venerdì 4 dicembre 2009

Ma Fini cos'ha detto di sconvolgente?

Tra Fini ed il magistrato Trifuoggi si parla di giustizia e del premier. Fini espone delle osservazioni che mi sembrano razionalmente condivisibili perché segnala che le eventuali dichiarazioni del pentito Spatuzza devono essere maneggiate con grande cautela, in quanto i temi trattati da alcuni procedimenti sono talmente delicati da non concedere alcun margine d'errore. Al tempo stesso il Presidente della Camera ammette che il premier confonde la popolarità con una sorta di permesso ad eludere tutti i meccanismi di controllo che garantiscono l'autenticità della nostra democrazia. Insomma, Fini non ha detto niente di eversivo, ma ha solo espresso quei concetti di legalità, di prudenza e di separazione dei poteri che determinano la qualità delle democrazie. Mentre Fini sposta il dibattito su un piano qualitativo, arrivano i soliti discorsi superficiali di Schifani. Per lui la democrazia consiste solo nell'esercizio del diritto di voto, e così dimentica che la separazione dei poteri poggia sull'idea che bisogna creare un meccanismo capace di essere stabile e di arginare le ingerenze anti democratiche di una politica che può anche essere popolare. Del resto tra il fare una cosa giusta e il possedere una buona popolarità vi è una grande differenza.

Ma i berluscones di lunga militanza, come Cicchitto, Bondi e Scajola, e i veri traditori (M.G.), la pensano diversamente. Anche loro però confondono la leadership politica ed il carisma con l'assolutismo. Se Scajola critica queste parole di Fini e arriva a dire che "è lontano dalla linea politica del PdL", allora si aprono tre scenari. Il primo è che il Ministro non ha ascoltato le registrazioni, si è limitato a leggere il resoconto imparziale di Libero e del Giornale, e dopo non ha saputo controllare il suo stupore per questa evidente reato di lesa maestà. La seconda possibilità è che Scajola ha ascoltato, ma non ha capito il significato delle parole (possibilità da non escludere). La terza è anche la più probabile e consiste nel sostenere che la linea politica del PdL non si basa su nessuno dei fogli di carta che definiscono le ipotetiche linee guida del partito, ma si basa sulla venerazione del capo che, essendo generoso e disponibile a ricompensare i fedeli, deve essere difeso "ad ogni costo" (anche se preferisco Creep dei Radiohead).

Tra le tre possibilità presumo che quella vera sia l'ultima, e quindi ci troviamo con un partito di maggioranza relativa che non ha idee e valori, nel senso originale ed elevato del termine. L'unità del PdL si basa solo sull'adorazione della persona che guida quel movimento politico, ed è preoccupante che tale motivazione sia talmente importante da delegittimare tutti i principi che Fini espone. Il povero Presidente della Camera paga le sue simpatie politiche giovanili e l'Italia è un paese troppo bigotto per distinguere la differenza che esiste tra chi cambia le idee e chi cambia padrone (tipo M.G.). Non credo potrà mai fare il premier perché dovrà convivere con l'ostilità di una certa parte politica, che lo apostrofa fascista, e, ahimè, dimostra di adeguarsi ai metodi di pensiero dei ferventi pidiellini (flessibili come un tondino).

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