giovedì 31 dicembre 2009

La serie vincente dei Toronto Raptors

Andrea Bargnani e Marco Belinelli sembrano poter ambire ad un posto nei play off. I Raptors vantano un record leggermente negativo (16 W - 17 L), ma ciò è più che sufficiente per mantenere il sesto posto nella Eastern Conference. La franchigia canadese ha mostrato una netta evoluzione rispetto alla squadra confusa e poco creativa della prima parte di stagione. Oggi i Raptors beneficiano del contributo positivo di molte incognite (Weems su tutti) e l'infortunio di Calderon, che ha determinato la promozione di Jack a play titolare, è coinciso con l'inversione di tendenza. Il team è riuscito a fare di necessità virtù, Jack ha avuto l'indubbio merito di favorire un maggiore coinvolgimento di tutti i giocatori, mentre il play spagnolo si ostinava a giocare su Bosh. Il primo a trarre vantaggio dalla situazione attuale è Hedo Turkoglu, oggi spesso si traveste da assist man, e la squadra gioca decisamente meglio.

In questo quadro positivo gli italiani non sfigurano. Bargnani è una certezza, ad oggi viaggia con quasi 16.7 punti di media e se la sua percentuale da tre è solo del 35% circa, va anche ricordato che ha aumentato minutaggio, rimbalzi a partita (6 circa) e percentuale dal campo (47%). Belinelli invece non ha percentuali buone, dal campo viaggia sotto il 40% e sembra troppo legato alla soluzione del tiro da fuori. L'ex fortitudo sta però giocando bene e gode di una discreta fiducia, anche se forse si sarebbe aspettato un minutaggio superiore.

Per il resto la Eastern Conference non riserva sorprese. La vetta se la giocano in quattro: Cleveland, Orlando, Boston e Atlanta. Dietro queste ottime squadre c'è, staccata di un abisso, Miami, poi i Raptors e dietro c'è una grande bagarre tra franchigie con record pesantemente negativi. Oggi l'ottava piazza è occupata dai Chicago che vantano un ruolino di marcia con 12 vinte e 17 perse. I New York Knicks di Mike D'Antoni sono vicini ai Bulls (12 W - 20 L) e stanno mostrando un ottimo Danilo Gallinari. L'ex Armani sta giocando un'ottima stagione e gode dell'assoluta fiducia del team, anche se spesso subisce l'egoismo di alcuni compagni di squadra, in particolare di quelli che hanno già la valigia in mano. Questo spirito di squadra che manca è il principale ostacolo tra la post season e questi New York Knicks.

Il vecchio Lance non perde il vizio

Lance Armstrong è tornato a rilasciare dichiarazione contro Alberto Contador, cioè contro il suo ex compagno di squadra e vincitore del Tour 2009. Quando si parla di Armstrong è sempre difficile scindere efficacemente la sua attività extra sportiva con il suo operato da ciclista. Spesso si crea una grande confusione, e gli innegabili meriti di Lance nel sociale finiscono per coprire alcuni suoi atteggiamenti discutibili sulle due ruote. In quest'articolo non ho la benchè minima intenzione di mettere in discussione l'attività di Armstrong nel sociale che, attraverso la sua fondazione Livestrong, svolge una fantastica opera di ricerca e supporto per i malati di cancro. Qui non si parla di queste cose serie (che rendono Armstrong un grande uomo), ma delle cose futili, come appunto il ciclismo.

Lance non mi è mai sembrato un gran signore sulle due ruote e non ha mai svolto un'attività seria per dissipare alcune nubi riunite attorno alle sue performance. Nel 2000 arrivò in coppia con Pantani in cima al Mont Ventoux. Vento terribile, i cartelli con le indicazioni della distanza rimanente erano tutti saltati, e quando la strana coppia giunse sul traguardo Pantani precedette d'un soffio Armstrong. La cosa sembrò normale, infatti Armstrong era in maglia gialla ed è prassi comune che, in un arrivo a due, il leader della classifica generale lasci la tappa al compagno d'avventura. Ma è proprio in questo frangente che Lance mostrò il suo lato da "dittatore" (sportivo) e, qualche giorno dopo, si lamentò perché il Pirata non l'aveva ringraziato e per l'occasione inventò anche il soprannome de "l'elefantino". Era come se con quel regalo, che tale poi non è, Armstrong pretendesse pure un patto di non belligeranza con l'unico atleta che realmente lo infastidiva (e che infatti venne escluso dalle edizioni future). Ma dare qualcosa pretendendo una lauta ricompensa non mi sembra che rientri nella categoria dei "regali".

L'altro grande scivolone di Lance è nella gestione del caso Simeoni. In quell'occasione il texano non agì solo, con lui c'erano buona parte del peloton, ma di sicuro l'atteggiamento tenuto da Armstrong & co contribuì ad alimentare i sospetti di chi descriveva l'ambiente ciclistico alla pari di un mondo in cui l'omertà era un valore sacro.

Tornando ai giorni nostri c'è però l'affaire Contador. Nel 2009 lo spagnolo e l'americano hanno corso insieme nell'Astana. La convivenza è stata dura e tormentata perché tra i due non c'è mai stato un gran feeling e l'infelice sodalizio s'è così sciolto. Lance, con la solita pletora di fedelissimi (Bruynell e gregari vari), non ha faticato a trovare uno sponsor americano, ed è nata la Radioshack, che comprende praticamente tutta l'Astana del Tour 2009. Se per Armstrong questo dato testimonia la scarsa capacità di Contador di essere uomo squadra, si potrebbe anche obiettare che la stessa notizia dimostra come Contador abbia vinto un Tour da separato in casa, con un team che era palesemente schierato con l'americano. Poi, siccome Armstrong si autodefinisce "uomo di mondo", credo che non avrà problemi a considerare pure l'importanza del denaro in certi rapporti umani. Forse si potrebbe approfondire il tema dell'essere uomo squadra prendendo in esame le offerte economiche di Radioshack (futuro team di Armstrong) e Astana per i vari Kloeden, Leipheimer, Zubeldia, ecc.

L'altro aspetto su cui Armstrong calca la mano sta nel sottolineare i presunti limiti tattici del rivale spagnolo. Per chi non lo sapesse Contador perse per un ventaglio in pianura una quarantina di secondi e nel gruppo davanti oltre alla Columbia, al lavoro per Cavendish, c'era pure l'Astana, che di certo non lavorava per Contador, essendo lo spagnolo nel gruppo dei ritardatari.

Ma la cosa che più stupisce è sentire questo texano, capace di cose fantastiche lontano dalla bici, e indispettito, come il più viziato dei bambini, al punto tale da non accettare la sconfitta e le critiche. Mentre qui si parla del nulla restano pesanti ombre sull'americano. Le analisi del 1999, l'affaire Us Postal - Actovegin del 2000, la positività di tutti i suoi compagni di squadra più illustri e le indagini sull'Astana 2009 sono ombre difficili da cancellare, e nascondersi dietro una sorta di immunità per meriti sociali non aiuta il ciclismo.

Articolo di Sportitalia

mercoledì 30 dicembre 2009

Una Juve da terza stella...

Dopo l'illusoria vittoria con l'Inter, la Juventus ha dato inizio ad una serie sconcertante di prestazioni. E' come se la gara con gli "odiati" rivali nerazzurri avesse assorbito tutte le energie dei bianconeri che, nello scontro diretto, hanno messo in campo un grande agonismo, mentre sono sembrati completamente confusi e svuotati nelle successive tre gare. La via crucis bianconera è iniziata in Champions League contro il Bayern Monaco. La Juve è stata semplicemente ridicolazzata e il 4 a 1 finale rispecchia in modo onesto l'andamento di una gara che non poteva essere giocata peggio. L'eliminazione dalla Champions è stata una mazzata inattesa, sia per l'euforia post vittoria (di nervi) con l'Inter che per la mediocrità della squadra tedesca.

Ma è proprio in queste situazioni che emerge il polso di una dirigenza che (ahimè) non è abituata a gestire un team calcistico. Blanc & co hanno il merito di aver presentato un bilancio in attivo, ma la Juventus resta, prima di tutto, un club sportivo. I dirigenti bianconeri così sono forse troppo ragionieri e troppo poco competenti, non sembra che capiscano molto di calcio e quando parlano sono costretti a travestirsi (maldestramente) da pseudo tifosi, al solo fine di raccogliere qualche simpatia tra i supporters.

Capita così che, a rileggerle oggi, certe sparate sulla terza stella risultano patetiche. Dopo la Waterloo di Champions la Juventus è naufragata pure in campionato dove è stata ridicolizzata dal Bari e dal modesto Catania. Sul banco degli imputati sono saliti i due neo acquisti, i brasiliani Diego e Felipe Melo, ma le responsabilità non sono solo loro. L'anno scorso la Juve aveva un allenatore diverso che ha pagato con l'esonero per alcune fragilità difensive costate molti punti. Le sconfitte del 2008/09 con Cagliari, Palermo, Napoli, Udinese,..(senza contare i pareggi interni con Lecce, Chievo,ecc) sono costati la panchina a Ranieri, ma oggi la squadra gioca peggio e non ha migliorato alcuno dei suoi difetti. La difesa continua a fare acqua e sbanda contro le squadre che puntano forte sul contropiede, il centrocampo è troppo scoperto (l'addio di Nedved pesa come un macigno) e l'attacco non può bastare.

Serve una svolta, l'arrivo di Bettega può svegliare un ambiente rassegnato, ma da solo non basta. Ferrara deve avere l'umiltà di ammettere certi errori strutturali e deve impostare una squadra più prudente e più grintosa. Il centrocampo a tre più Diego trequartista sta rovinando Melo (che gioca bene quando c'è Sissoko, chissà perché?) e lascia la difesa troppo scoperta davanti alle ripartenze avversarie. E Cannavaro, che magari farà un buon Mondiale, non ha più la forma per garantire una stagione di nove mesi al top.

giovedì 17 dicembre 2009

L'insignificante giudizio di Schifani sui social network

Dall'alto della sua formidabile esperienza informatica, Renato Schifani ha sviluppato la sua proposta per regolamentare la rete. Purtroppo per noi, il Presidente del Senato non ha la più pallida idea di cosa sia la rete e quando si azzarda a paragonare i gruppi di "facebook" con quelli armati degli anni '70 dimostra la sua incompetenza. L'arrivo di Internet rappresenta un'innovazione radicale che può essere compresa solo usando il pc e interagendo con gli utenti, solo allora si possono comprendere i limiti del web e capire l'importanza di un uso responsabile della rete. Forse una vera battaglia educativa potrebbe essere condotta agendo sui minori e istruendoli ad un uso razionale del web, il che significa dare il giusto valore ai contenuti (principio della prudenza) e fidarsi poco degli adescatori on line. Queste sono le vere minacce del web, ma come è noto i minori non votano e così possono proliferare le chat in cui vecchi porci adescano minorenni.


L'avvento del web ha creato una situazione comunicativa che non ha precedenti e qualunque confronto con le tecnologie passate (radio, tv, stampa) è fuorviante.

Nelle proposte della Carlucci, di Schifani e dei soloni berlusconiani, vedo  il tentativo di banalizzare una realtà complessa ed eterogenea. Si prende spunto solo dagli episodi negativi  e questi vengono usati per dare l'etichetta dell'untore all'intero mondo del web. Ma se ragionassimo in questo modo allora dovremmo vietare tutto ciò che ci circonda, dalle auto, alle armi, del resto ogni cosa può diventare pericolosa.

Come già detto la rete è unica per diversi motivi. In primo luogo dobbiamo pensare alla varietà e quantità dei contenuti che possiamo trovare. Su Internet si trova di tutto, ma spetta poi al singolo utente valutarne affidabilità e pericolosità. Un altro aspetto concerne i meccanismi di comunicazione. Così come una telefonata è diversa da un'epistolare lo stesso vale per il web (dove tra l'altro si può comunicare in molti modi, MSN, blog, mail), ma qui c'è l'aggiunta dell'effetto "ciabatte". Dietro ad un monitor e con i piedi al calduccio siamo tutti più leoni e certi giudizi radicali (espressi da chi non si controlla) sono tipici della comunicazione in Internet. Non voglio giustificare la maleducazione e l'intolleranza di certi contenuti, ma il web non è un posto per i permalosi e ognuno ha la possibilità di scegliere come esprimersi. L'altro aspetto rilevante è che la scelta dei siti da visitare è autonoma, quindi, se escludiamo i banner pubblicitari, l'utente seleziona i contenuti che lo interessano.

Varietà, quantità, meccanismi di comunicazione e selezione dei contenuti, sono queste le vere novità di Internet e chi giudica la rete solo sulla base del successo di Grillo, del No B-Day e di quattro gruppi goliardici, dovrebbe solo tacere. Del resto i gruppi che inneggiano all'odio sono la quotidianità di "facebook", e scandalizzarsi solo per alcuni di essi rappresenta un comportamento scorretto, tipico dei finti liberali.

P.S. la morale di Schifani sul web vale quanto un mio giudizio sul football americano.

mercoledì 16 dicembre 2009

Tanta voglia di censura

Dopo l'attentato subito da Berlusconi sono comparsi alcuni gruppi in facebook in cui si inneggiava all'attentatore. Il centro destra, o almeno la parte più becera di esso, ha inscenato una squallida caccia alle streghe per processare, in contumacia, i presunti colpevoli che, guarda un po', corrispondono con tutte quelle persone o aree della società che hanno un giudizio negativo sull'operato dell'esecutivo. L'attacco alla rete viene esercitato da un gruppo di parlamentari che non hanno mai mostrato il minimo interesse per comprendere le finalità e le potenzialità di Internet. Del resto buona parte dei parlamentari italiani appartengono ad una generazione che ha vissuto la rivoluzione televisiva, e lì s'è fermata. Lo scarso interesse per Internet è un limite rilevante per chi si propone l'obiettivo di regolamentarlo: se fossero un po' più esperti forse potrebbero comprendere i meccanismi di autogestione (automatici) e la difficoltà di legiferare su un settore così vasto ed eterogeneo.

Su Internet si trova di tutto (anche tante porcherie) e l'opera di prevenzione non deve essere fatta vietando le libertà, ma educando le nuove generazioni ad un uso più responsabile dello strumento. I gruppi su facebook hanno suscitato un vespaio di polemiche, ma forse dovrebbe preoccupare non il fatto che ci fosse un gruppo pro Tartaglia, ma le 60.000 adesioni che ha registrato in meno di un giorno! Se si vieta senza educare allora si accetta (consapevolmente) l'inciviltà, tanto quello che basta è non vederla.

Discorsi complicati per Maroni & co, gente che ignora persino l'eterogeneità che esiste tra il popolo della rete. La loro politica è bidimensionale, c'è posto solo per noi e per voi, per la destra e la sinistra, per il Bene e il Male (come disse il Presidente B., vero Alfano?). La rete è così catalogata come Male. Nello stesso calderone ci trovi il calunniatore e chi prova a pubblicare libere opinioni rispettose di quelli altrui (rispetto non significa condivisione!). E poi arriva la Carlucci che, dall'alto della sua competenza, vuole introdurre il divieto dell'anonimato. Del resto si mettono i divieti rigidi laddove non si capisce molto, educare ad un uso responsabile e rispettoso richiede troppa fatica, e forse non porta molti voti.

martedì 15 dicembre 2009

La fiducia sempre e comunque

Adinolfi aveva detto di preferire Berlusconi a Fini perché il populismo è più facile da battere rispetto al trasformismo. Non esprimo alcun opinione personale, anche perché per come è scritta la frase precedente si potrebbe ricavare l'impressione che l'obiettivo è quello di combattere sia l'uno che l'altro, ma di certo Adinolfi dimostra come un ragionamento non sempre è degno di entrare in tale categoria. Tanto per fare un esempio si potrebbe ricordare che il "populista" ha vinto 3 delle ultime 5 elezioni e, in occasione dell'ultima sconfitta (2006), ha costretto il centro sinistra al suicidio politico.

E' bello comunque sapere che il "trasformista" è accusato del reato d'aver cambiato le sue idee, quando in Italia accettiamo che metà del Parlamento sia trasformista per opportunità (e le idee di questi ballerini le cerchiamo a Chi l'ha visto). La vera domanda, che Adinolfi & co non fanno, è quella di comprendere quanto sia sincero il Presidente della Camera. Oggi Fini è finalmente uscito dall'ambiente politico troppo nostalgico e autoreferenziale in cui è cresciuto e sta iniziando a costruire un progetto politico che guarda al futuro, mentre il resto della destra si perde tra l'evocazione dell'eterno spettro comunista o continua ad alimentre disquisizioni storiche di dubbia utilità per il paese (per l'amor del cielo non sono temi inutili, ma alla politica si chiede anche altro).

Fini sta onorando il suo ruolo istituzionale e oggi ha fatto bene a criticare la questione di fiducia posta sulla Finanziaria. Bondi l'ha redarguito e ha deciso di sposare il delirio di Sallusti: se Fini critica il Governo allora fomenta la violenza. Ma con un Governo che decide senza ascoltare e vuole anche avere la pretesa di appiccicare (a suo piacimento) l'etichetta dell'untore a chi non si adegua, rischiamo di non distinguere la critica dall'odio. E tale distinzione non può essere fatta unilateralmente da una delle parti in causa.

La colpa è sempre degli altri..e i problemi restano irrisolti

Anche davanti ad una tragedia sfiorata osserviamo il rivoltante populismo dei soliti noti. Qualunque osservatore onesto concorderà sul fatto che in Italia c'è un clima politico pesante e le cause vanno ricercate in entrambi gli schieramenti, evitando però di confondere la garbata critica politica mossa da alcun aree, coi toni da osteria che portano avanti alcuni piazzisti. Di Pietro ha deciso, da tempo, di adottare un linguaggio verbale, magari onesto, ma sicuramente volgare e inadeguato per il ruolo politico che ricopre. Partendo da questo dato di fatto non dobbiamo però dimenticarci dei toni usati dalla vera vittima (Berlusconi), che non ha mai perso occasione per attaccare indistintamente sia chi lo critica che chi lo offende. Il premier ha contribuito a questo decadimento verbale e chi si ostina a non considerare questa porzione della realtà commette una grave leggerezza. Così come suonano ridicole le parole di tutti quei leghisti che, da buoni cristiani, vedono la pagliuzza degli altri, ma ignorano la trave nei loro occhi.

In mezzo a questa confusione bisogna lodare l'impegno del Presidente Napolitano che, da mesi, continua a richiamare tutti ad un abbassamento dei toni. Qualcuno però fa orecchie da mercante e così assistiamo ad una nuova offensiva dei soliti noti. Cicchitto vede solo le responsabilità altrui e riversa il suo odio personale contro Travaglio, reo di aver scritto inni all'odio contro Berlusconi. Quest'atto di sfida mostra l'opportunismo senza limiti di alcuni personaggi (che si fanno chiamare politici), prima accusavano Travaglio di scrivere cose false, ora invece usano l'effetto emozionale al fine di demonizzare lo storico rivale. Ma Travaglio ha sempre criticato Berlusconi perché non ne condivide le scelte politiche. Certo, non ha scritto mai pezzi di elogio per le (poche) cose fatte da B. che condivide, ma non dobbiamo dimenticarci che il Travaglio deve anche "soddisfare" il suo mercato e ciò che conta è che scriva cose in buona fede. Del resto lo stesso Confalonieri ha elogiato Feltri perché con lui "si vendono più copie", peccato che l'obiettivo venga raggiunto attraverso l'uso ripetuto di falsi scoop (Di Pietro e Boffo). Insomma, l'informazione non si misura col bilancino per contare il numero di articoli pro o contro, ma ciò che conta è solo l'onestà di chi scrive.

Capita così che un certo Sallusti se ne esca con un articolo che Granata (PdL) ha definito "un delirio". Il vice di Feltri ha esposto il suo teorema: essendo stato Berlusconi sfregiato, sono da considerarsi "mandanti morali" tutti quelli che hanno ostacolato il premier. Corte Costituzionale, CSM, Fini, Casini, Di Pietro, Repubblica, Espresso, PD, ecc, tutti insieme appassionatamente, in questo modo emerge chiaro l'obiettivo assolustico: chi non è con lui è un terrorista! In questo calderone Sallusti mette quegli organi di garanzia che sono alla base delle vere democrazie e soprattutto, prova ad attuare il misero gioco da bambini di annullare la fondamentale distinzione tra politica e osteria, accumunando Fini e Casini con altri personaggi di altra caratura. E tutto è perfettamente in linea con le parole di Napolitano, che invece descrivono una colpa collettiva, la quale può essere risolta solo attraverso un abbassamento dei toni generalizzato. I provetti Sherlock Holmes dovrebbero starsene zitti.

lunedì 14 dicembre 2009

Gli idioti

L'aggressione fisica subita da Berlusconi è vergognosa, ma è ancora più disgustosa la serie di reazioni cui stiamo assistendo. Tra tutti quelli che hanno parlato si salvano i soliti noti, ovvero Bersani, Casini, Fini e Napolitano, tutti gli altri "politici" hanno perso una buona occasione per stare zitti.
Da Di Pietro a Rosy Bindi, da Capezzone a Cicchitto, abbiamo visto il solito teatrino con tante piccole persone che provano a scaricarsi reciprocamente le responsabilità del gesto per dare un senso alla loro insignificante attività politica. Non so se ha ragione Di Pietro quando dice che "lui è contro la violenza, ma va pure detto che Berlusconi istiga". Non so neanche se abbia ragione Rosy Bindi quando invita il premier a "non fare la vittima perché è lui uno degli artefici del clima violento". Al tempo stesso trovo ridicole e di pessimo gusto le parole di Capezzone e Cicchitto che individuano nell'opposizione il mandante occulto. Del resto anche un bambino dell'asilo capirebbe che il clima d'odio c'è e sono in tanti (troppi) ad alimentarlo con le loro dichiarazioni e reazioni, e di certo non siamo in un momento in cui bisogna scaricare le eventuali responsabilità sugli altri.
Tra tutti gli squallidi politichetti si erge un (brutto) giornalista: Alessandro Sallusti. Questa mattina su La7 ha detto che anche Casini è uno dei mandanti politici perché Di Pietro aizza l'odio e Casini ha dato la sua disponibilità ad un'alleanza "democratica". Ragionamento da imbecilli, con tutto il rispetto per i veri imbecilli, perché Casini è da ritenersi responsabile per le sue azioni e non per quelle di eventuali alleati. Comunque è l'intero gioco della "caccia al mandante" a sembrare idiota: il clima è pesante, le colpe sono condivise (basta leggersi le dichiarazioni degli attori in gioco) e solo un'ammissione di colpa collettiva può togliere il paese da questo stallo. Del resto lo sfregio è un atto violento e ancora più imbecille delle parole di Sallusti, ma non può diventare un pretesto per pretendere una beatificazione o un colpo di spugna su molti provvedimenti.
La solidarietà umana non deve al tempo stesso mancare perché ci può essere una forte divergenza di opinioni, ma questa non deve mai sfociare nella violenza, e chi giustifica un tale atto, cercando cause politiche, finisce per accettare il trattamento che il Tartaglia ha riservato al premier.

domenica 6 dicembre 2009

E se Spatuzza mentisse...

Fini aveva parlato di una "bomba atomica". L'avvocato di Dell'Utri aveva replicato sostenendo che si sarebbe trattato solo di un innocuo petardo, ma di certo le rivelazioni del presunto pentito Gaspare Spatuzza sono un elemento che getta una luce oscura sull'inizio degli anni Novanta, e quindi sulla nascita della Seconda Repubblica. Al momento attuale è difficile aggiungere altro perché, come hanno giustamente ricordato molti parlamentari di PD, IDV, PdL e UDC, queste dichiarazioni devono ancora trovare un riscontro nei fatti. Tutti quei politici che hanno espresso commenti prudenti hanno fatto bene, sarà compito dei magistrati valutare l'affidabilità del mafioso. Qualche professore di logica si diverte invece ad esercitare la difesa preventiva. Il fido Gasparri parla di discordanza tra le parole di Spatuzza e l'azione di questo Governo, ma dimentica di ricordare che la deposizione riferisce di fatti pre '95 e molto probabilmente l'elemento che lui introduce nella discussione è insignificante rispetto al tipo di indagini e valutazioni che dovranno fare i magistrati.

Senza entrare nel merito della deposizione di Spatuzza, si può però tracciare un quadro logico della situazione. L'Italia è un paese lunatico dove non trovano asilo l'equilibrio e la razionalità. A livello di popolarità personale Berlusconi è stato molto furbo nello sfruttare i difetti dell'italiano medio, che è abituato ad amare o ad odiare intensamente, che non conosce le mezze misure e, soprattutto, spesso valuta la realtà in modo approssimativo. Nonostante gli sforzi di alcuni giornalisti, l'italiano medio non riesce a percepire la complessità della realtà, che poi si rispecchia nelle contraddizioni che coesistono in ogni essere umano.

Questi limiti di noi italiani portano allo scenario politico attuale, in cui l'opinione pubblica si divide tra forcaioli e garantisti con qualche rara eccezione. Non voglio di certo scrivere un elogio di Casini, ma è evidente che certe prese di posizione sono precostituite e non prendono spunto da un'analisi approfondita e completa della realtà. In un paese ideale è invece accettabile una polarizzazione delle opinioni solo se è figlia di un processo approfondito di analisi della realtà, mentre in Italia abbiamo il vizio di schierarci e poi di valutare (se abbiamo tempo libero!).

Potrebbe sembrare assurdo, ma in un paese come l'Italia le dichiarazioni di Spatuzza non possono essere un petardo, comunque vada saranno una bomba atomica perché l'italiano non conosce la prudenza. Se Spatuzza dicesse il falso avremmo la beatificazione di S.Silvio e S.Marcello. Sono disposto a scommettere che i due inizierebbero una bella campagna per esaltare questa dimostrazione di estraneità, ma di certo non resisterebbero alla tentazione di estendere l'ipotesi di complotto per rivalutare i processi in cui le dichiarazioni di Spatuzza non hanno nulla a che fare. Un tale atteggiamento (molto probabile!) sarebbe stupido, ma troverebbe anche l'approvazione dell'italiano medio che, forte del suo inutile buonsenso, potrebbe pensare che un'assoluzione, in un caso particolare, è sinonimo di santità assoluta. Se viceversa Spatuzza dicesse la verità avremmo la demonizzazione totale dei due politici.

Qualunque cosa accada sarà bene evitare di buttare tutto nel pentolone, bisogna stare attenti a non mischiare processi e responsabilità completamente scorrelate perché di santi (e diavoli) non se ne vedono in giro.

Bookmark and Share

sabato 5 dicembre 2009

La visione parziale di Ghedini e il tentativo di demolire un sistema basato sulla reciproca fiducia

Ad Annozero dovrebbero prendere in seria considerazione la possibilità di staccare il microfono a chi non sta parlando perché il comportamento tenuto da alcune persone è veramente fastidioso. L'onorevole Ghedini, tanto per citare l'ultimo, ha parlato ininterrottamente per tutta la trasmissione e ha dimostrato di essere un buon avvocato (almeno così dicono), ma di ignorare completamente la differenza tra il diritto alla difesa e le fondamenta di uno stato di diritto. Non è questione solo di comportamenti, ma di contenuti. Per oltre due ore l'avvocato ha immaginato di essere in un'aula di un processo, dove doveva battersi come un leone per difendere gli interessi di chi lo paga, ma così facendo ha creato una bella confusione dando l'impressione di ignorare (volutamente) la differenza che esiste tra una verità giuridica e un'ipotesi difensiva.

La ricostruzione di Travaglio e del team di Annozero sarà pure stata basata su sentenze non definitive, come ad esempio quella di Mills, ma si basa sugli atti depositati da chi svolge il compito di giudicare, sulle base delle ipotesi definite dalla accusa e dalla difesa. Ghedini invece dimostra di non rispettare questo principio cardine della democrazia perché ha continuato a recitare la parte del difensore ad oltranza, che prova a convincere il pubblico della validità della sua tesi. Ma a parte qualche scellerato leghista che vorrebbe imporre i giudici scelti dal popolo (cioè vuole il papocchio), non è il popolo che è chiamato a giudicare l'innocenza o la colpevolezza, ma è proprio chi esercita il potere giudiziario a giudicare e dovrebbe avere qualche competenza in più, rispetto al primo passante che capita, per valutare correttamente l'attendibilità delle ipotesi.

Del resto il nostro sistema sociale si basa sulla fiducia e sulla divisione dei compiti. Questo schema si scontra con quelle persone arroganti che portano nella testa l'idea egocentrica del "ghe pensi mi", ma è fondamentale per determinare il progresso dell'intera società. Se ci pensiamo bene viviamo in un mondo dove da sempre c'è stata una divisione delle attività, in modo da favorire la specializzazione dividendo allo stesso tempo le responsabilità. Questo discorso vale per il medico, per il tramviere, per il bancario e per il notaio, ecc, e guarda un po', include anche la giustizia. La mancanza di fiducia reciproca farebbe crollare l'intero sistema, ma è un prezzo che può essere ritenuto soddisfacente solo da chi non ha nulla da perdere.

Il discorso sulla fiducia vale anche per le dichiarazioni del pentito Spatuzza, la cui attendibilità sarà correlata alla sua capacità di portare riscontri oggettivi che confermano le sue parole. Come è stato detto da più fonti saranno i magistrati a svolgere il loro mestiere e a valutare l'affidabilità del presunto pentito. Sarebbe bello vedere una piena collaborazione anche delle persone chiamate in causa. Se come dicono sono innocenti, allora avrebbero tutto l'interesse a calpestare il sacrosanto diritto alla privacy per mostrare al paese intero la loro integrità. Svelare i presunti misteri sull'evolzione dell'azionariato di Fininvest, scoprendo le carte e raccontando per filo e per segno il sistema di scatole cinesi che governa la holding (e non è l'unica!), rappresenta una potenziale violazione della privacy, ma garantirebbe un beneficio d'immagine incredibile e metterebbe a tacere, una volta per tutte, i vari D'Avanzo & co.

Bookmark and Share

New York e Toronto vincono!

I Toronto Raptors provano a rialzare la testa e si impongono a Washington all'overtime grazie ad un canestro decisivo di Turkoglu (finalmente!), ma devono anche ringraziare i Wizards per la serie incredibile di errori balistici commessi durante l'ultima azione. Questa vittoria può essere importante per il morale dei Raptors perché riscatta la pesante sconfitta patita ad Atlanta, dove Toronto ha subito più di 140 punti nei 48 minuti regolamentari, ed in chiave playoff pareggia il conto coi Wizards dopo la sconfitta casalinga di inizio settimana. Sempre ragionando sull'obiettivo dei playoff balzano all'occhio alcuni dati che testimoniano l'abisso tra Western ed Eastern Conference. Se prendiamo le statistiche sulle ultime 10 partite giocate dalle squadre di tutta la NBA osserviamo come ad Est vantano un record in pareggio o positivo solo 5 squadre su 15 (Boston, Orlando, Cleveland, Atlanta e Washington), mentre ad Ovest il rapporto è completamente diverso, infatti i team con una striscia positiva o in pareggio nelle ultime 10 gare sono 13 su 15 (tutte, escluse Golden State e Minnesota). Lo squilibrio della competitività tra Est e Ovest è supportato anche dall'analisi dei record delle squadre attualmente ai playoff. Ad Ovest Sacramento e Oklahoma City sarebbero fuori dei playoff, ma vantano un record positivo. Ad Est al sesto posto c'è Milwaukee (in pareggio), e dopo troviamo Chicago e Charlotte. I Bobcats sono in compagnia dei Wizards e vantano un record di 7 vinte e 11 perse.

Tutti questi dati sono in linea con lo squilibrio creatosi negli ultimi anni e alimentano il sogno dei Raptors e (perché no?) dei Knicks. Toronto dopo la vittoria coi Wizards vanta un record di 8 vinte e 13 perse, i Knicks hanno espugnato il parquet di Atlanta e sono a 5 vinte su 20. Non sono ruolini di marcia impressionanti, ma bastano per restare agganciati alla fatidica ottava posizione.

Gli italiani non hanno raccolto grande gloria nell'ultima esibizione. Bargnani ha sfiorato la doppia doppia - 16 punti e 9 rimbalzi -, ma dal campo ha registrato uno scadente 6 su 20. La sua stagione resta ampiamente positiva grazie alla fiducia di Triano e ai suoi progressi: sporcare le statistiche e portare a casa qualche successo di squadra non rappresenta un problema. Dopo i 19 punti di Atlanta, Belinelli è incappato in una serata no - 0 su 4 dal campo -. Gallinari è rimasto a riposo per precauzione, ma la sua settimana è più che positiva se consideriamo che i Knicks hanno battuto Phoenix, con 27 punti del Gallo, se la sono giocata coi Magic, altri 20, e hanno espugnato il campo degli Hawks. Adesso arriva il derby coi Nets e può essere un'ottima occasione per provare ad iniziare una mini striscia positiva.

venerdì 4 dicembre 2009

Ma Fini cos'ha detto di sconvolgente?

Tra Fini ed il magistrato Trifuoggi si parla di giustizia e del premier. Fini espone delle osservazioni che mi sembrano razionalmente condivisibili perché segnala che le eventuali dichiarazioni del pentito Spatuzza devono essere maneggiate con grande cautela, in quanto i temi trattati da alcuni procedimenti sono talmente delicati da non concedere alcun margine d'errore. Al tempo stesso il Presidente della Camera ammette che il premier confonde la popolarità con una sorta di permesso ad eludere tutti i meccanismi di controllo che garantiscono l'autenticità della nostra democrazia. Insomma, Fini non ha detto niente di eversivo, ma ha solo espresso quei concetti di legalità, di prudenza e di separazione dei poteri che determinano la qualità delle democrazie. Mentre Fini sposta il dibattito su un piano qualitativo, arrivano i soliti discorsi superficiali di Schifani. Per lui la democrazia consiste solo nell'esercizio del diritto di voto, e così dimentica che la separazione dei poteri poggia sull'idea che bisogna creare un meccanismo capace di essere stabile e di arginare le ingerenze anti democratiche di una politica che può anche essere popolare. Del resto tra il fare una cosa giusta e il possedere una buona popolarità vi è una grande differenza.

Ma i berluscones di lunga militanza, come Cicchitto, Bondi e Scajola, e i veri traditori (M.G.), la pensano diversamente. Anche loro però confondono la leadership politica ed il carisma con l'assolutismo. Se Scajola critica queste parole di Fini e arriva a dire che "è lontano dalla linea politica del PdL", allora si aprono tre scenari. Il primo è che il Ministro non ha ascoltato le registrazioni, si è limitato a leggere il resoconto imparziale di Libero e del Giornale, e dopo non ha saputo controllare il suo stupore per questa evidente reato di lesa maestà. La seconda possibilità è che Scajola ha ascoltato, ma non ha capito il significato delle parole (possibilità da non escludere). La terza è anche la più probabile e consiste nel sostenere che la linea politica del PdL non si basa su nessuno dei fogli di carta che definiscono le ipotetiche linee guida del partito, ma si basa sulla venerazione del capo che, essendo generoso e disponibile a ricompensare i fedeli, deve essere difeso "ad ogni costo" (anche se preferisco Creep dei Radiohead).

Tra le tre possibilità presumo che quella vera sia l'ultima, e quindi ci troviamo con un partito di maggioranza relativa che non ha idee e valori, nel senso originale ed elevato del termine. L'unità del PdL si basa solo sull'adorazione della persona che guida quel movimento politico, ed è preoccupante che tale motivazione sia talmente importante da delegittimare tutti i principi che Fini espone. Il povero Presidente della Camera paga le sue simpatie politiche giovanili e l'Italia è un paese troppo bigotto per distinguere la differenza che esiste tra chi cambia le idee e chi cambia padrone (tipo M.G.). Non credo potrà mai fare il premier perché dovrà convivere con l'ostilità di una certa parte politica, che lo apostrofa fascista, e, ahimè, dimostra di adeguarsi ai metodi di pensiero dei ferventi pidiellini (flessibili come un tondino).

martedì 1 dicembre 2009

I piani della Liquigas: Basso capitano

Nel ciclismo avere tanti galli nel pollaio è spesso sinonimo di confusione e liti interminabili. L'imbarazzante gestione del dualismo Contador - Armstrong è nella memoria degli appassionati, ma alla Liquigas devono pensarla diversamente, o magari ritengono di non avere quattro campioni di pari livello. L'anno scorso la Liquigas presentava quattro atleti che puntavano a fare classifica nelle corse a tappe. Ivan Basso rientrava dopo una squalifica di 2 anni (coinvolgimento nell'Operacion Puerto e parziale confessione) e l'ultima grande corsa a tappe cui aveva partecipato era il Giro vinto nel 2006. La Liquigas non poteva puntare esclusivamente sul varesino perché non vi era alcuna certezza sul suo rendimento, vuoi per i sospetti alimentati dal doping e vuoi per la lontananza dalle competizioni. Basso ha risposto ai maligni e ai dubbi con una stagione 2009 solida e costante. E' mancato l'acuto, ma il varesino ha chiuso al quinto posto il Giro d'Italia e al quarto posto la Vuelta di Spagna, dopo che aveva trionfato nel Giro del Trentino. Di certo Basso ha mostrato di dover lavorare molto sulla cronometro e di patire i cambiamenti di ritmo in salita, ma la sua stagione deve essere valutata positivamente.

I dirigenti della Liquigas dovrebbero pensarla in questo modo perché sembrerebbe che, per il 2010, punteranno forte sul varesino. Pellizotti, ottimo terzo al Giro e maglia a pois al Tour, sarà co-capitano nella manifestazione italiana, ma dovrebbe mettersi al servizio del compagno di squadra in Francia, mentre Nibali e Kreuziger dovranno concentrare la loro attenzione sulla seconda parte di stagione (Tour e Vuelta). Vincenzo Nibali ha corso un buon Tour, anche se è sembrato troppo timido nei momenti decisivi. Al momento attuale vale un posto tra i primi dieci, ma difficilmente può ambire ad entrare nei top five. Per Kreuziger vale lo stesso discorso, anche se il ceco mi pare più adatto per primeggiare nelle corse a tappe brevi. Per i due giovani non si tratta però di una bocciatura definitiva: sono giovani e devono fare ancora una o due stagioni di gavetta per capire quale sarà il loro futuro agonistico. Al momento attuale potrebbero fare classifica come capitani in un team dove mancano top riders (mentre la Liquigas ne ha già due).

Sulla Gazzetta si vocifera di un malumore di Nibali che, dopo l'ottimo Tour 2010, pretendeva maggiore considerazione. Ma la scelta del team mi pare essere logica perché Basso e Pellizotti hanno mostrato di essere più competitivi dei due giovani, e toccherà a Nibali e Kreuziger dimostrare di aver fatto quei progressi necessari per mettere in discussione le gerarchie interne.

La Lega e le contraddizioni dei cattolici

Le Lega Nord ha deciso di sposare fino alla fine la causa del populismo che garantisce voti (e poltrone) nel breve termine, ma che difficilmente consente di costruire un paese realmente stabile, coeso e competitivo. Negli ultimi due anni di Governo l'azione dei Ministri leghisti è sotto gli occhi di chiunque non crede al vino annacquato che vendono alcuni giornali. Maroni ha dapprima enfatizzato l'emergenza sicurezza, e grazie a quella campagna la Lega ha ottenuto un ottimo risultato alle europee, ma poi si è dimenticato di tradurre in fatti le parole e gli slogan. Tutte le decisioni economiche prese da questo esecutivo contraddicono la centralità della sicurezza perché prima si sono tagliati i trasferimenti per le forze dell'ordine, e questa proposta di riforma della giustizia non sembra tutelare le vittime di tutti i reati. Ma è sempre pronta la scusa del "non ci sono le risorse". Balle. Il Governo ha deciso le sue priorità, come ad esempio il salvataggio di Alitalia effettuato secondo lo schema dei debiti che ricadono sulla collettività, mentre gli utili sono a vantaggio dei capitani coraggiosi (privati). Poi va anche detto che Brunetta stesso accusa Tremonti di immobilismo, ovvero di non fare molto per eliminare le inefficienze della spesa pubblica.

L'unica azione che riesce bene a Tremonti è quella dei tagli indistinti, in genere sui settori nevralgici come ad esempio sanità, istruzione e sicurezza. Se la Lega ritiene che quest'ultima è la priorità per il paese, allora dovrebbe avere la coerenza di lottare per garantire maggiori finanziamenti alle forze dell'ordine, ma a quanto pare la sicurezza verrà garantita attraverso altri metodi, come ad esempio le ronde..

L'altra ondata populista è arrivata con la sentenza di Strasburgo e con il referendum svizzero sui minareti. Castelli propone di mettere la croce nel Tricolore, ma se si ritiene che il simbolo cristiano è così centrale, perché non lo mette prima nella bandiera del suo partito? I misteri della Padania, mentre non poteva mancare l'onorevole Borghezio che vorrebbe un referendum per abolire i minareti in Italia. Il tutto mentre la Chiesa mostra il suo disappunto per il risultato della consultazione svizzera (dove hanno vinto gli abolizionisti) proprio perché questi due segni mostrano che in Europa si sta radicando un "laicismo ateo".

Ma chi ragiona solo secondo la logica della convenienza politica non è minimamente interessato a certi discorsi di medio - lungo termine. Quello che conta è accaparrarsi l'esclusiva dei simboli popolari e la croce è uno di questi. Poi poco importa se qualche esponente leghista crea su facebook un gioco in cui devi abbattere le navi dei clandestini (il che ha ben poco di Cristiano), ormai alla Lega hanno capito che anche in Italia c'è un cattolicesimo stile America Repubblicana. C'è gente che si dichiara cristiana, ma crea una gerarchia di valori tale per cui non rinuncia alle posizioni storiche su aborto, evoluzionismo, contraccezione, mentre dall'altra parte non è per nulla sensibile ai temi dell'uguaglianza, dei diritti civili e del razzismo. E la Lega è molto abile nello sfruttare lo smarrimento dell'elettorato "cattolico finto moderato".

lunedì 30 novembre 2009

L'involuzione dei Raptors

Ad inizio stagione mi ero illuso di poter vedere qualche italiano nei playoff NBA, ma per come si stanno mettendo le cose sarà molto difficile che si realizzi questa possibilità. Danilo Gallinari sta ben figurando nei New York Knicks, ma la sua media di 13.1 punti a partita con il 43.6% da tre, non basta a risollevare il record di una squadra che al momento attuale vanta 3 vinte e 14 perse (terzultima nell'intera NBA). I Knicks stanno evidenziando le stesse lacune emerse nella seconda parte della scorsa stagione ed è molto probabile che realizzino un record peggiore rispetto a quello del 2008/09. Chi ha buona memoria ricorderà che il team di New York aveva un discreto record fino a quando fu organizzato una trade al fine di cedere Randolph. Non voglio di certo criticare la dirigenza per quella legittima scelta, ma dietro quella cessione si nascondeva l'evidente intento di alleggerire il salary cap per poter ambire ad almeno uno dei free agent che si libereranno la prossima estate, e si accettava chiaramente di rinunciare ad ogni ambizione di breve termine. Tutte le operazioni che i Knicks hanno svolto sul mercato sono finalizzate ad allestire un team competitivo nel 2010, peccato che però ci sia in mezzo una stagione da giocare, possibilmente in modo dignitoso. In mezzo a questo cantiere dove molti giocatori hanno già la valigia in mano, Gallinari prova a dare un senso alla sua esperienza NBA. L'anno scorso i guai fisici l'hanno limitato, mentre in questa stagione (in pratica lui è un rookie) sta dimostrando le sue qualità.

Le speranze per gli italiani sono riposte nei Toronto Raptors che però hanno perso lo smalto d'inizio stagione e, considerato che la contesa è iniziata da un mese, non c'è da essere felici. I Raptors delle prime uscite erano leggeri in difesa, ma almeno sviluppavano una manovra offensiva corale e fluida. La gara di ieri con Phoenix ha mostrato l'instabilità della pallacanestro proposta da Triano: se l'attacco non gira, la sconfitta è assicurata. I Raptors hanno avuto una percentuale dal campo del 39.1%, contro il 51.2% dei Suns, l'unica bomba di Toronto l'ha messa Bargnani (per i Raptors 1/20 da tre!). Queste statistiche non sono figlie del caso, ma del modo inconcepibile in cui gioca Toronto: pochi passaggi, poco movimento in attacco, Bosh e Turkoglu che catalizzano metà dei palloni e si prendono forzature esagerate, mentre dall'altra parte si vedeva una squadra che correva e faceva girare la palla coinvolgendo (quasi) tutti in attacco. La frustrazione dei Raptors diventava evidente quando Belinelli, perennemente ignorato dai compagni, decideva di fare tutto da solo e andava a prendersi un tiro impossibile da realizzare. Non per difendere Belinelli, che tra l'altro spesso decide di giocare 1 contro 5, ma dietro quel gesto si nascondeva la pessima gestione dei possessi offensivi operata da Toronto. Triano deve lavorare perché se i Raptors smettono di giocare come una squadra e di segnare possono perdere con chiunque.

sabato 28 novembre 2009

I panni sporchi è meglio non averli!

Nei deliri quotidiani che ci regala il premier più rock degli ultimi 50 anni, ci mancava anche l'invettiva contro gli scrittori che raccontano le vicende di mafia. L'accusa formulata da quella mente acuta che governa l'Italia è quella di essere anti italiani perché raccontando i lati oscuri del paese fanno fare una brutta figura a tutta la nazione. L'esternazione del Presidente non mi stupisce perché le sue uscite hanno sempre dimostrato una scarsa lungimiranza e una mediocrità diffusa su tutti i temi, piuttosto potrebbe stupirmi sentire qualcuno che difende tale oscenità. Come è noto anche ai sassi la "stabilità" socio-politica che investe tutti i paesi dell'occidente è dovuta ad un'evoluzione culturale che è stata condivisa dalle masse popolari. Se oggi viviamo in una democrazia è grazie a tutte quelle persone che hanno pensato certi principi (che noi oggi riteniamo basilari e giusti) e li hanno inculcati nella testa di tutte quegli individui "normali" che vivono in contesti dove gli stessi principi erano negati. Le battaglie per la democrazia sono state vinte grazie al coinvolgimento diretto dell'intera popolazione, che ha condiviso certe idee al punto da arrivare a combattere per ottenere diritti e trasformazioni sociali.

Il premier ignora tutte queste riflessioni perché lui vive nel suo mondo fatato con le canzoni di Apicella, le cene a Palazzo Grazioli, le barzellette e gli affari dell'impero Fininvest: qualunque considerazione sull'evoluzione storica dell'individuo nella società esula dalle sue capacità e dai suoi interessi! L'invettiva contro gli scrittori conferma questa disamina. Per B. essere italiani significa essere fanatici: nascondere le debolezze ed esaltare i punti di forza. Ma un discorso così miope esclude qualunque possibilità di cambiamento e di miglioramento. Le trasformazioni sociali sono sempre avvenute quando i problemi sono stati affrontati di petto, quando sono stati nascosti o sminuiti non s'è mai ottenuto un cambiamento vero. La mafia non è un fenomeno che va analizzato punendo i colpevoli, ma ci sono anche alcuni atteggiamenti che certamente non vanno puniti, però devono essere corretti. E mi riferisco all'atteggiamento mentale di chi accetta la mafia. Certo si parla di persone che non entrano nelle organizzazioni mafiose, ma le rispettano e con questo atteggiamento tacito favoriscono il rafforzamento degli organismi criminali. Se non si riesce a cambiare il modo di pensare delle persone resteremo un paese incompiuto, in cui la lotta per la legalità sarà una guerra senza fine combattuta dalle forze dell'ordine.

L'opera degli scrittori che provano a trarre ispirazione dalla realtà per sensibilizzare l'opinione pubblica è di fondamentale importanza. Da un lato colpisce direttamente le persone che accettano questo stato delle cose, mentre dall'altro mostra a tutto il mondo un'istantanea sulla situazione sociale di alcune aree. In un paese dove si usa tanto la parola "fare", questo dovrebbe essere uno stimolo per migliorare e cambiare il modo di pensare. Quando invece si fa finta di fare, allora è più comodo nascondere i problemi e raccontare qualche barzelletta.

giovedì 26 novembre 2009

Più ingiustizia per tutti

Dopo che la Corte Costituzionale ha bocciato il Lodo Alfano, la giustizia è diventata la priorità dell'esecutivo di Berlusconi. La cosa non stupisce più di tanto perché il nostro premier cerca sempre di sfuggire al controllo di qualunque organo di garanzia. Ma nel nuovo dibattito sono riemersi i soliti, fastidiosi, elementi di faziosità. Prendiamo una persona dall'aspetto serio, il Ministro Angelino Alfano. Quando va in tv ci ricorda le multe che l'Italia paga per le lungaggini della giustizia e ci dice che questa proposta ("prescrizione breve") si tradurrebbe in un risparmio economico. Ma se è indubbio il beneficio pecuniario, si può dire altrettanto sotto il punto di vista delle legalità? Forse no, perché il modo più veloce ed immediato per non incorrere nel rischio di sanzioni causate dai tempi giudiziari, è quello di evitare di celebrare qualunque processo. Se non fai processi come farai ad impiegare troppo tempo per portarli a termine?
Poi vi è pure tutto il discorso (patetico) sul numero di cause che verrebbero annullate. Alfano fa una stima statica e ci dice che ad oggi l'1% dei processi viene ucciso, peccato che ad ogni regola del legislatore corrisponda una reazione razionale dei soggetti (cioè noi!) e questa si traduce in una variazione della domanda di giustizia. Ecco perché l'analisi dinamica deve essere utilizzata per stimare gli effetti della "porcheria". Al tempo stesso è ridicolo il discorso sulla produttività dei giudici perché il sistema giudiziario può essere assimilato ad un qualunque servizio. Abbiamo i serventi e coloro che richiedono la prestazione, ma le cause (giudiziarie) presentano una eterogeneità tale da non potere essere considerate un insieme omogeneo. Comunque è evidente che se il sistema non riesce a soddisfare la domanda in tempi ragionevoli ci sono tre cause possibili coesistenti: risorse umane, norme e comportamento dei cittadini.

1) I magistrati fannulloni. E' il cavallo di battaglia dei pidiellini, del resto anche una grande lavoratrice come Alessandra Mussolini è scandalizzata per il fatto che lavorano 4 ore al giorno. Sia ben chiaro che 4 ore al giorno sono una cifra ridicola e il disappunto cresce se pensiamo alla percentuale di magistrati parassiti che ci saranno. Il fatto di avere una quota di scansafatiche è fisiologico, soprattutto in una categoria così numerosa. Però nel discorso sulle 4 ore gli accusatori si dimenticano di spiegare perché i tribunali sono aperti solo la mattina e, intanto che ci sono, potrebbero anche chiarirci le idee in merito ai vuoti d'organico. L'analisi dei berluscones in genere nasce e finisce qui, senza considerare il dimensionamento del sistema "giustizia".

2) Il modo in cui è strutturato il processo. Prima di fare paragoni (arditi) con la Gran Bretagna, la Francia e compagnia, sarebbe meglio analizzare i diversi ordinamenti giuridici per capire se le nazioni sono confrontabili. Mi risulta che siamo il paese che offre più vie d'uscita agli imputati. Le possibilità di tirarla per le lunghe e arrivare all'agognata prescrizione sono pressochè infinite. Questo provoca mancanza d'armonia nel sistema giuridico perché se qualcuno cerca di accorciare i tempi, qualcun altro non ha il minimo interesse a perseguire tale obiettivo. Da notare che in questo modo si tutelano gli imputati colpevoli rispetto a quelli veramente innocenti. E' chiaro che le parti offese sono l'ultima ruota del carro.

3) Andiamo sulle cose raffinate (si fa per dire..), ma nessuno parla della domanda di giustizia. Alfano ha detto che ci sono tre milioni di cause penali, e siamo in un paese di 60 mln di abitanti, ci rendiamo conto della gravità del dato? Ricapitoliamo perché emerge un bel quadretto. Da un lato vi è un sistema giudiziario sotto dimensionato, in parte svogliato, mentre dall'altra parte abbiamo un ordinamento che garantisce enormi vie di fuga per chi non vuole farsi processare. E' palese che sommando le due osservazioni si determina il comportamento razionale dei cittadini, i quali sono incentivati ad intraprendere quei comportamenti illegali che garantiscono dei benefici tali da giustificare il rischio (ridotto) di pagare per l'azione vietata.

Le proposte del PdL partono da una concezione deviata della giustizia, la si ritene uno strumento fastidioso che limita l'azione individuale. Questa idea è egocentrica e tipica di chi fa gli affari "borderline", ma è lontana dalla destra legalitaria che si basava sul concetto di libertà del singolo dopo il rispetto delle regole comuni (uguali per tutti).

mercoledì 18 novembre 2009

La guerra sul nulla

Ennesimo capitolo della polemica (noiosa) tra "Repubblica" e "Corriere della Sera". Oggi Pierluigi Battista, noto oppositore del Governo, ha espresso il suo punto di vista sulla vicenda Gheddafi rifilando una stoccatina al quotidiano di Ezio Mauro. L'osservazione è piuttosto banale, ma parte dalla constatazione che Gheddafi, cioè quel leader libico che accolse come eroi i terroristi di Lockerbie, ha organizzato un convegno la cui iscrizione era aperta a 200 giovani donne. L'unico piccolo problema era che per partecipare a quella manifestazione, svoltasi a Roma a margine del vertice FAO, bisognava possedere dei requisiti estetici e non culturali o professionali. Qualcuno demonizza le ragazze che hanno partecipato, ma per onor di cronaca va pure ricordato che sono state pagate 50 euro per ascoltare l'illuminante discorso di Gheddafi, e considerato che non si prostituivano mi sembra ingeneroso biasimare una 18enne che decide di guadagnarsi qualcosina in quel modo.

Comunque il buon Battista vede un grande scandalo: "Repubblica" lancia le petizioni contro il premier (mai nominato nell'articolo) e non fa altrettanto con Gheddafi. Sacrilegio!

Mi sembra un ragionamento da bambini dell'asilo, la coerenza si mostra nei giudizi e applicando lo stesso metro a tutte le situazioni. Battista vuole trasformare questa forma di coerenza in qualcosa che è impossibile da osservare. Se la stessa azione la compiono uomini diversi è del tutto normale che le reazioni siano diverse nella forma, ma ciò che conta è che vi sia una integrità nei contenuti. Non è scandaloso che "Repubblica" lancia la petizione contro Mr B. a difesa della dignità delle donne, e non fa altrettanto contro Gheddafi, del resto siamo in Italia mica in Libia. Non si può scambiare la coerenza umana con l'automatismo, è un eccesso di zelo che se fosse portato all'estremo dimostrerebbe come nessuno sia coerente.

Sono veramente deluso da un "Corriere" che pubblica questi stralci di guerre editoriali e si dimentica di dare spazio alle riflessioni di editorialisti più validi.

martedì 17 novembre 2009

Si dice il peccato, ma non il peccatore

Dopo il successo commerciale di "Gomorra", Roberto Saviano è diventato un personaggio chic. Non voglio dire che questa sia una sua colpa, anzi, ma è innegabile che dapprima è stato esaltato da chi aveva effettivamente letto il libro e poi è diventato un'icona per il passaparola e grazie al successo del film omonimo. La politica italiana, seguita da un certo giornalismo accondiscendente, ha annusato l'aria che tirava e tutti hanno fatto a gara per associare la propria immagine a quella del fortunato scrittore. Mentre qualche professionista del populismo provava a guadagnare qualche voto, lo scrittore campano rischiava la vita, difatti dal 13 ottobre del 2006 vive sotto scorta.

C'era già una bella discrepanza tra chi ci metteva la faccia e chi provava ad avere un tornaconto personale, ma l'effetto Saviano era ineusaribile. Tutti ad esaltarlo e tutti ad iscriversi al gruppo di facebook "giù le mani da Saviano" (o qualcosa di simile). Ma non appena lo scrittore ha iniziato a fare i nomi dei politici collusi con la camorra, ecco che i professionisti del cadreghino hanno iniziato a prendere le distanze. Alcuni giornali hanno iniziato il solito, collaudatissimo, giochetto dello sputtanamento della persona per denigrarla completamente. Del resto vanno benissimo gli annunci e i proclami contro l'illegalità, ma non appena ci si accorge che qualche personaggio pubblico potrebbe essere supportato dalla criminalità, ecco che tutti i cuor di leone fuggono dalla sacra battaglia per la legalità. Questo è lo specchio di un paese dove abbiamo una classe politica che fa finta di cambiare le cose. Si parla di lotta all'evasione e poi scopri che nessuno si opera per garantire la tracciabilità dei pagamenti (e le tecnologie ci sono!), si parla di lotta alla mafia e Don Luigi Ciotti protesta perché attraverso la vendita dei beni sequestrati si rischia di rimetterli nelle mani di chi si vuole combattere. E purtroppo questo è un problema che non dipende dalla maggioranza democraticamente eletta.

Un paese dove bastano i propositi e un bel discorsetto è più che sufficiente per sentirci a posto con la nostra coscienza, e per pensare di aver contribuito a cambiare le cose. Un paese dove si premia chi eccelle nella mediocrità e dove chi prova a dare seguito alle parole coi fatti, viene bollato come "uno scrittore politicizzato".

Bookmark and Share

lunedì 16 novembre 2009

Il disegno di legge della discordia

Per giustificare lo scempio della proposta sulla prescrizione, Maurizio Gasparri ha tirato fuori la proposta dei DS di qualche anno fa. Non condivido lo spirito di entrambi i disegni di legge: snellire la giustizia accorciando la prescrizione è un ragionamento bizzarro. Va detto che le due proposte hanno alcuni punti in comune, ma presentano delle rilevanti differenze, soprattutto per quel che riguarda la "sospensione per la prescrizione del procedimento" e quindi per il calcolo dei "tempi di prescrizione".

Pubblico il link del documento proposto dalla premiata ditta Finocchiaro - Casson
Preme osservare la differenza tra l'art.4 proposto dagli ex diessini e la proposta di Ghedini. Di certo un dato rilevante, che solo un onesto esperto del settore può chiarire, è l'art.6 del disegno di legge del centro sinistra e l'effetto delle sospensioni previste dal 346 ter. Tradotto in soldoni, i due anni concessi per ogni grado di giudizio (anche se al primo non sono proprio due) sono sufficienti per avere una giustizia equa, se sono abbinati alle sospensioni previste? Che incidenza hanno queste sospensioni? Almeno capiremo se questa proposta è realmente simile a quella del PdL, e ciascun cittadino avrà il diritto di comprendere se è più ipocrita chi scaglia contro un muro un facs simile del suo disegno di legge, o chi si azzarda a fare paragoni strampalati. Uno dei due, tra Gasparri e la Finocchiaro, mente, resta da capire chi.

domenica 15 novembre 2009

Il vassallo dell'anno 2009

Maurizio Lupi ce l'aveva messa tutta e sembrava ormai avviato ad una facile vittoria, ma un carneade dell'ultima ora gli sta rovinando i piani. Giorgio Stracquadanio (chi?) sta organizzando il "sì berlusconi day", manifestazione di risposta al "no berlusconi day", e penso che riuscirà a ottenere l'ambito riconoscimento di vassallo dell'anno. Suvvia si scherza, dai.

Mi preme sottolineare che le due manifestazioni si differenziano per una piccola parolina, il che riassume lo stato comatoso in cui versa la politica italiana. Berlusconi è un'icona, non è uno statista come sostiene qualche menestrello, e spacca l'opinione pubblica. La sua crisi ha acuito la percezione di vivere in un paese berluscocentrico dove ogni tornata elettorale rappresenta un referendum sulla popolarità del soggetto. Questo difetto accumuna tanti italiani che amano, e votano, o che odiano a prescindere. Ma il fatto ancor più grave è che i fanboy del premier, e le loro nemesi, hanno la pratesa di manicheizzare tutto l'universo. Qualunque cosa scrivi o dici dimostri la tua simpatia e vieni etichettato come berluscones o anti. Una terza, o anche quarta, quinta via è esclusa a priori. L'idea è quella di vivere in un mondo binario, black or white, ma tale semplificazione è solo il desiderio che possono avere persone limitate (nella testa) e incapaci di leggere la realtà nelle sue sfumature.

Tornando al manifesto diffuso da Stracquadanio (chi?) bisogna estrapolare alcune parti per capire l'inutilità di questa politica.

1."..Silvio Berlusconi è l'uomo che ha impedito nel 1994, attraverso libere elezioni, la conquista del potere da parte del Partito Comunista Italiano, che dopo la caduta del Muro di Berlino aveva solo cambiato nome."

Si potrebbe anche dire che è l'unico merito di un premier che ha governato otto, dicasi otto, anni. Un po' pochino, no?

2."..Silvio Berlusconi è oggetto della più impressionante aggressione ad personam della storia contemporanea da parte della magistratura politicizzata. La stessa che aveva spianato la strada ai comunisti eliminando i partiti democratici e occidentali attraverso la galera, la distruzione morale, la violenza giudiziaria, con gli stessi metodi utilizzati nelle dittature comuniste contro i dissidenti."

Proprio cattivi questi magistrati! Hanno messo in galera chi pagava le tangenti, pensa un po' te che razza di sovversivi.

3."..Silvio Berlusconi è l'unico imprenditore ad aver creato da zero una delle poche grandi imprese private italiane, senza mai ricevere un centesimo dallo Stato."

Insomma, mica tanto. La multa di Rete4 la paghiamo noi e gli utili li intasca lui, poi c'è la famosa storia del decreto salva - Mediaset di Craxi, ma facciamo finta di nulla. Così come si può stendere un velo pietoso sui benefici indiretti dovuti alla Legge Gasparri.

4."..Silvio Berlusconi è l'uomo che ha sempre agito rispettando la Costituzione della Repubblica su cui ha giurato; e che si è sempre sottoposto alla più importante prova che esista in democrazia: il voto popolare."

Ecco, bravo visto che ha giurato potrebbe anche rispettarla in toto. Potrebbe far suo il principio che siamo tutti uguali, anche quella è una prova di rispetto della democrazia.

5."..Silvio Berlusconi rappresenta l'argine contro i nemici della libertà e della sovranità del popolo, contro chi, ancora una volta, tenta di sovvertire con la violenza e l'uso politico della giustizia il risultato di libere elezioni e oggi può contare dell'aiuto di chi non ha compreso – per malafede o cecità – che non è in gioco il destino di un uomo, ma il presente e il futuro della libertà."

Non preoccuparti per le mie facoltà mentali, ho capito benissimo quale destino è in gioco.

Bookmark and Share

La fine del PD e il caos ordinato di Fini

Quando Walter Veltroni concepì il Partito Democratico aveva in testa un progetto ambizioso e apprezzabile. All'epoca c'erano i Democratici di Sinistra e la Margherita, due formazioni politiche che avevano sempre appoggiato lealmente Romano Prodi, ma questi due partiti si rivolgevano ad una piccola parte della popolazione. L'idea di Veltroni era invece quella di costruire un partito capace di parlare più lingue, capace di raccogliere i bisogni di alcune fasce della popolazione ignorate dai DS (come ad esempio i commercianti, artigiani, professionisti e imprenditori), per dare vita ad un soggetto politico desideroso di esprimere la sua naturale vocazione maggioritaria. L'esperimento è mestamente naufragato perché Veltroni è riuscito solo a costruire un partito eterogeneo nelle persone, ma vuoto nei contenuti. Sarà pur vero che ha messo sotto la stessa capanna Bersani e Callearo, la Binetti e Marino, l'operaio della Thyssen e Colaninno, ma non c'è stata alcuna evoluzione culturale.

La storia di questi mesi conferma quanto detto. Alle primarie abbiamo visto tre candidati (preparati) che si contendevano la poltrona, ma la ripartizione del consenso interno era figlia delle divisione storiche del centro sinistra. Bersani rappresentava l'area DS, Franceschini l'area ex democristiana e Marino l'area laicista. Può essere un quadro grossolano, ma è evidente che la discussione interna è rimasta ancorata agli schemi storici, alla divisione in ex diessini e ex della margherita. L'amalgama culturale necessaria per far fare un salto di qualità al partito era, ed è, completamente assente. In aggiunta a ciò va pure ricordato che chi si è autoescluso dalla partita per la segreteria (Rutelli, Lanzillotta, Callearo & co) ha levato le tende per fondare con Tabacci l'Alleanza per l'Italia. Questo è un'ulteriore dimostrazione del fallimento dell'esperimento democratico e supporta i sospetti di chi ha visto nel PD un contenitore vuoto e lacerato.

Mentre Sparta si lecca le ferite, Atene non ride. Il PdL vive una situazione grottesca perché ha una maggioranza enorme, ma per la prima volta si incontrano grosse difficoltà per votare l'ennesima legge ad personam. In genere lo schieramento di centro destra era unito e coeso (un po' una bocciofila..) e approvava qualunque porcheria. Oggi le cose sono cambiate, e questo rappresenta un bel colpo per la leadership del premier, il quale si vede costretto a mediare coi suoi stessi alleati per far approvare provvidimenti che in genere venivano votati ad occhi chiusi.

Fini è andato dalla Annunziata a dire che si può approvare un Lodo Alfano costituzionale, ma è il primo a sapere che l'iter per approvare una legge costituzionale è troppo lungo per le esigenze del premier (i processi ripartono tra poco) e, soprattutto, dimentica che la bocciatura del Lodo Alfano poggiava sulla violazione di un articolo fondante della nostra Costituzione. Si continua a discutere su come sia possibile salvare il premier e salvare la faccia davanti agli italiani, ma il tempo stringe e qualcuno si sta innervosendo.

Bookmark and Share

sabato 14 novembre 2009

I Toronto Raptors alla prova del nove

La franchigia canadese sembra un'altra squadra rispetto all'anno scorso e bisogna dare i giusti meriti a Colangelo per le scelte operate. L'anno scorso la rivoluzione iniziò sostituendo l'allenatore, partì Sam Mitchell e arrivò Jay Triano. Quel cambio non determinò alcun inversione di rotta immediata, ma alcuni giocatori, come ad esempio Andrea Bargnani, hanno beneficiato da quella sostituzione. Il Mago era preso di mira dal suo vecchio allenatore e, anche a causa di alcuni suoi limiti caratteriali, faticava a dare continuità alle sue prestazioni. Oggi invece viaggia attorno ai 20 punti di media e riesce ad essere più incisivo in difesa, anche se quello resta il suo tallone d'achille.
La rinascita dei Raptors è dipesa anche da alcune operazioni oculate di mercato. Quest'anno è arrivata una stella di prim'ordine come Hedo Turkoglu, che però non è ancora a posto fisicamente. Poi il roster è stato allungato e rafforzato acquistando DeRozan, Jack, Nesterovic, Amir Johnson, Evans e il nostro Marco Belinelli. Il saldo tra quelli che sono partiti e i nuovi arrivi pende dalla parte dei secondi, e il campo sembra confermare questa sensazione (vedi ad esempio la prova del Beli contro i Clippers).
Un record finale positivo dovrebbe garantire un posto nei playoff e  i Raptors sembrano poter rispettare questo requisito. Per il momento la franchigia canadese viaggia con 5 vinte e 4 perse, ma ha incontrato squadre di livello. Le vittorie esterne con Hornets (in crisi nera) e Clippers (malata cronica) sono ordinaria amministrazione per una squadra che punta ai playoff. Le sconfitte con Dallas e San Antonio sono accettabili, anche se hanno messo in evidenza una difesa troppo vulnerabile, mentre non può essere giustificata la figuraccia di Memphis. In casa la squadra ha vinto contro tre squadre che parteciparono allo scorso finale di stagione - Cleveland, Detroit e Chicago - mentre ha ceduto ai Magic, nonostante fossero decimati tra sospensioni e infortuni.
Adesso le tre trasferte consecutive a Phoenix, Denver e Salt Lake City (Utah), chiariranno il ruolo dei canadesi. Vincere una di queste tre gare sarebbe un bel segnale per affrontare con fiducia il resto della stagione.

Se la fedeltà viene scambiata per un merito

Tutto il caos politico, messo in piedi da "Il Giornale" e promosso dai media berlusconiani per attaccare i ribelli "finiani", nasce da un'incongruenza di fondo. La legge elettorale, concepita da quella mente illuminata di Calderoli e ribattezzata da lui stesso "una porcata", conferisce un potere enorme alle segreterie di partito. E' ovvio che poi tra una formazione politica e l'altra vi sono notevoli differenze, il PD è il regno dell'anarchia, mentre PdL e Lega tendono al modello della caserma. Se la formazione di centro sinistra è lacerata da infinite lotte e scissioni interne in correnti, rigagnoli e individualisti, nel centro destra questo problema non si pone: la gerarchia è chiara per (quasi) tutti in ogni momento.

La porcata di Calderoli non è un incidente accidentale, ma è stata fatta per snaturare il rapporto storico che esisteva tra Governo, Parlamento e cittadini, al fine di favorire i signori Bossi e Berlusconi, i quali possono controllare il potere legislativo. Quando questa legge venne introdotta i fedeli difensori sostenevano che avrebbe finalmente risolto il problema delle disparità economiche tra i candidati, cioè che chi aveva più soldi riusciva a farsi più pubblicità e otteneva più preferenze, peccato che quel problema sia stato sostituito con l'invasione dei vassalli. Non che prima tutti i parlamentari fossero di assoluta indipendenza, ma oggi abbiamo un dilagare di quel fenomeno. Con la legge attuale alle elezioni politiche vi è già un ordine predefinito tra i candidati parlamentari e la spartizione delle poltrone è scelta secondo logiche interne ai partiti. Il Parlamento è popolato da numerosi personaggi che hanno il solo merito di assicurare fedeltà assoluta a chi le ha nominate, ma spesso risultano inadeguate per ricoprire ruoli di responsabilità.

Questa logica di fondo prevale nelle considerazioni de "Il Giornale", e la critica mossa ai finiani è proprio quella di non essere compatti a difesa del Cavaliere. L'esercito dei vassalli popola ormai da anni le aule parlamentari, i giornali e pure i talk show televisivi. In genere li riconosci perché l'unica loro idea è la difesa passionale del premier, e così le loro opinioni (oltre a coincidere con quelle del capo) si rimodellano nel tempo per giustificarne ogni comportamento ed esaltarne la magnificenza. Per fortuna non sono tutti così, ma è arrivata l'ora di dimostrarlo coi fatti.

Bookmark and Share

venerdì 13 novembre 2009

L'economia riparte e l'Italia è nella media

Sono usciti i dati sul PIL del terzo trimestre 2009. L'andamento congiunturale, cioè rispetto al secondo trimestre 2009, è positivo e il dato del +0.6% indica che è in atto una lieve ripresa economica. Purtroppo l'andamento tendenziale resta abbondantamente negativo perché rispetto al terzo trimestre 2009 si registra un -4.6%. Il confronto con gli altri paesi lascia vedere che l'Italia è in linea con le potenze occidentali: gli Usa hanno un dato congiunturale del +0.9% e tendenziale del -2.3%, la Gran Bretagna segna -0.4% e -5.4%, mentre la Francia registra un +0.3% e -2.9%.

Come è noto l'incremento percentuale più alto indica una ripresa economica significativa, ma ciò è influenzato non solo da quanto si sta crescendo, ma anche da quanto si è caduti in basso nel passato. L'economia americana potrebbe recuperare tanto proprio in funzione del fatto che ha subito una recessione più acuta rispetto agli altri paesi. Così come non deve essere dimenticata l'importanza del timing. Ciascun paese è entrato nella crisi in momenti diversi. L'Italia potrebbe veder danneggiato il suo dato tendenziale perché, a differenza di USA e GB, è entrata in recessione solo dal quarto trimestre 2007, ma con una successiva ripresa nel primo trimestre 2008. Insomma il bel paese sembra reggere il confronto con le altre nazioni e solo il futuro chiarirà se abbiamo una ripresa sostanziale o un colpo di coda dovuto all'effetto una tantum degli incentivi. Le politiche di Obama, e anche del Governo Berlusconi in Italia, stanno agevolando il mercato dell'auto. Sono sforzi apprezzabili perché aiutano grandi imprese, ma al fine di avere una vera ripresa bisognerà capire se questi gruppi industriali avranno la capacità di camminare con le loro gambe, o se dovranno diminuire investimenti e produzione.

Bookmark and Share

Un sorriso alla Belpietro

Chi guarda i talk show televisivi ormai si sarà abituato al sorriso del direttore di Libero. In genere compare sul suo viso quando si compiace per quello che ha detto, quando pensa di aver calato l'asso pigliatutto e di aver così segnato un gol pesante su un campo ostico. Il sorrisetto di Belpietro segue tutti i suoi interventi ad Annozero (tranne quello storico in cui disse che "risponde solo alla sua coscienza"), ma spesso è più un'autocelebrazione per una giocata effimera, piuttosto che la gioia esagerata del Pippo Inzaghi che segna di rapina.

Ieri sera il direttore di Libero conferma l'ipotesi che lo invitano per fare la sua solita figura. Bisogna dargli atto che si presenta preparato ed espone una bella trafila di dati, peccato che spesso siano inutili per l'ipotesi sottostante. Anche ieri poteva, e doveva, partire da quei dati per elaborarne altri e costruire un confronto solido tra le diverse nazioni. Parla Davigo ed espone un'analisi chiara in cui evidenzia l'anomalia italiana: troppe cause in corso. Non si è detto, ma è ovvio, che una coda troppo lunga può dipendere da due motivi: sistema sotto dimensionato, sistema di fannulloni. Ma attenzione, una causa non elimina l'altra, le due possono pure coesistere. S'è detto che la dimensione della coda è di 3.000.000 di processi, ovvero 10 volte tanto rispetto alla Francia. Premesso che sarebbe interessante conoscere quante nuove cause vengono iniziate ogni anno, poi sarebbe bello incrociare quell'informazione coi dati di Belpietro. Lui è sempre preparato, ma non riesce mai a produrre un'analisi decente. I termini assoluti che ha portato sono del tutto insignificanti perché se non vengono incrociati con i dati della domanda, e se non viene fatto un confronto tra diversi paesi, non dicono nulla. Ha detto che l'Italia spende tot e la Francia spende meno, ma si è anche detto che la Francia destina meno risorse umane e deve far fronte ad una domanda dieci volte inferiore (dato comunque da verificare). Bastava fare un misero rapporto e confrontare i risultati, ma Belpietro aveva quel suo simpatico sorriso di chi pensava già ad altro, tipico di chi si ferma ad analizzare la superficie delle cose.

P.S. magari poi l'elaborazione dei dati gli dava pure ragione, ma ora non disturbatelo che deve sorridere.

Bookmark and Share

mercoledì 11 novembre 2009

Aldo Grasso critica Mai Dire Grande Fratello



Nel fare comune colpisce una cosa. Quando capita che la discussione si sposta sul GF, poi arriva la fatidica domanda "ma lo guardi?" e puntuale ecco la risposta di rito "ma va..io..no, l'ho visto sul Mai Dire". Che dire, ormai è il programma di avvicinamento al GF per i finti snob. Ma la sostanza resta la stessa, si tratta anche qui di trash.

L'importanza delle emergenze

Questo tg1 non finisce di stupire i telespettatori. La deviazione giornalistica introdotta da Riotta e perfezionata da Minzolini continua a grande velocità, e a pensarci bene è una riproduzione (meno trash) dell'orribile Studio Aperto inventato da Mario Giordano. Su Italia 1 ci si può consolare con servizi adeguati al target dei telespettatori da reality, così sono stati trasmessi pezzi in cui, per parlare di un'insignificante velina o pseudo attrice, si mostra qualche foto nella quale è mezza nuda. Per la serie siamo tutti guardoni. Il tg1 non può replicare in toto il modello "Studio Aperto" (perché cambia il target), ma sta già riproducendo alcuni difetti legati alla scelta dei temi trattati, alle modalità con cui vengono esplorati e all'interazione tra cronaca e politica.
Chiunque si sarà accorto che Minzolini ha una sorta di passione per le "emergenze" e la scusa di sostenere che il pubblico vuole questo tipo d'informazioni sembra abbastanza patetica e sminuisce la capacità del giornalismo di influenzare le preferenze delle persone. Per una settimana c'è stato il tormentone dell'AH1N1, messo in apertura con servizi deliranti e contraddittori. Tra questi non possono mancare un macabro bollettino di guerra, in cui le persone diventano un numero per mostrare la pericolosità della malattia o della catastrofe, e fantastici servizi in cui si domanda alla gente cosa ne pensa dell'allarmismo. Pure stile "Secondo Voi", intervistane tanti e monta solo le cose che rafforzano il messaggio che vuoi inculcare nella testa delle persone. Queste due tipologie di servizi creano lo stato di ansietà e di emergenza. Certo, poi arriva l'esperto a rassicurare tutti, ma allora perché dare la parola anche alla signora che esce dalla metropolitana? Qual'è il contributo che offre l'opinione di un individuo che non ragione su base scientifica, ma esprime il pensiero (modesto) popolare? Il contributo è solo quello di alimentare ulteriormente l'allarme e il caos, al fine ci creare un cortocircuito in cui le emergenze vengono gonfiate da chi è indottrinato a ritenerle tali.
La scelta di parlare con toni allarmistici non è fine stessa, ma contraddistingue un'impostazione volta a sminuire la profondità della riflessione politica. L'immunità, cioè un concetto estremamente complesso, viene così banalizzata nel significato e negli effetti sociali. Per il telespettatore medio del tg1 le emergenze sono e devono essere altre, la nota politica può così diventare superficiale e orientata senza che nessuno ci faccia caso. Prendete anche ieri sera, prima si parla del faccia a faccia Fini - Berlusconi. Poi c'è stato un servizio sulla reazione dell'opposizione, chiaramente chiuso con la pontificazione del pidiellino di turno, e poi un altro pezzo d'antologia sempre sulle opinioni della maggioranza. Ma l'apertura dell'intero tg era un pezzo di cronaca (effetto allarmismo, bollettino di guerra, immagini del dramma e chiamate delle persone disperate) in cui non vi erano tracce significative di denuncia. E' come se si preferisse far viver al telespettatore il dramma umano della tragedia, si vive l'esperienza sentimentale, mentre si ignora la riflessione razionale per evitare altri casi simili.
Non solo è un'informazione orientata, ma pure falsata nei contenuti. L'oggetto del contendere viene cambiato a piacimento, e dall'impunità di un indagato, diventa la definizione di un provvedimento tale da garantire una "giusta durata dei processi". Le domande sono poste partendo da questo punto di vista e nessuno poi si chiede se tagliare i tempi di prescrizione produca l'effetto di aumentare l'efficacia e l'efficienza del sistema giudiziario. Un parametro di tempo, che di fatto bloccherebbe molte cause in corso, viene fatto passare per la panacea dell'inefficienza. La proposta di Fini, cioè l'ovvia considerazione che se tagli i tempi devi dare la possibilità al sistema giudiziario di poterli rispettare, diventa un atto di ribellione, mentre è invece la logica risposta ai tagli a pioggia (Tremonti docet).
Concetto assai dannoso in materia economica e, ahinoi, giudiziaria. L'indulto 2 ci aspetta, ma non preoccupatevi accelererà la giustizia (perché elimina i processi lunghi). Se vi capiterà di fare un reato (e siete incensurati) fate una cosa in grande, possibilmente in compagnia, almeno i tempi tecnici si dilatano. Valutate di non sforare la pena limite e prendetevi un buon avvocato. L'impunità è assicurata.

N.B. chiaramente il discorso sulle emergenze non vuole sminuirne l'importanza UMANA, ma criticare il modo in cui vengono raccontate e inserite nel telegiornale.

Minzolini continua a pontificare

martedì 10 novembre 2009

Minzolini continua a pontificare

Con la sua cantilena da alunno che ha appena imparato a memoria la poesia della recita, Augusto Minzolini è tornato nelle case degli italiani per parlare del più grave problema dell'Italia contemporanea: la giustizia. In un condensato di due minuti scarsi il direttore del tg1 ha provato a riassumere il significato dell'immunità parlamentare, ha attaccato il magistrato Ingroia (che indaga sulla mafia) e ha mostrato la sua posizione sul Lodo Alfano. Gli si può concedere l'attenuante che in due minuti è difficile essere esaustivi, ma essendo lui stesso il direttore della testata poteva preparare un discorso più convincente o limitare l'ampiezza dei temi trattati. La Costituzione Italiana è stata sì mossa dal principio di garantire la separazione dei poteri, ma non si può dimenticare che è stata scritta dopo il ventennio fascista e il principio tanto caro a Montesquieu era stato calpestato dai gerarchi, non dalle toghe rosse. Poi è abbastanza fuori luogo parlare di immunità la sera stessa che Cosentino viene coinvolto in una triste vicenda camorristica.

Nell'Italia della stampa libera, in cui il direttore del tg1 schernisce la manifestazione promossa da varie associazioni, passa quasi in secondo piano che tutto questo vociare sulla giustizia è arrivato dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Il legame causa effetto tra le due cose è evidente, del resto se facciamo un intersezione tra l'insieme delle persone che beneficiavano del Lodo Alfano, cioè le 4 più alte cariche dello Stato, e quello dei beneficiari della nuova proposta, vediamo che nasce un insieme con dentro una sola persona (indovina chi?), il perseguitato. Inseguito o fuggitivo, a seconda dei punti di vista, non si può non partire da questa prospettiva, cioè che l'immunità parlamentare entra nel dibattito politico a seguito di una decisione avversa della Corte Costituzionale, la quale, decidendo sul Lodo Alfano, non ha fatto altro che il suo mestiere (qualunque decisione prendesse).

L'immunità è una questione seria e delicata perché rappresenta un privilegio concesso ad alcune persone che operano (in teoria) per la collettività. Detta in questi termini sembra una cosa sacrosanta, ma non si può dimenticare che, come tutti i privilegi, crea una disparità tra le persone (onorevoli vs comune mortale) e quindi deve essere maneggiata con cura. Si parte da un oggetto che vede coinvolti due attori: la politica e la giustizia. Le ingerenze della giustizia vanno sicuramente evitate, ma eliminarle donando uno scudo alla politica significa partire dal presupposto che questa politica non ha nulla da nascondere e i processi sono frutto della persecuzione giudiziaria. Chi porta avanti questa tesi dimentica che, proprio per garantire un giusto giudizio, il nostro ordinamento prevede tre livelli di giudizio. Anche Minzolini quando parla di Governi ribaltati dalle procure dimentica di dire che quei processi non erano delle bolle di sapone, così come sembra discutibile la scelta di portare come esempio d'immunità i casi di D'Alema e Di Pietro, quando neanche una settimana fa il Parlamento ha bloccato un procedimento contro Matteoli.

Bookmark and Share

lunedì 9 novembre 2009

Le domande di Micromega agli onorevoli dell'IDV

Sul sito di Micromega sono uscite 10 domande aperte a tutti i deputati e gli europarlamentari dell'IDV. Le domande sono state scritte da Salvatore Borsellino e da Andrea Scanzi.
Riporto le 5 domande di Andrea Scanzi, mentre lascio un link per chi volesse leggere l'intero articolo.

1) L’Italia dei Valori è diventato il privilegiato approdo di molti delusi da sinistra, più per demeriti altrui che per meriti propri. E’ un partito che usufruisce di voti fluttuanti, radicalizzati ma non radicati. Un voto “in assenza di”: non un’adesione pienamente convinta. Quando scatterà – se scatterà – l’appartenenza?
2) L’immagine attuale dell’Italia dei Valori è quella di un partito in cui le personalità maggiori coincidono con Di Pietro e De Magistris: due ex magistrati. E’ normale o piuttosto il segnale che il “giustizialismo” può diventare un assillo, quasi una devianza patologica?
3) La questione morale è centrale nell’Italia dei Valori. L’inchiesta di MicroMega sembra però avere infastidito la nomenklatura. Per chi fa politica come l’Idv, sempre sull’orlo del populismo, è costante il rischio che a furia di fare i Robespierre prima o poi spunti un Saint-Just a rubarti scena (e testa). Non è per questo particolarmente sbagliato minimizzare i problemi interni (per quanto inferiori alla media)? Non avvertite l’esigenza di dimostrare che le Sonia Alfano e i Gianni Vattimo non erano specchietti per le allodole?
4) Il momento più basso dell’Idv è stato il voto contrario alla Commissione d’Inchiesta sulle mattanze a Bolzaneto e Scuola Diaz, quando il vostro partito era al governo. E’ di queste settimane il calvario di Stefano Cucchi. L’impostazione “poliziottesca” dei quadri dirigenziali dell’Idv (emblematico il caso Giovanni Palladini) può portare a una sottovalutazione di vicende analoghe? La vostra attenzione alla legalità contempla anche il garantismo e il coraggio di non reputare intoccabili magistrati e forze dell’ordine?
5) L’Italia dei Valori prospera per la risibile debolezza del Pd e perché il bipolarismo italiano è drammaticamente atipico: non centrosinistra e centrodestra, ma berlusconiani e antiberlusconiani. Questa radicalizzazione avvantaggia un partito di lotta come l’Idv: di lotta, ma non di governo. Cosa farà l’Italia dei Valori quando Berlusconi non ci sarà più? Non è un partito che, paradossalmente, per prosperare ha bisogno anzitutto del Nemico?

domenica 8 novembre 2009

Storace andò alla guerra

Francesco Storace (04 luglio 2007): "An non è più la mia casa politica e non rappresenta più la destra. Fini mostra superficialità e superbia, con lui siamo passati da Salò ai salotti. Ha fatto l'inno del politeismo, proposto il voto agli immigrati, fatto discutere di Corano nelle scuole, ha detto che il fascismo è il male assoluto." Così si consumò lo strappo tra Fini e l'ex Ministro della Salute. All'epoca Fini disse che le motivazioni politiche erano inconsistenti, mentre Storace, tra la gioia di tutti quei forzisti desiderosi di ridimensionare AN, proseguì per la sua strada.

Il 10 novembre 2007 Daniela Santanchè confluisce ne "La Destra". Due giorni dopo dichiara: "non siamo un partito moderato, siamo un partito incazzato, con la bava alla bocca, che non darà tregua a chi tradisce" e nel frattempo critica Fini, reo di non applicare la meritocrazia, e La Russa, l'amico che l'ha tradita. Il 10 febbraio 2008 Daniela Santanchè viene nominata candidata premier, "La Destra" correrà da sola senza fare alleanze con il PDL. Storace: "Siamo rimasti impressionati dall'ovazione di ben cinque minuti tributata alla proposta di candidare la nostra portavoce Santanchè a Palazzo Chigi. Più in generale rimarco a tutti che se è nata La Destra è perché c'è sangue nella vene e non accettiamo giochetti".

Inizia la campagna elettorale, e Daniela Santanchè attacca i due leader del PdL con queste parole: "Fini è il peggiore dei traditori. E' solo un funzionario di partito", e poi: "Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...". Nel frattempo Storace informa tutti che la canzone che più rappresenta il nuovo soggetto politico è "Non mollare" di Gigi D'Alessio (uh!).

Arrivano le elezioni che vanno maluccio (2,428% alla Camera), ma ci sono validi motivi per festeggiare: "A casa di una donna di destra, questa è una serata in cui si festeggia. È la sera in cui scompaiono i comunisti. E si fa giustizia dei venti mesi precedenti" - Daniela Santanchè, e ancora: "Abbiamo conquistato un milione di voti in quattro mesi e mezzo. Sono più di duecentomila al mese. Se tanto mi dà tanto...", poi nega ogni possibilità di accordo con Berlusconi. Il 27 settembre 2008 cambia idea e la "pasionaria" de La Destra decide di ricucire lo strappo col PdL, Storace non le dà credito e resta nel movimento politico da lui creato.

A novembre anche Storace cambia idea e apre al PdL: "Ho ascoltato con grande rispetto e interesse il rappresentante del Pdl: Quagliariello ha detto che magari un giorno ci ritroveremo nello stesso partito. Vorrei dire a Quagliariello che qua non ce n'è uno che vuole stare nello stesso partito con te. Basta fare l'analisi del sangue ai dirigenti della Destra" e definisce Berlusconi un amico, "ma la politica è un'altra cosa".

L'alleanza costruita in occasione delle europee è alquanto bizzarra (MPA, La Destra e Partito dei Pensionati) e su base nazionale raccoglie un misero 2,22%. Considerato il plebiscito di Lombardo (15%) in Sicilia è una debacle vera e propria. Arriviamo ad oggi, 8 novembre 2009, così parla lo stesso Storace: "A guardare le frequenti liti tra fondatori del Pdl e ministri, per non parlare delle vere e proprie scissioni in Sicilia, perché ce l'avevano con noi, che eravamo solo pochi deputati?" e si parla di "alleanze comuni per battere la sinistra, un patto valido ovunque e non a macchia di leopardo, noi non siamo l'Udc" (infatti l'UDC può essere l'ago della bilancia).

Non è difficile capire a chi ha fatto comodo questo teatrino. Rottura con Fini, AN (senza Storace) entra nel PdL, La Destra corre da sola e non sfonda, la Santanché abbandona la nave e torna a casa, Storace riapre al centro destra. Astinenza da potere o qualcuno (non tutto quel partito) ha fatto un favore che verrà ricompensato?

Bookmark and Share