mercoledì 28 luglio 2010

Il Tour di Contador e la fantasia di Schleck

Il Tour 2010 ha offerto diversi spunti di riflessione. Contador ha vinto, ma non ha ripetuto la straordinaria dimostrazione di forza del 2009, anno in cui annientò sia la concorrenza esterna (fratelli Schleck) che quella interna (Armstrong e l'intera Astana). Lo spagnolo ha realizzato un capolavoro tattico perché, con la condizione che aveva, non poteva immaginare di vivere giornate simili a quella di Verbier, e non poteva neanche fare eccessivo affidamento sulle qualità di cronoman. Contador ha corso con grande intelligenza tattica, non era il più forte in salita e ha dovuto quindi fare affidamento sul suo sangue freddo e sulla capacità di leggere la corsa, sfruttando i momenti di debolezza dei rivali. Per una volta è stato freddo calcolatore, ma non mi sembra appropriata l'etichetta di ragioniere che qualcuno gli vuole attaccare, del resto basta ricordare il modo in cui corse il Tour 2009 e la Vuelta 2008 per sbugiardare una simile baggianata.

Andy Schleck invece si conferma il ciclista più sopravvalutato. Intendiamoci, lo Schleck minore è uno degli scalatori più forti al mondo, ma fanno sorridere certe considerazioni strampalate che si inventa la stampa. Dopo il celeberrimo salto di catena (che errore da principiante!), abbiamo visto che, siccome alcuni giornalisti sono alla disperata ricerca di personaggi, non appena intravedono lembi di estroversione, si lanciano in paragoni arditi col passato e sviolinate immeritate. Se Contador è ragioniere, lo è pure il lussemberghese. In quattro anni di ciclismo ad alto livello non ha mai fatto cose trascendentali, non ha mai inventato attacchi folli, e non ha neanche cambiato il modo di interpretare la stagione professionistica. Corre come il 99% dei corridori moderni, si concentra su due / massimo tre obiettivi (Ardenne e Tour), e quando vuole attaccare aspetta l'ultima salita. Quando vincerà il Tour non celebremo la fantasia al potere, quella capita ogni quarant'anni. Ad ogni modo il suo Tour è stato corso male. L'unica vera impresa l'ha fatta ad Arenberg, per il resto è meglio stendere un velo pietoso dimenticando il buonismo del Tourmalet (andare a sentire cosa si dicevano Pantani ed Armstrong dopo il Ventoux del 2000) e il tatticismo suicida del primo arrivo in salita pirenaico. Forse un cambio di squadra può liberarlo e può cambiare il suo modo di interpretare la corsa. E in quel caso posso mettere in discussione il mio giudizio su Andy.

Per il resto il Tour ha detto le solite cose. Menchov si conferma su ottimi livelli, le performance di Basso dimostrano che al Giro aveva speso troppo, Cavendish è un marziano nelle volate, Evans ha una sfortuna incredibile e Sastre è (purtroppo) al capolinea. Il ciclismo italiano ha fatto una figura modesta. La maglia verde di Petacchi è un grande traguardo, ma preoccupa il vuoto alle spalle dello spezzino. L'unico che ha veramente convinto è Damiano Cunego.

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