giovedì 5 novembre 2009

L'anti Annozero

Nel mese di settembre c'erano molti dubbi sulla messa in onda della nuova stagione di Annozero perché mancavano i contratti di Travaglio e di buona parte del team che lavora per realizzare i contenuti della trasmissione. Qualcuno gridava ad un editto bulgaro bis, ma l'ex rappresentante legale di Mediaset è magnanimo ed anche abbastanza perspicace. Forse ha capito che la cacciata di Biagi, Luttazzi e Santoro, fu un bel autogol che spianò la strada ad un processo di beatificazione dei tre personaggi. Ai tempi dell'editto bulgaro Biagi conduceva "il fatto" e realizzava uno share favoloso. La sua colpa principale era il non genuflettersi davanti al nuovo uomo della provvidenza, e i soliti noti sono riusciti a compiere un bombardamento mediatico per fare in modo che, nell'immaginario collettivo, una trasmissione modello fosse considerata alla pari di un articolo della Pravda. Biagi si caratterizzava per la sobrietà nella conduzione e per la grande impronta professionale che dava alla trasmissione, questa aveva un corpo centrale, costituito dalla divulgazione di fatti e dati ufficiali, cui seguiva una breve interpretazione del giornalista. Chi vuole cambiare l'informazione in cronaca ha sempre da obiettare su questo punto sostenendo che l'interpretazione è faziosa. Ma chi ragiona in questo modo dimentica che il lavoro del giornalista non può essere quello di fare taglia e cuci (che poi tra l'altro è l'accusa principale di Facci & co. contro Travaglio, ma se i fatti sono contro il re allora non bisogna raccontare nemmeno quelli), ma deve anche essere quello di fornire una lettura responsabile e personale dei fatti. Sarà poi il pubblico a decidere se l'interpretazione è sensata o discutibile. Annullare la libertà d'interpretazione significa aderire ai dogmi dello stalinismo.

Ma ero partito da Annozero e lì torno. L'anti Santoro sarà impersonificato da Maurizio Belpietro. Il direttore di Libero non mi sembra dotato della capacità televisiva per intrattenere un telespettatore (anche Biagi non dava un ritmo incalzante, ma "Il fatto" non durava due ore e passa) e non mi sembra nella posizione ideale per costruire una trasmissione equilibrata. Non dà mai alcun cambio di marcia al suo discorso, dice sempre ovvietà e non ha la capacità di persuadere un vasto pubblico con i suoi ragionamenti perché sono palesemente una visione parziale della realtà e dà sempre l'impressione di ignorare (volutamente) una lettura completa delle cose. Anche nelle vicende sessuali recenti ha mostrato di non avere una visione organica della società e della politica. Le scuse usate per difendere l'uno, al grido di , sono diventate le colpe dell'altro perché questo andava con dei trans, che stando a Gasparri non sono neanche delle persone. Ma da un giornalista si può pretendere una visione del mondo simile al buonsenso di una perpetua? Ritengo di no, poi sarebbe anche bene porre fine alla convinzione popolare che al termine moralista corrisponde solo il "bacchettone cattolico". Accanto alla morale della Chiesa ve ne è una diffusa nei comportamenti e nei costumi delle persone. Alcuni comportamenti tabù per la Chiesa (divorzio, aborto, libertà sessuali, ecc) non lo sono per buona parte della popolazione, ma altri, come ad esempio l'andare coi trans restano, nell'immaginario collettivo, un tabù. E' come se accanto alla morale rigida ecclesiastica ve ne fosse una più flessibile e aperta, ma giudicare il mondo sulla base di questa seconda morale resta sempre un'opera di moralismo.

La vicenda Marrazzo ha anche mostrato l'esistenza di un giornalismo scandalistico disposto a dare una visione esclusivamente "morale" delle azioni. Le ripercussioni politiche del caso Marrazzo sono invece evidenti e devono essere approfondite. Storace stesso ha indicato la strada giusta che è quella di cercare tra appalti, concessioni e tagli compiuti dal Governatore del Lazio negli ultimi tempi. Resta un mistero quello di capire se i carabinieri lavorassero in proprio o per conto terzi, il che cambierebbe la lettura di molte scelte giornalistiche e politiche.

La differenza tra Santoro e Belpietro è parsa evidente nel modo di raccontare questa storia. La ricerca della dietrologia (fatta da Santoro) non è solo un geniale stratagemma per far incollare il telespettatore allo schermo, ma rappresenta un modo interattivo di fare giornalismo. Significa portare avanti la concezione del giornalista che cerca, scava, analizza, mette in relazioni fatti ed espone la sua ipotesi al pubblico. Ma questo non ha colore politico, si chiama giornalismo e vedremo se Belpietrio saprà costruire una trasmissione capace di sostenere con forza un'ipotesi.

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