martedì 10 novembre 2009

Minzolini continua a pontificare

Con la sua cantilena da alunno che ha appena imparato a memoria la poesia della recita, Augusto Minzolini è tornato nelle case degli italiani per parlare del più grave problema dell'Italia contemporanea: la giustizia. In un condensato di due minuti scarsi il direttore del tg1 ha provato a riassumere il significato dell'immunità parlamentare, ha attaccato il magistrato Ingroia (che indaga sulla mafia) e ha mostrato la sua posizione sul Lodo Alfano. Gli si può concedere l'attenuante che in due minuti è difficile essere esaustivi, ma essendo lui stesso il direttore della testata poteva preparare un discorso più convincente o limitare l'ampiezza dei temi trattati. La Costituzione Italiana è stata sì mossa dal principio di garantire la separazione dei poteri, ma non si può dimenticare che è stata scritta dopo il ventennio fascista e il principio tanto caro a Montesquieu era stato calpestato dai gerarchi, non dalle toghe rosse. Poi è abbastanza fuori luogo parlare di immunità la sera stessa che Cosentino viene coinvolto in una triste vicenda camorristica.

Nell'Italia della stampa libera, in cui il direttore del tg1 schernisce la manifestazione promossa da varie associazioni, passa quasi in secondo piano che tutto questo vociare sulla giustizia è arrivato dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Il legame causa effetto tra le due cose è evidente, del resto se facciamo un intersezione tra l'insieme delle persone che beneficiavano del Lodo Alfano, cioè le 4 più alte cariche dello Stato, e quello dei beneficiari della nuova proposta, vediamo che nasce un insieme con dentro una sola persona (indovina chi?), il perseguitato. Inseguito o fuggitivo, a seconda dei punti di vista, non si può non partire da questa prospettiva, cioè che l'immunità parlamentare entra nel dibattito politico a seguito di una decisione avversa della Corte Costituzionale, la quale, decidendo sul Lodo Alfano, non ha fatto altro che il suo mestiere (qualunque decisione prendesse).

L'immunità è una questione seria e delicata perché rappresenta un privilegio concesso ad alcune persone che operano (in teoria) per la collettività. Detta in questi termini sembra una cosa sacrosanta, ma non si può dimenticare che, come tutti i privilegi, crea una disparità tra le persone (onorevoli vs comune mortale) e quindi deve essere maneggiata con cura. Si parte da un oggetto che vede coinvolti due attori: la politica e la giustizia. Le ingerenze della giustizia vanno sicuramente evitate, ma eliminarle donando uno scudo alla politica significa partire dal presupposto che questa politica non ha nulla da nascondere e i processi sono frutto della persecuzione giudiziaria. Chi porta avanti questa tesi dimentica che, proprio per garantire un giusto giudizio, il nostro ordinamento prevede tre livelli di giudizio. Anche Minzolini quando parla di Governi ribaltati dalle procure dimentica di dire che quei processi non erano delle bolle di sapone, così come sembra discutibile la scelta di portare come esempio d'immunità i casi di D'Alema e Di Pietro, quando neanche una settimana fa il Parlamento ha bloccato un procedimento contro Matteoli.

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