Lo scontro emerso tra Maroni e Bossi dimostra che c'è modo e modo di fare politica e di ottenere consenso. La Lega sta attraversando uno dei suoi momenti più felici, arriva da un clamoroso risultato ottenuto alle europee ed è così riuscita ad aumentare il suo peso decisionale nella maggioranza (anche grazie alle distrazioni del premier). Ma questo consenso, questa valanga di voti presi lo scorso giugno, sono dovuti ad una politica concordata con i vari Ministri di area leghista. Sparate a parte, Zaia ha sempre mostrato di essere sensibile ai problemi degli agricoltori, mentre Roberto Maroni ha fatto un lavoro di qualità (politica, sia chiaro). Intanto è riuscito nell'intento di spostare il dibattito politico verso due temi cari all'elettorato leghista e di cui era responsabile in qualità di Ministro dell'Interno. Chi ha buona memoria del resto non potrà negare che l'ultima campagna elettorale è stata centrata sui temi dell'immigrazione clandestina e sulla sicurezza.
Al fine di assicurare il successo elettorale è stato forse amplificato a dismisura questo senso d'urgenza, per poi passare al contrattacco, mostrando una serie di risultati che sembravano dire:" vedete, la Lega mantiene le promesse". Di cosa parliamo? Di due cose, la prima è la conferenza stampa in cui furono annunciati i dati del Viminale sull'andamento dei reati. In quell'occasione Maroni illustrò una situazione in cui i delitti (in generale!) calavano e approfittò, della sonnolenza mostrata da chi prese quei dati senza metterne in dubbio le metriche, per farli passare come un'informazione precisa. Un calo tendenziale dei reati è auspicabile e deve essere perseguito, ma come si misura la diffusione di un reato? Può essere sufficiente basarsi sulle denunce? A mio avviso no. Il secondo pilastro della strategia Maroni consisteva nella lotta agli sbarchi clandestini. Anche qui parliamo di una mossa popolare, ma bastano i respingimenti per ridurre, in modo significativo, l'entità dei flussi migratori verso l'Italia? Un professore della Cattolica, che collabora con un organismo internazionale il quale opera nel monitoraggio dei flussi migratori, aveva detto che, stando alle loro rilevazioni, solo il 5% dei migranti arriva col barcone. Queste affermazioni sono state rilasciate durante la trasmissione "Presadiretta" e sembrerebbero ridurre la significatività della lotta all'immigrazione promossa da Maroni. Se a queste parole corrispondesse la verità allora sarebbe un altro caso di populismo.
La Lega deve quindi ancora fare il salto di qualità per trasformarsi da una macchina del consenso ad un partito di vero Governo. Maroni ha capito che ricopre una posizione delicata e le promesse elettorali, se verranno disattese, potranno trasformarsi in un boomerang. In quest'ottica deve esser letta la sua dichiarazione di apertura verso il PD perché lui non vuole cambiare partito, ma vuole solo difendere la sua credibilità. I tagli nei finanziamenti per le forze dell'ordine non sarebbero un bel biglietto da visita per un Ministro dell'Interno che punta in alto.
A questa legittima presa di posizione del Viminale, Bossi ha risposto da padrone del partito. Il "senatur" sa perfettamente che ora bisogna decidere le candidature per le prossime regionali. Il potere acquisito grazie alle europee pone la Lega in una posizione privilegiata e Bossi vuole capitalizzare al massimo questo vantaggio. Le promesse elettorali possono aspettare.
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