lunedì 2 novembre 2009

Una critica (sensata) ad Annozero

Ogni puntata di Annozero suscita un polverone di polemiche. Spesso si tratta di discussioni inutili perché portate avanti da fedeli collaboratori del premier o da persone che, in qualunque caso, sono ostili alla figura di Berlusconi (come la Serracchiani). Assistiamo ad accuse e difese basate sull'appartenenza politica e mai fondate su un'analisi dei contenuti e delle scelte giornalistiche della testata. Qualunque cosa dicono o fanno Santoro e Travaglio abbiamo una polarizzazione delle posizioni che, ahimè, è preconcetta. Questa divisione manichea (concetto caro ai giacobini) semplifica, e di molto, la vita del telespettatore. Non serve ascoltare e neanche sforzarsi di seguire il filo logico della discussione o la qualità dei contributi portati dagli ospiti. Tutto è già noto a priori, ognuno viene così visto come parte di una recita in cui i ruoli sono predefiniti e si finisce per guardare una trasmissione informativa con gli occhi del tifoso sportivo.
Alla coppia di giornalisti scomodi credo vada riconosciuto il merito di fare inchieste e portare sostanziose basi per sviluppare la discussione. Si potrà discutere sulla forma, ma i contenuti spesso sono insindacabili e piuttosto che vedere ospiti capaci solo di costruire una linea Maginot, sarebbe piacevole vedere discussioni sul merito. Al tempo stesso riconoscere un merito non significa essere un fanboy. E questo è uno dei principali limiti non solo dei berluscones, ma dell'italiano medio. La logica manichea prodotta da Berlusconi non è una sua malsana invenzione, ma rappresenta un adeguamento al modo di pensare di noi italiani.
Come detto Santoro non è esente da critiche, io ne trovo due principali, e se qualcuno leggerà spero possa aggiungerne altre. Premesso che i contenuti non mi sembrano criticabili (cosa fondamentale per una trasmissione), lo è la forma nella scelta degli ospiti e nella conduzione della trasmissione. Non so se gli ospiti sono scelti dai partiti, ma partirò dal presupposto che sono invitati. A livello di giornalisti è palese l'abisso tra non so un Porro e Belpietro, ma in coincidenza della presenza dell'uno cambiano toni e argomenti trattati. Certo, i due operano in ambiti diversi, ma hanno modi diversi di porsi. Se il primo elabora dei ragionamenti, il secondo argomenta le sue tesi con fatti subito smentiti da chi è in studio. Forse Belpietro non se ne accorge, ma viene invitato proprio per fare la figura del cioccolataio, in quanto finisce per essere demolito dalle precisazioni di Travaglio. Porro riescie a guadagnarsi credibilità proprio perché parte invece da ragionamenti fondati, chiari e sensati, non da discorsi palesemente pilotati dall'appartenenza politica. Idem al quadrato per i politici. Castelli si autoriduce ad una presenza da cabaret (con i tormentoni del libro e il populismo su quanto prende Beppe Grillo), Ghedini ha il suo mavalà e Lupi è una contraddizione vivente (interrompe, insulta e si dichiara tollerante). Nel teatrino recitano alla perfezione la loro parte e finisce che portano un contributo nullo alla discussione. Forse nella destra sono contenti della figura che fanno, ma non tradiscono nemmeno le aspettative di chi conduce perché si dimostrano senza idee autonome, ma portatori sani di banalità o del verbo di Mr B.
L'altro aspetto discutibile è il modo (momenti e parole) che viene usato per dare la parola ad un ospite.
Questo è Santoro, con i suoi pregi, come giornalista d'inchiesta, e i suoi difetti.

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