un vero ricambio generazionale. Detto ciò bisogna anche prestare molta attenzione alle parole che si usano e a non scadere in uno sterile piagnisteo. L'Italia vive una vera emergenza "meritocratica", ma poi ogni aspetto della società declina questa situazione con un diverso livello di magnitudo. Se prendiamo la ricerca scientifica possiamo tranquillamente sostenere che l'emergenza è grave perché i cervelli che scappano dall'Italia sono poi delle brillanti menti capaci di ottenere all'estero fiducia e finanziamenti per realizzare le loro ricerche. Tanto per fare un nome penso a Mauro Ferrari e a quello che ha fatto a Houston sulle nanotecnologie (faccio questo esempio perché ho avuto il piacere di ascoltarlo).

Siamo sicuri che in ogni aspetto della società italiana il talento che scappa è a questi livelli? Dopo la debalce sudafricana si è detto che Lippi non voleva essere oscurato da Balotelli, Cassano e persino Miccoli, ma dubito che questi tre siano i "Mauro Ferrari" del pallone. L'uscita al Mondiale è la crisi di un movimento che non è più capace di produrre talenti. Le tre gare del girone sono state esemplari perché sono figlie del dissesto dei vivai e di un modo di insegnare a giocare calcio. Oggi vediamo i disastri provocati dai santoni che hanno rivoluzionato il calcio negli anni '90, puntando su un'esasperata tattica, sulla difesa a zona e privilegiando l'organizzazione alla fantasia. Durante questi anni bastava guardare le gare delle giovanili per avvertire il decadimento del calcio nostrano. In difesa non abbiamo degni eredi della coppia Cannavaro - Nesta e, tolti Del Piero e Totti, non abbiamo giocatori di fantasia di grande livello. Negli anni '90 ci si poteva presentare con Baggio, Mancini (ignorato da Sacchi) e Zola. Già quando si è passati da questi tre a Totti e Del Piero qualcuno storceva il naso, e dire che i capitani di Roma e Juve hanno ben figurato a livello internazionale. Balotelli, Cassano e Miccoli hanno sempre fallito la prova del nove (Under 21, Real, Juve), forse sono solo sfortunati con le congiunture astrali.

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domenica 20 giugno 2010

Marchionne, il futuro della manifattura e il futuro del paese

Qualche mese fa uno sconosciuto manager, tale Sergio Marchionne, conquistò le prime pagine dei quotidiani perché aveva osato rifiutare gli incentivi proposti dal Governo italiano. L'allora Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, aveva poi inscenato un patetico teatrino per fare finta che fosse il Governo a decidere di salvaguardare altri settori industriali, ma basta leggersi le cronache della carta stampata (chiaramente escludendo i quotidiani di carta straccia) per comprendere che Marchionne voleva recidere il cordone ombelicale per rendere realmente autonoma la Fiat.

Il rapporto Fiat - Stato è stato, ed è, mitizzato al punto tale che qualunque idiota che incontri per strada si sente in dovere di sparare la sua verità. La voce del popolo racconta che la Fiat ha preso i soldi e non ha mai restituito nulla. Una tale visione miope e superficiale può fare presa solo in una nazione dove prevale l'invidia sociale e nessuno ha il coraggio di approfondire la conoscenza. Il patto Fiat - Stato è stato di reciproca convenienza. Lo Stato Italiano cercava di salvaguardare l'occupazione e la Fiat, per anni, ha bloccato quelle ristrutturazioni interne necessarie per guadagnare competitività. A conti fatti il rapporto Stato - Fiat ha creato un equilibrio contrario ad ogni logica di mercato, che tra l'altro ha pesato sulla competitività del nostro paese e ha prodotto dei benefici solo nel breve periodo.

Questo Stato che protegge i grandi gruppi è una costante della storia italiana, e fanno sorridere le grida "liberiste" di Tremonti. Che dire della multa per Rete4 che paghiamo noi contribuenti? O dell'operazione finanziaria costruita per salvare la sacra italianità di Alitalia? Non sono anche quelli aiutini del pubblico per il privato?

La cronaca di quest'ultima settimana si è concentrata sul contratto proposto da Marchionne alle rappresentanze sindacali di Pomigliano. Prima di esprimere un giudizio sui termini dell'accordo credo che sia doveroso approfondire il contesto in cui ci muoviamo. Marchionne non sta facendo le bizze perché è un "padrone egoista", ma sta solo mettendo in luce una triste verità con cui dovremo fare presto i conti. Per anni ci siamo illusi pensando che la manifattura italiana potesse sopravvivere perché, nonostante il costo del lavoro fosse più alto rispetto ai paesi emergenti, offriva comunque un livello di qualità superiore. Questa convinzione si sta rilevando una fesseria, e anno dopo anno si sta sempre più riducendo il gap tra la qualità dei prodotti esteri e i nostri. Detto questo è ovvio che la manifattura italiana potrà avere un futuro solo se entreremo in competizione con le condizioni salariali offerte dai paesi emergenti. Ma questa situazione di contesto conduce ad un impoverimento della classe operaia italiana, che si vede costretta a rinunciare alle conquiste economiche e sociali, o almeno deve ridimensionare le sue pretese.

Il vero verdetto che emerge da Pomigliano non sta nel tentativo di estendere questo modello ad altre realtà produttive, come immagina l'ex socialista Sacconi (Ministro del Welfare). Si tratta invece di immaginare cosa dovranno fare gli italiani nel futuro. Vogliamo concentrarci su una manifattura che propone condizioni di mercato inaccettabili? Vogliamo mantenere la tradizione della fabbrica che dà lavoro a nonni, padri e figli, ma che per sopravvivere offre condizioni peggiori ai figli rispetto a quelle che sopportavano i padri? Se la manifattura non ha futuro dobbiamo avere chiaro in testa un concetto: o investiamo nell'istruzione e nella ricerca per formare il futuro del terziario avanzato (e perché no magari anche del secondario), o dovremo rassegnarci ad una realtà in cui crescerà lo squilibrio sociale interno al paese. O ci incamminiamo verso il futuro, o blocchiamo la scala sociale e cristallizziamo la realtà in cui viviamo. Forse basterebbe avere un Ministro dell'Istruzione degno di questo nome.

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sabato 19 giugno 2010

E domani dove tirerà il vento?

Il nostro Ministro dell'Economia è al centro di un interessante dibattito, che è stato avviato dalla Fondazione di Montezemolo, e ne mette in dubbio la coerenza nell'azione politica (e nelle esternazioni).

Tremonti, come ahimè capita spesso, si è ben guardato dal rispondere nel merito e ha tirato fuori quell'atteggiamento anti - snob che cattura simpatia a destra, ma a ben vedere non risolve nulla. Possiamo dire che le Fondazioni sono "di moda" e che sono fatte da persone le quali non sanno cosa fare nel tempo libero, ma qui non si tratta di giudicare l'affidabilità e la gestione del tempo da parte del Montezemolo di turno. Piuttosto si tratta di capire qual'è la visione economica del Ministro dell'Economia.

Ad oggi Tremonti è stato un uomo per tutte le stagioni, e se la cosa, per qualche bizzarro politologo, può essere un merito politico, non si può dire certamente la stessa cosa se usassimo altri parametri (coerenza nel pensiero e capacità di produrre un'idea "forte" perché resiste al market momentum). So già che qualche berlusconiano, o leghista, potrebbe obiettare che la stessa cosa potrebbe essere detta per giudicare Gianfranco Fini, ma la sottile differenza risiede nel fatto che i cambiamenti del Tremonti pensiero sono sempre andati di pari passo con la pancia del paese, mentre Fini si è smarcato al punto tale da rompere con parte dell'area politica da cui proveniva. Sono questi fattori che mi fanno pensare che in un caso (Fini) vi sia una maturazione politica, mentre nell'altro c'è solo una caccia al consenso di breve termine, e quest'ultimo atteggiamento non produce alcun vero beneficio per il paese.

Le banche fanno affari d'oro e il sistema sembra infallibile, Tremonti è un accanito sostenitore della finanza creativa, promuove cartolarizzazioni e non veste di certo i panni del Robin Hood. Ci sono venti di crisi e tutti i professori d'economia annunciano tempi di magra (biennio 2007/08), Tremonti scrive un best seller che sembra sconfessare tutto quello che diceva in passato. Per non parlare poi della confusione a livello commerciale, un giorno propone i dazi contro la Cina, ed ora compie una nuova svolta liberale. Queste sono le ripide inversioni e non includono tutte le sparate sulla mitica vecchina che deve spendere 100 euro per comprarsi le scarpe, la quale in ogni caso non sarebbe stata tracciata dato che quel provvedimento coinvolgeva professionisti quali dottori, dentisti, avvocati, ecc..o le esternazioni alla Borghezio durante la campagna elettorale di Cota.

C'è tanta carne al fuoco. Sarebbe bello se il Ministro dell'Economia annunciasse la sua linea economica per il futuro del paese. Gli chiedo solo di formulare una visione di lungo periodo, mentre sembra che Tremonti rincorra una personalissima utilità di breve che al paese non fa tanto bene.

giovedì 10 giugno 2010

Napolitano ha letto la Costituzione?

Napolitano ha detto che firmerà la "legge bavaglio". Per quel che mi riguarda si tratta di una legge ridicola perché punisce chi fa informazione e priva i cittadini del diritto di sapere. Mi si potrà osservare che alcune persone non vogliono sapere, ma la libertà sta proprio nella possibilità di scegliere. I difensori della legge dicono che è stata fatta per rispettare il sacro diritto alla privacy dei cittadini, ma è anche opportuno ricordare che, in uno stato serio e capace di tutelare l'interesse della collettività, deve esserci un equilibrio tra il rispetto della privacy e la tutela della legalità. Questa legge ha deciso di favorire l'una e ha ridotto in fin di vita l'altra. Grazie al Governo del "fare" non sapremo i vizi pubblici delle persone che ci governano, non potremo distinguere le persone affidabili da quelle che manco sanno chi paga loro la casa, e tutto cadrà nell'anonimato. Come per gli evasori che hanno scudato al 5% i loro soldi nascosti e, con il loro ineguagliabile senso dello Stato, hanno costretto l'Italia a subire una manovra economica necessaria, ma profondamente ingiusta nelle scelte e nella selezione delle priorità.

La firma di Napolitano alla legge bavaglio non sarà una sorpresa. Mi facevano ridere quei sinistrorsi che applaudivano alla sua elezione a Presidente della Repubblica. A quel tempo c'era ancora molta adrenalina dopo la vittoria al fotofinish di Prodi, però non ci voleva molto per capire che Napolitano non era una scelta ottimale. Dopo quattro anni il centro sinistra deve rammaricarsi per il comportamento tenuto dall'unica carica istituzionale che ha scelto. Napolitano ha riletto l'iter di formulazione delle leggi ed invece che essere un esaminatore finale (imparziale), pretende di essere un consigliere nella stesura della legge stessa. Se poi qualcuno gli fa notare che può rispedire al mittente le "porcate" e che non deve intervenire nella prima stesura, lui ribatte che poi gliela ripresentano uguale. Dimostra anche di ignorare il significato del suo ruolo, e dire che la Costituzione è scritta in italiano. Qualcuno quattro anni fa esultava, io invece non capivo (e non capisco) come si poteva proporre un'ex PCI alla presidenza della Repubblica di una nazione democratica.

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domenica 6 giugno 2010

Il populismo è sempre vicino alla gente

Calderoli è intervenuto chiedendo una riduzione dello stipendio dei calciatori ed ha anche chiesto una ridefinizione del premio previsto in caso di vittoria dei Mondiali. Come sempre la Lega Nord non si smentisce e parla ad una fetta di italiani che continua a manifestarle una fiducia incondizionata. Sulle capacità intellettuali di questi compatrioti nutro qualche forte dubbio, e spero di vedere una reazione intelligente davanti a questo populismo senza fine.

Le dichiarazioni di Calderoli sono populiste e, tanto per usare un'espressione abusata, parlano alla gente e al territorio. Nel parlare terra a terra non c'è nulla di male, ma il modesto parere del sottoscritto è che tale espressione assume un significato positivo solo quando vengono semplificate alcune nozioni al fine di coinvolgere la più ampia base possibile. Nella mia concezione si tratta di una divulgazione, di un parlare alla gente per solleticare la curiosità di sapere e per elevare le persone che, per svariati motivi (economici, sociali, ecc), hanno una cultura minore in alcuni settori. Il parlare alla gente nella concezione leghista è un ridicolo appiattimento sulle posizioni popolari. Tale atteggiamento è populista perché non eleva il cittadino medio, non lo obbliga a sforzarsi per capire, ma lo persuade dicendogli le cose che vorrebbe sentire. La complessità è sostituita con verità parziali e preconfezionate che, nella migliore delle ipotesi, sono palliativi.

Non ci vuole un Ministro della Repubblica per scoprire che i calciatori prendono "troppo" rispetto a milioni di cittadini onesti. Ma è anche vero che questo squilibrio economico è in atto da anni, e non è accettabile in tempi di crisi e neppure nei momenti di crescita economica. Il market momentum non può essere una discriminante per fissare i nostri parametri di morale e di etica.

Purtroppo gli stipendi dei calciatori sono fissati da un mercato, in cui non ci sono limiti, e tutto si risolve in una contrattazione tra soggetti privati: le società calcistiche e gli atleti. Lo Stato in tutto questo è solo interessato al rispetto delle leggi e al pagamento delle imposte sul lavoro. Fortunatamente ogni tentativo di trasformare lo Stato in arbitro "morale" e dispensatore di "etica" è naufragato, e la storia del Novecento (per i fortunati non analfabeti) è lì a dimostrarlo. Al massimo possiamo discutere su come spende i suoi soldi un imprenditore che ha beneficiato di aiuti di Stato, ma comunque più che fare le pulci sugli stipendi di Juve, Milan ed Inter, sarebbe utile riflettere sulla decisione di garantire l'anonimato per gli evasori che hanno beneficiato dello scudo fiscale al 5% (norma votata anche dalla Lega Nord e passata nonostante le casuali assenze di alcuni del PdL). Discorso diverso merita la decisione sul premio in caso di vittoria, lì può essere richiesto un impegno ai calciatori. Ma forse conviene diventar padani, tifare contro l'Italia (zeru premio!) e dimenticare le doppie poltrone dei leghisti, i criteri astrusi sulla cancellazione delle province (la provincia di Lodi salva con 225.000 abitanti), il nepotismo dell'Umberto e i sette anni di Governo in cui ben poche cose sono migliorate.

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mercoledì 2 giugno 2010

Basso sogna la "doppietta" Giro - Tour

Quando si parla di ciclismo si corre il rischio di inciampare in una serie infinita, e fastidiosa, di luoghi comuni. Le opinioni delle persone riflettono i difetti della nostra epoca, in cui siamo troppo "impegnati" per approfondire le notizie (e sviluppare una riflessione personale), e al tempo stesso vogliamo anche apparire come quelli che hanno sempre la verità in tasca. Superficialità e arroganza caratterizzano la nostra società, e l'impressione che un uomo qualunque ha del mondo del pedale è figlia di questi due peccati originali.

Non è passato neanche un mese, ma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il mite Gianni Letta, ha usato questa frase infelice "l’esempio di questi personaggi, di questi campioni (Coppi e Bartali), cercando di fare sport, in bicicletta, in maniera assolutamente pura….. …..poi la vicenda di Pantani ha rivelato, assieme a tante altre che si sono moltiplicate nel giro degli anni e nel “giro dei giri”, di Francia e d’Italia, che la realtà era un po’ diversa…". Il dottor Letta non sa che Pantani non è stato mai trovato positivo ad un controllo anti-doping e dimentica le voci che girano da sempre sui grandi campioni, anche del passato. Ma tant'è, la realtà la fanno i media con la loro interpretazione dei fatti, con le scelte editoriali e con le semplificazioni. Queste semplificano la vita al cittadino, che può bearsi coi suoi schemi manichei, ma all'atto pratico rappresentano la più grave ingiustizia che si può fare a chi viene accusato. Con buona pace di quella frase giusta (ma mai usata) che ci ricorda che chiunque è innocente fino a prova contraria.

Fortunatamente il ciclismo ci ha regalato tre bellissime settimane, in cui quasi 200 atleti hanno dato vita ad uno dei Giri d'Italia più avvincenti e umani degli ultimi anni. Alla fine l'ha spuntata Ivan Basso che era arrivato al Giro con molti punti interrogativi nella testa. L'anno scorso il varesino era tornato alle competizioni dopo la squalifica di 24 mesi per l'Operacion Puerto. Anche qui va riconosciuto a Basso il record di aver preso una maxi-squalifica senza aver avuto alcun controllo antidoping positivo (Emanuele Sella positivo all'Epo ha preso meno di 2 anni..mistero!). Il ritorno di Basso non era stato trionfale, ma non era stato neanche disastroso. Il quarto posto al Giro 2009 e alla Vuelta 2009, l'acuto al Giro del Trentino, sono stati i picchi della sua stagione, ma non erano bastati agli appassionati scettici / inquisitori. Per loro il dato emblematico era solo uno: nel 2006 Basso dominava, di rientro dalla squalifica era un corridore "normale". Ogni tentativo di spiegare che due quarti posti in due grandi giri non sono dei risultati pessimi cadeva nel vuoto. Per gli inquisitori questi risultati erano la prova limpida del doping passato (mai dimostrato dai controlli). Sono gli stessi che dicevano le stesse cose sul Pantani dopo Campiglio, e a tal proposito avrei qualche libro da consigliare per conoscere la vita d'atleta, se così vogliamo chiamarla, del Pantani nel terzo millennio. Zero allenamenti, zero voglia di gareggiare. Con queste premesse era impossibile per il Pirata rivaleggiare con atelti che, con o senza doping, avevano ben altre motivazioni e facevano vita da sportivi.

Come detto nel 2009 Basso pagava l'assenza dalle corse. Il fatto che fosse tornato competitivo testimoniava la sua professionalità, mostrata anche nei due anni di esclusione forzata, ma poi gli mancava la brillantezza per primeggiare quando il gioco si faceva duro. Fermo restando che ci sarebbero decine di atleti disposti a firmare per fare due volte nei primi cinque in due grandi giri. Quest'anno Basso ha migliorato quei dettagli che trasformano un buon atleta in un campione, che trasformano un regolarista in una Maglia Rosa. La vittoria al Giro è figlia dei sacrifici fatti in questi anni, e spero che non nasconda alcuna spiacevole sorpresa.

Ora la sfida è rivolta al Tour in cui incontrerà Contador (vero favorito), Armstrong (l'età si farà sentire) e i fratelli Schleck. Al Tour ritroverà anche Evans e Sastre con cui ha rivaleggiato sulle strade italiane. Spero che lo scalatore spagnolo della Cervelò possa recuperare quella determinazione che aveva fino ad un anno fa. L'unica constatazione tecnica che mi sento di fare riguarda l'impostazione della corsa. Basso ha mostrato di essere un fondista, di essere un uomo di resistenza che fa la differenza soprattutto quando la corsa è regolare (nel senso che non si va a strappi), ma il ritmo è medio - alto. Avendo queste doti avrà bisogno di una squadra competitiva anche al Tour, ma lì la concorrenza sarà più agguerrita e attrezzata.

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