sabato 7 novembre 2009

La storia di Alitalia e l'immobilismo della politica

La storia di Alitalia la conoscono anche i sassi, del resto è un fenomeno piuttosto frequente nel panorama italiano. Fino a un anno fa non era nient'altro che una delle tante partecipate dal Ministero del Tesoro, peccato che generasse più dispiaceri che soddisfazioni, bilanci perenemmente in perdita, un indebitamento che si era gonfiato al punto tale da trascinarla sull'orlo del default e prestazioni di efficacia e efficienza lontane dai benchmark di mercato. Il tutto sotto l'occhio vigile di manager statali, quindi nominati con l'avallo della politica, che sembravano più interessati alle loro tasche che a operare quella necessaria ristrutturazione societaria per cui erano pagati

L'ex Ministro del Tesoro (TPS) decise che era giunto il momento di liberare il bilancio dello stato da un asset che, invece di creare valore assorbiva risorse economiche senza restituire alcun beneficio. La proposta del Governo Prodi era quella di vendere la società ad Air France, la quale riscattava anche gli oneri. Berlusconi reagì fin da subito sventolando (inopportunamente) la bandiera dell'Italia. La battaglia politica si trasferì anche su quel terreno, ma preme sottolineare come entrambe le fazioni, prodiani e berluscones, partivano dal presupposto che la vendita fosse necessaria. Certo, cambiavano le condizioni perchè Tommaso Padoa Schioppa suggeriva una cessione che non gravava sul bilancio, mentre il piano dell'attuale maggioranza ha determinato un ulteriore indebitamento pubblico, ma il filo conduttore era la convergenza sulla necessità della cessione.

In pochi hanno pensato che la presenza di privati, desiderosi di rilevare la compagnia aerea, suggeriva che il malato fosse guaribile. La vicenda è andata a finire come tutti sanno, ha vinto l'italianità, ma soprattutto han vinto coloro che aderirono alla cordata promossa da Roberto Colaninno (Piaggio), mentre il pubblico ha perso la faccia. Alitalia ha chiuso il terzo trimestre 2009 in verde, per la prima volta da anni (o forse decenni). Dai -210 mln di euro del primo trimestre, si è passati ai + 15 mln del terzo, e questa svolta è solo l'inizio. Accanto a questo ci sono dati non economici importanti che testimoniano la trasformazione in atto, il load factor è passato nello stesso periodo dal 51 al 74%, la puntualità è oggi al 74%. Insomma un anno di cura privata ha trasformato un carrozzone in perdita in un investimento appetitoso. Come è possibile?

Non è che forse il pubblico ha margini di manovra molto più limitati rispetto al privato? La storia di Alitalia ha dimostrato come certe eccessive tutele sociali possono uccidere le società (e creare disoccupazione), ma ha anche mostrato l'ennesimo fallimento della politica. Qualcuno aveva detto che avrebbe portato la mentalità privata nel pubblico. Bene, ma allora perché è necessario vendere le società pubbliche al privato affinchè recuperino competitività? Non ci si può nascondere dietro la scusa dell'aver le mani legate e dei margini ristretti di manovra che ha il pubblico perché questa politica manca di coraggio e piuttosto che spiegare l'urgenza di certe scelte impopolari (difficili da capire per l'uomo della strada), si lascia sedurre dal facile consenso del populismo becero.

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2 commenti:

  1. Ma per favore si vada ad informare ed eviti il luoghi comuni

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  2. sarà anche un luogo comune criticare Alitalia e la gestione politica del caso, ma 25.000 euro di perdita per dipendente (bilancio 2007) non sono inventati dal sottoscritto, ma certificati. Certo se si lasciano decomporre le aziende poi la svendita è d'obbligo, ma la voragine di perdite e debiti non si è manifestata all'improvviso. Era una situazione logora da tempo e intervenendo si poteva evitare il collasso (sfiorato) finale.

    Grazie per l'illuminante intervento (comunque si scrive "i luoghi comuni")

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