mercoledì 30 marzo 2011

Piccoli (nuovi) vassalli crescono

E' più permaloso Marcello Lippi o un vassallo del re (meglio noto come berluscones)? Bella domanda. In questi giorni Alessandra Mussolini, una che starebbe bene nella casa di "Jersey Shore", si è guadagnata qualche minuto di gloria andando alla guerra contro la top model Bianca Balti, rea d'aver criticato il Presidente del Consiglio. Da queste piccole cose si capisce che ormai siamo al delirio: se non ami Silvio, allora sei irrispettoso verso chi lo vota e ti meriti ogni disgrazia professionale. Infatti l'appello della nipote del Duce finiva con la speranza di sostituire la Balti (testimonial della Tim), con Belen (altra mia candidata per Jersey Shore). Se invece dai del coglione a chi non ti vota sei un mattacchione e ricevi gli elogi di chi, tra una leccata e l'altra, ti elegge a maestro supremo nella nobile arte della comunicazione.

Nel frattempo sono comparsi personaggi angoscianti, come ad esempio l'onorevole Paniz. Ieri, nei 5 minuti giornalieri in cui mi sforzo di ascoltare le pirlate dei pidiellini, ad Otto e Mezzo ha sostenuto un interessante discorso basato sull'idea che i processi debbano essere giudicati sulla base dei benefici economici che generano. In pratica se spendo 5 per fare un'indagine allora devo indagare su qualcosa capace di farmi andare almeno in pareggio. Una simile baggianata può solleticare qualche ministro che potrebbe intavolare trattative per privatizzare la magistratura, costituendo una S.P.A. da cedere ai privati. Divagazioni a parte è chiaro anche a un cretino che i processi non si valutano solo in base al rapporto costi / benefici monetari (altrimenti che vantaggio avremmo a processare chi taccheggia merce di scarso valore al negozio di provincia?).

giovedì 17 marzo 2011

Perché rivendico il diritto di essere contrario a questo nucleare

Il dibattito sul nucleare mi lascia allibito per le logiche dominanti nei discorsi di ambientalisti e nuclearisti. Il Ministro Prestigiacomo ha definito "sciacalli" coloro che promuovono iniziative antinucleari a seguito dei tragici fatti di Fukushima. La cosa mi lascia perplesso, cosa dire allora di coloro che, per esperienza diretta (ma non sempre!), partono dalle stragi del sabato sera per promuovere meritorie campagne contro l'abuso di alcolici e per istruire alla guida sicura? Sciacalli pure quelli? La famigerata emotività non è un sentimento da ripudiare con sdegno snob e non può essere catalogata come male assoluto. L'uomo è una raffinata combinazione di istinto e ragione, senza una delle due saremmo animali o automi.

Piuttosto preme constatare come il dibattito sul nucleare si stia trasformando in una riproposizione del processo di Biscardi. I fondamentalisti del nucleare, giornalisti convinti di essere le uniche menti illuminate del paese (a proposito segnalo un temino di Panebianco) e politici impreparati (qui l'elenco sarebbe lunghissimo), a dire che gli ambientalisti sono una massa di rozzi, emotivi, avversi ad ogni forma di progresso. Gli ambientalisti fanatici (non tutti) rinfacciano agli altri di essere dei criminali che danneggiano l'umanità per intascare qualche beneficio economico. Così non si risolve nulla! Per quel che mi riguarda non ho tendenze luddiste, ma quando lessi "Abissi d'acciaio" (I. Asimov) parteggiavo per i medievalisti. E' per queste ragioni che trovo miope e patetico il tentativo di risolvere una questione complessa attraverso l'etichettatura e la denigrazione della controparte. Servono ben altre riflessioni.

1) Panebianco fa bene a ricordare che senza alcuna assunzione di rischi non c'è progresso, ma partendo da una simile constatazione trovo ardito il passaggio finale in cui l'antinuclearista è definito  come se fosse una persona irrazionale che pretende l'impossibile (ossia l'eleminazione del rischio) e perciò rinuncia a vivere. Mi spiace per l'autore, ma la sua ipotesi iniziale non implica la sua conclusione finale. 
La storia è fatta di scelte, ovvero di momenti in cui si è deciso di correre dei rischi e momenti in cui si è invece arrivati alla decisione opposta. I rischi non possono essere banalizzati e omologati: bisogna ricordare le diversità. Ogni individuo ha la sua percezione della realtà e la sua propensione al rischio. Ciascuna persona ha una sua, personalissima e insindacabile, soglia di tolleranza al rischio, ha anche una sua capacità interpretativa e arriverà ad una conclusione finale unica e rispettabile (nuclare sì, nucleare no). Negare questo diritto implica sostenere che dovremmo essere governati da un'èlite illuminata che sceglie per noi cosa è giusto, cosa è sbaglato, cosa è troppo rischioso, ecc..
Se non voglio il nucleare non voglio sentirmi dire che sono una persona disinformata che rinuncia a vivere. Semplicemente non reputo conveniente il rapporto rischi / benefici offerto da questa tecnologia e, magari, ho fiducia in attività che qualche nuclearista giudica sconvenienti. La valutazione resta personale e non può tener conto solo di fattori economici!

2) Il nucleare, ma in generale il dramma del Giappone solleva il tema importantissimo (ma ahimè dimenticato) del rapporto scienza - natura. Ho ripensato ad un film mostratomi da un prete durante le scuole medie e dalla mia professoressa di filosofia del liceo. Il mini film si chiama "Non avrai altro Dio al di fuori di me" (Kieslowski). La storia è semplice. Un bambino vuole andare a pattinare sul laghetto ghiacciato e chiede a suo padre il permesso. Il padre (ingegnere come me!) prepara un algoritmo, raccoglie i dati ambientali e, con l'ausilio di un pc, esegue un calcolo per rispondere alla seguente domanda: il ghiaccio è nelle condizioni di reggere il pattinatore? La risposta è affermativa. Il padre per completare l'opera va a testare il ghiaccio e non riscontra problemi. Il giorno dopo il figlio va a pattinare, ma dopo poco si sentono le sirene. Il ghiaccio non ha retto e il povero bambino è affogato. Il colpevole è un barbone che, per scaldarsi, ha acceso un fuoco vicino al lago.
Racconto questo solo per dire che l'uomo di scienza sa costruire dei modelli complessi, e spesso si perde in atteggiamenti narcisistici (ah come sono bravo!), finendo così per dimenticare che ci può sempre essere una variabile impazzita, qualcosa che sfugge al modello. 
Davanti al film ci sono tre risposte.
La tentazione di alcuni è quella di dire che tutto il lavoro scientifico è da buttare, ma il modello non era completamente sbagliato: l'errore è stato quello di non comprenderne i limiti.
Partendo da questa considerazione c'è la risposta dei fanatici del trials & errors, capeggiati da Chicco Testa (leggere l'articolo di oggi sul Corriere). Si riconosce che il modello era incompleto ed è stato commesso qualche errore (si è sottovalutata qualche variabile), ma la risposta è quella di costruire un nuovo modello, ancora più preciso, capace di prevedere con certezze le mosse del barbone, per prevenire questo rischio. Tutto nell'attesa del prossimo cigno nero.
La mia posizione sta nel mezzo. Bisogna prendere atto dei nostri limiti per capire che non si può applicare la logica del "trials & errors"  in ogni disciplina  (se il postino sbaglia casella postale è una cosa, se salta il reattore un'altra) e non si può spacciare per certezza qualcosa che presenta una natura aleatoria, sfuggevole alla nostra ragione. Non voglio sminuire la figura dello scienziato, ma ribadire che l'arroganza della ragione è un atteggiamento fuorviante, da cui bisogna stare alla larga. Sono sicuro che i veri scienziati non si sentiranno offesi.

domenica 13 marzo 2011

Le certezze aleatorie del nucleare

L'Italia è più vicina all'Indonesia rispetto al Giappone (Free Map dice che Tokyo è a 9.864 km da Roma, mentre Phuket dista 9.075 km), ma penso che la catastrofe giapponese ci tocchi più da vicino rispetto a quella indonesiana. Quando si verificano terremoti o tsunami in paesi che consideriamo inferiori al nostro (Haiti, Iran, Indonesia, certe regioni della Cina) tendiamo a pensare che i danni, provocati da quei disastri, siano stati accentuati dalla carenza di infrastrutture e controlli che caratterizza quelle nazioni. Nel caso del Giappone il discorso cambia perché parliamo di un paese appartenente al G8; di una nazione che ha saputo convivere col rischio senza affidarsi a superstizioni e santini; di un popolo che dopo un conflitto mondiale perso per ko, ha saputo rimboccarsi le maniche, ha inseguito la manifattura occidentale, e a un certo punto l'ha anche superata, introducendo delle innovazioni fondamentali nei campi della tecnologia e della gestione dei sistemi logistico - produttivi. Il Giappone non è un paese in cui le case sono di paglia, e non ha nemmeno l'aria di essere un luogo in cui regna quell'abusivismo tipico di alcune aree del nostro paese. Ma tutta questa precisione, tutta questa prevenzione, non ha potuto nulla davanti alla furia della natura.

In Italia la politica ha dimostrato di non aver capito nulla (sai che novità). Cicchitto, quello che aveva la tessera del circolo di caccia e pesca (P2), rassicura tutti ricordando che il programma nucleare andrà avanti comunque. Lo stesso mantra è ripetuto da quei politici che hanno fatto qualche promessa di troppo all'aziende che già si fregano le dita immaginando i benefici economici derivanti dalla costruzione (e gestione) delle centrali. Chicco Testa (un uomo un perché, da Legambiente al Forum Nucleare, come se Vendola diventasse capo di Forza Nuova e Storace presidente di Rifondazione Comunista) va in tv a dire che il nucleare è sicuro e il terremoto è la prova lampante. Anche un intelligente giornalista come Oscar Giannino si è lanciato in una frettolosa analisi pro-nucleare sostenendo che le centrali hanno retto alla grande (infatti hanno evacuato solo 150mila persone). In tutte queste dichiarazioni si legge paura: c'è il timore di ottenere un nuovo effetto Chernobyl con il referendum previsto per giugno, e allora si prova a rassicurare l'opinione pubblica, dimenticando però alcune questioni basilari, prima fra tutte il fatto che gli effetti di un incidente nucleare non possono essere valutati dopo 96 ore.

La scelta di tornare al nucleare passa anche per la nostra avversione / propensione al rischio. I cittadini vanno informati su questo fatto e ognuno deve fare una valutazione personale. Nella scienza una probabilità pari al 99,9% non equivale ad una certezza, anche perché ad un'analisi preventiva è possibile assegnare delle probabilità ai diversi scenari che ipotizziamo, ma in futuro possiamo stare pur certi su una sola cosa: tra le tante ipotesi, mutuamente esclusive, che abbiamo formulato se ne realizzerà una sola. Studiare  le conseguenze dello scenario cui associamo uno 0,01% di probabilità non è un esercizio di retorica, ma è un'attività estramamente importante (anche per il discorso sulla propensione al rischio). Per esempio spesso leggiamo che il fumo è significativamente correlato con alcune patologie, ma non possiamo dire con certezza quale sarà il futuro riservato a ciascun individuo (non abbiamo strumenti per capire chi si ammalerà e chi no), si va per probabilità. Nel caso del nucleare è opportuno considerare quali sono gli eventi capaci di trasformare un'attività industriale (produzione di energia) in una minaccia per la popolazione. Le variabili in grado di far verificare lo scenario pessimistico sono due: l'uomo (Chernobyl) e la natura. Per arginare la prima si possono adottare particolari procedure organizzative e si possono predisporre dei sistemi di controllo capaci di correggere gli errori umani. Il discorso diventa diverso nel secondo caso. Non abbiamo la capacità di prevedere con precisione i terremoti, quindi partendo da una conoscenza di base da affinare (sennò potremmo fare previsioni migliori) si ricorre a delle stime. Di sicuro gli scienziati dispongono di stime puntuali per definire la probabilità che in una certa area si verifichi da qui a n anni un terremoto con potenza pari o superiore ad un certo livello della scala Richter. Costruiamo gli impianti per resistere a quel livello, ma per quanto ci sforziamo non possiamo dare per certa una variabile aleatoria, e ci sarà sempre una coda di probabilità che sfugge alla nostra attività di prevenzione. In Giappone il super terremoto di 8,9 gradi ha colpito impianti costruiti per resistere a 8,5 gradi della scala Richter. E' presto per capire gli effetti delle esplosioni, ma di certo possiamo dire che una certezza non può mai essere aleatoria. Una sicurezza al 100% non la può garantire nessuno. Chi lo fa dovrebbe avere il coraggio di mettere qualche garanzia personale, altrimenti è un mascalzone.

sabato 5 marzo 2011

Gli sfortunati casi della vita del signor Berlusconi

Berlusconi si è messo pure il fazzoletto verde per celebrare la vittoria di Pirro del suo preziosissimo alleato. Lo schema lo conosciamo da tempo perché una delle cose in cui il premier è maestro risiede nella capacità di adulare il prossimo e di celebrarlo, perdendosi in spericate e false lodi. Coi carabinieri si è messo in testa un berretto da carabiniere e ha detto che da piccolo sognava di entrare nell'Arma. Il baby Silvio di strada ne ha fatta molta e questa frase, pronunciata alla tenera età di 75 anni, suona come una tardiva, ma non per questo insignificante, conversione. Voleva entrare nell'Arma, ma per gli strani casi della vita ha ospitato a casa sua un mafioso condannato all'ergastolo che di nome faceva Vittorio Mangano e ha abbracciato quel suo allegro compare che ha definito il presunto stalliere "un eroe". 

Ma il dramma di Berlusconi non finisce qui. Per esempio ha detto che, con tutti i soldi che ha, oltre ad avere l'imbarazzo della scelta su dove andare, nutre anche un grande sogno: costruire ospedali in Africa. Ma magari facesse queste cose! Invece, sempre per alcuni sfortunati casi della vita, la stessa persona che sogna di costruire ospedali e scuole nei paesi poveri, si ritrova a mantenere un gruppo di ragazze che io chiamo approfittatrici (qualcuno con un'altra parola che in inizia con p e fa rima con pane), e per queste ha speso, secondo l'Espresso, oltre 1.5 mln di euro nell'ultimo anno solare. Dobbiamo essere realisti, e non sorridere davanti a questi fatti: qui si celebra il dramma di un uomo in crisi d'identità.


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Il fotovoltaico di San Colombano

La vicenda del fotovoltaico merita grande attenzione. Attorno al tema è in corso una sana discussione tra giornalisti (penso agli articoli di Massimo Mucchetti e Sergio Rizzo sul Corriere), operatori del settori e politici (penso ai Ministri dello Sviluppo Economico e dell'Ambiente). Personalmente sono più vicino alle opinioni espresse dagli editorialisti del Corriere. Per non ricevere alcuna accusa di plagio pubblico il link ad una lettera di un'associazione su una vicenda lodigiana che, se avrò tempo e voglia, approfondirò. Certo, alcuni riferimenti sono legati al contesto specifico, ma alcune considerazioni sulla relazione tra le attività (agricoltura e fotovoltaico) e sull'esplicitazione dei criteri che guidano le scelte degli operatori, ovvero la sola massimizzazione della rendita personale a discapito di altre cose, sono, in una certa misura, universali.

Pubblico il link onde evitare problemi con la redazione del quotidiano che ha ospitato questo intervento
http://www.ilcittadino.it/p/opinioni/lettere/2011/03/01/ABr0SjH-integrazione_speculazione_agricoltura_bruno.html