venerdì 6 novembre 2009

Arrivano i soldi dello scudo e parte l'assalto alla diligenza

Col senno di poi è facile dirlo, ma non si può ignorare che un anno di crisi e di politica economica di Tremonti hanno portato l'Italia ad avere un debito su PIL del 115%. In Europa c'è la Grecia che sta messa peggio (120%), ma ad esaltarsi per queste notizie si rischia di cadere nel ridicolo. Per le esangui finanze pubbliche italiane potrebbe arrivare una boccata d'ossigeno grazie al gettito straordinario determinato dallo scudo fiscale. I Tremontiani difendono la legittimità dell'opera perché porta capitali in Italia (classica frase di chi pensa che la ricchezza si crea per magia), risana le casse pubbliche e non tocca le tasche degli italiani. E' un vero peccato dover scrivere per rompere questo falso quadro bucolico, ma basta un semplice paragone per delegittimare quel ragionamento. Un'entrata una tantum può essere applicata al contesto familiare. Prendiamo un nucleo che ricava 20 e spende 25, se anche vende la casa per 500 deve comunque cercare un equilibrio nella gestione corrente, sennò tra qualche anno si ritorna al solito punto, e quando sono finiti gli asset da liquidare si andrà in default. Tremonti è abile a camuffare il dato finale (perché i condoni lo gonfiano), ma queste opere non sono altro che un palliativo, capace solo di allungare l'agonia.

Il gettito dello scudo ad oggi dovrebbe essere di 2,5 mld di euro (il 5% dei 50 mld rientrati). Si poteva ottenere la stessa cifra mostrando i muscoli e imponendo l'aliquota inglese, che è del 50% circa, facendo rientrare 5 mld di euro. Magari ci voleva anche più tempo e magari tutto si risolveva in un fallimento, di certo agendo in quel modo la legalità non sarebbe una parola vuota. Nel frattempo il Ministro dell'Economia deve stringere i cordoni della borsa perché tanti ministeri vogliono avere la priorità. Maroni rischia la faccia sul tema della sicurezza e non vuole fare brutte figure, La Russa pensa alle forze armate, e poi ci sono pure le pressioni degli imprenditori che non vogliono pagare l'IRAP. Ma nessuno si è chiesto perché è stata creata un'imposta che non va solo sull'utile? Forse c'era un comportamento diffuso di "tax avoidance" e lo si è voluto limitare?

Ma in mezzo alle preoccupazioni per le casse pubbliche e le capacità di Tremonti di garantire stabilità e rigore (tra l'altro si è sempre in attesa di capire se la sua previsione della crisi ha portato qualche beneficio al sistema paese), vi sono motivi d'orgoglio. Nel PIL pro capite abbiamo superato la perfida albione. Ma saremo capaci di tenere questa posizione anche durante la ripresa, magari attenuando le differenze sociali? E soprattutto, siamo sicuri che il PIL pro capite sia un indicatore esaustivo? Forse questa crisi ha accentuato le differenze economiche e quel numero medio non è sufficiente per cantar vittoria. Può bastare un indicatore per dire che le cose vanno male, ma è difficile costruire un quadro positivo usandone solo uno. Il criterio della prudenza andrebbe applicato anche in politica, ma è poco populista.

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