lunedì 30 novembre 2009

L'involuzione dei Raptors

Ad inizio stagione mi ero illuso di poter vedere qualche italiano nei playoff NBA, ma per come si stanno mettendo le cose sarà molto difficile che si realizzi questa possibilità. Danilo Gallinari sta ben figurando nei New York Knicks, ma la sua media di 13.1 punti a partita con il 43.6% da tre, non basta a risollevare il record di una squadra che al momento attuale vanta 3 vinte e 14 perse (terzultima nell'intera NBA). I Knicks stanno evidenziando le stesse lacune emerse nella seconda parte della scorsa stagione ed è molto probabile che realizzino un record peggiore rispetto a quello del 2008/09. Chi ha buona memoria ricorderà che il team di New York aveva un discreto record fino a quando fu organizzato una trade al fine di cedere Randolph. Non voglio di certo criticare la dirigenza per quella legittima scelta, ma dietro quella cessione si nascondeva l'evidente intento di alleggerire il salary cap per poter ambire ad almeno uno dei free agent che si libereranno la prossima estate, e si accettava chiaramente di rinunciare ad ogni ambizione di breve termine. Tutte le operazioni che i Knicks hanno svolto sul mercato sono finalizzate ad allestire un team competitivo nel 2010, peccato che però ci sia in mezzo una stagione da giocare, possibilmente in modo dignitoso. In mezzo a questo cantiere dove molti giocatori hanno già la valigia in mano, Gallinari prova a dare un senso alla sua esperienza NBA. L'anno scorso i guai fisici l'hanno limitato, mentre in questa stagione (in pratica lui è un rookie) sta dimostrando le sue qualità.

Le speranze per gli italiani sono riposte nei Toronto Raptors che però hanno perso lo smalto d'inizio stagione e, considerato che la contesa è iniziata da un mese, non c'è da essere felici. I Raptors delle prime uscite erano leggeri in difesa, ma almeno sviluppavano una manovra offensiva corale e fluida. La gara di ieri con Phoenix ha mostrato l'instabilità della pallacanestro proposta da Triano: se l'attacco non gira, la sconfitta è assicurata. I Raptors hanno avuto una percentuale dal campo del 39.1%, contro il 51.2% dei Suns, l'unica bomba di Toronto l'ha messa Bargnani (per i Raptors 1/20 da tre!). Queste statistiche non sono figlie del caso, ma del modo inconcepibile in cui gioca Toronto: pochi passaggi, poco movimento in attacco, Bosh e Turkoglu che catalizzano metà dei palloni e si prendono forzature esagerate, mentre dall'altra parte si vedeva una squadra che correva e faceva girare la palla coinvolgendo (quasi) tutti in attacco. La frustrazione dei Raptors diventava evidente quando Belinelli, perennemente ignorato dai compagni, decideva di fare tutto da solo e andava a prendersi un tiro impossibile da realizzare. Non per difendere Belinelli, che tra l'altro spesso decide di giocare 1 contro 5, ma dietro quel gesto si nascondeva la pessima gestione dei possessi offensivi operata da Toronto. Triano deve lavorare perché se i Raptors smettono di giocare come una squadra e di segnare possono perdere con chiunque.

sabato 28 novembre 2009

I panni sporchi è meglio non averli!

Nei deliri quotidiani che ci regala il premier più rock degli ultimi 50 anni, ci mancava anche l'invettiva contro gli scrittori che raccontano le vicende di mafia. L'accusa formulata da quella mente acuta che governa l'Italia è quella di essere anti italiani perché raccontando i lati oscuri del paese fanno fare una brutta figura a tutta la nazione. L'esternazione del Presidente non mi stupisce perché le sue uscite hanno sempre dimostrato una scarsa lungimiranza e una mediocrità diffusa su tutti i temi, piuttosto potrebbe stupirmi sentire qualcuno che difende tale oscenità. Come è noto anche ai sassi la "stabilità" socio-politica che investe tutti i paesi dell'occidente è dovuta ad un'evoluzione culturale che è stata condivisa dalle masse popolari. Se oggi viviamo in una democrazia è grazie a tutte quelle persone che hanno pensato certi principi (che noi oggi riteniamo basilari e giusti) e li hanno inculcati nella testa di tutte quegli individui "normali" che vivono in contesti dove gli stessi principi erano negati. Le battaglie per la democrazia sono state vinte grazie al coinvolgimento diretto dell'intera popolazione, che ha condiviso certe idee al punto da arrivare a combattere per ottenere diritti e trasformazioni sociali.

Il premier ignora tutte queste riflessioni perché lui vive nel suo mondo fatato con le canzoni di Apicella, le cene a Palazzo Grazioli, le barzellette e gli affari dell'impero Fininvest: qualunque considerazione sull'evoluzione storica dell'individuo nella società esula dalle sue capacità e dai suoi interessi! L'invettiva contro gli scrittori conferma questa disamina. Per B. essere italiani significa essere fanatici: nascondere le debolezze ed esaltare i punti di forza. Ma un discorso così miope esclude qualunque possibilità di cambiamento e di miglioramento. Le trasformazioni sociali sono sempre avvenute quando i problemi sono stati affrontati di petto, quando sono stati nascosti o sminuiti non s'è mai ottenuto un cambiamento vero. La mafia non è un fenomeno che va analizzato punendo i colpevoli, ma ci sono anche alcuni atteggiamenti che certamente non vanno puniti, però devono essere corretti. E mi riferisco all'atteggiamento mentale di chi accetta la mafia. Certo si parla di persone che non entrano nelle organizzazioni mafiose, ma le rispettano e con questo atteggiamento tacito favoriscono il rafforzamento degli organismi criminali. Se non si riesce a cambiare il modo di pensare delle persone resteremo un paese incompiuto, in cui la lotta per la legalità sarà una guerra senza fine combattuta dalle forze dell'ordine.

L'opera degli scrittori che provano a trarre ispirazione dalla realtà per sensibilizzare l'opinione pubblica è di fondamentale importanza. Da un lato colpisce direttamente le persone che accettano questo stato delle cose, mentre dall'altro mostra a tutto il mondo un'istantanea sulla situazione sociale di alcune aree. In un paese dove si usa tanto la parola "fare", questo dovrebbe essere uno stimolo per migliorare e cambiare il modo di pensare. Quando invece si fa finta di fare, allora è più comodo nascondere i problemi e raccontare qualche barzelletta.

giovedì 26 novembre 2009

Più ingiustizia per tutti

Dopo che la Corte Costituzionale ha bocciato il Lodo Alfano, la giustizia è diventata la priorità dell'esecutivo di Berlusconi. La cosa non stupisce più di tanto perché il nostro premier cerca sempre di sfuggire al controllo di qualunque organo di garanzia. Ma nel nuovo dibattito sono riemersi i soliti, fastidiosi, elementi di faziosità. Prendiamo una persona dall'aspetto serio, il Ministro Angelino Alfano. Quando va in tv ci ricorda le multe che l'Italia paga per le lungaggini della giustizia e ci dice che questa proposta ("prescrizione breve") si tradurrebbe in un risparmio economico. Ma se è indubbio il beneficio pecuniario, si può dire altrettanto sotto il punto di vista delle legalità? Forse no, perché il modo più veloce ed immediato per non incorrere nel rischio di sanzioni causate dai tempi giudiziari, è quello di evitare di celebrare qualunque processo. Se non fai processi come farai ad impiegare troppo tempo per portarli a termine?
Poi vi è pure tutto il discorso (patetico) sul numero di cause che verrebbero annullate. Alfano fa una stima statica e ci dice che ad oggi l'1% dei processi viene ucciso, peccato che ad ogni regola del legislatore corrisponda una reazione razionale dei soggetti (cioè noi!) e questa si traduce in una variazione della domanda di giustizia. Ecco perché l'analisi dinamica deve essere utilizzata per stimare gli effetti della "porcheria". Al tempo stesso è ridicolo il discorso sulla produttività dei giudici perché il sistema giudiziario può essere assimilato ad un qualunque servizio. Abbiamo i serventi e coloro che richiedono la prestazione, ma le cause (giudiziarie) presentano una eterogeneità tale da non potere essere considerate un insieme omogeneo. Comunque è evidente che se il sistema non riesce a soddisfare la domanda in tempi ragionevoli ci sono tre cause possibili coesistenti: risorse umane, norme e comportamento dei cittadini.

1) I magistrati fannulloni. E' il cavallo di battaglia dei pidiellini, del resto anche una grande lavoratrice come Alessandra Mussolini è scandalizzata per il fatto che lavorano 4 ore al giorno. Sia ben chiaro che 4 ore al giorno sono una cifra ridicola e il disappunto cresce se pensiamo alla percentuale di magistrati parassiti che ci saranno. Il fatto di avere una quota di scansafatiche è fisiologico, soprattutto in una categoria così numerosa. Però nel discorso sulle 4 ore gli accusatori si dimenticano di spiegare perché i tribunali sono aperti solo la mattina e, intanto che ci sono, potrebbero anche chiarirci le idee in merito ai vuoti d'organico. L'analisi dei berluscones in genere nasce e finisce qui, senza considerare il dimensionamento del sistema "giustizia".

2) Il modo in cui è strutturato il processo. Prima di fare paragoni (arditi) con la Gran Bretagna, la Francia e compagnia, sarebbe meglio analizzare i diversi ordinamenti giuridici per capire se le nazioni sono confrontabili. Mi risulta che siamo il paese che offre più vie d'uscita agli imputati. Le possibilità di tirarla per le lunghe e arrivare all'agognata prescrizione sono pressochè infinite. Questo provoca mancanza d'armonia nel sistema giuridico perché se qualcuno cerca di accorciare i tempi, qualcun altro non ha il minimo interesse a perseguire tale obiettivo. Da notare che in questo modo si tutelano gli imputati colpevoli rispetto a quelli veramente innocenti. E' chiaro che le parti offese sono l'ultima ruota del carro.

3) Andiamo sulle cose raffinate (si fa per dire..), ma nessuno parla della domanda di giustizia. Alfano ha detto che ci sono tre milioni di cause penali, e siamo in un paese di 60 mln di abitanti, ci rendiamo conto della gravità del dato? Ricapitoliamo perché emerge un bel quadretto. Da un lato vi è un sistema giudiziario sotto dimensionato, in parte svogliato, mentre dall'altra parte abbiamo un ordinamento che garantisce enormi vie di fuga per chi non vuole farsi processare. E' palese che sommando le due osservazioni si determina il comportamento razionale dei cittadini, i quali sono incentivati ad intraprendere quei comportamenti illegali che garantiscono dei benefici tali da giustificare il rischio (ridotto) di pagare per l'azione vietata.

Le proposte del PdL partono da una concezione deviata della giustizia, la si ritene uno strumento fastidioso che limita l'azione individuale. Questa idea è egocentrica e tipica di chi fa gli affari "borderline", ma è lontana dalla destra legalitaria che si basava sul concetto di libertà del singolo dopo il rispetto delle regole comuni (uguali per tutti).

mercoledì 18 novembre 2009

La guerra sul nulla

Ennesimo capitolo della polemica (noiosa) tra "Repubblica" e "Corriere della Sera". Oggi Pierluigi Battista, noto oppositore del Governo, ha espresso il suo punto di vista sulla vicenda Gheddafi rifilando una stoccatina al quotidiano di Ezio Mauro. L'osservazione è piuttosto banale, ma parte dalla constatazione che Gheddafi, cioè quel leader libico che accolse come eroi i terroristi di Lockerbie, ha organizzato un convegno la cui iscrizione era aperta a 200 giovani donne. L'unico piccolo problema era che per partecipare a quella manifestazione, svoltasi a Roma a margine del vertice FAO, bisognava possedere dei requisiti estetici e non culturali o professionali. Qualcuno demonizza le ragazze che hanno partecipato, ma per onor di cronaca va pure ricordato che sono state pagate 50 euro per ascoltare l'illuminante discorso di Gheddafi, e considerato che non si prostituivano mi sembra ingeneroso biasimare una 18enne che decide di guadagnarsi qualcosina in quel modo.

Comunque il buon Battista vede un grande scandalo: "Repubblica" lancia le petizioni contro il premier (mai nominato nell'articolo) e non fa altrettanto con Gheddafi. Sacrilegio!

Mi sembra un ragionamento da bambini dell'asilo, la coerenza si mostra nei giudizi e applicando lo stesso metro a tutte le situazioni. Battista vuole trasformare questa forma di coerenza in qualcosa che è impossibile da osservare. Se la stessa azione la compiono uomini diversi è del tutto normale che le reazioni siano diverse nella forma, ma ciò che conta è che vi sia una integrità nei contenuti. Non è scandaloso che "Repubblica" lancia la petizione contro Mr B. a difesa della dignità delle donne, e non fa altrettanto contro Gheddafi, del resto siamo in Italia mica in Libia. Non si può scambiare la coerenza umana con l'automatismo, è un eccesso di zelo che se fosse portato all'estremo dimostrerebbe come nessuno sia coerente.

Sono veramente deluso da un "Corriere" che pubblica questi stralci di guerre editoriali e si dimentica di dare spazio alle riflessioni di editorialisti più validi.

martedì 17 novembre 2009

Si dice il peccato, ma non il peccatore

Dopo il successo commerciale di "Gomorra", Roberto Saviano è diventato un personaggio chic. Non voglio dire che questa sia una sua colpa, anzi, ma è innegabile che dapprima è stato esaltato da chi aveva effettivamente letto il libro e poi è diventato un'icona per il passaparola e grazie al successo del film omonimo. La politica italiana, seguita da un certo giornalismo accondiscendente, ha annusato l'aria che tirava e tutti hanno fatto a gara per associare la propria immagine a quella del fortunato scrittore. Mentre qualche professionista del populismo provava a guadagnare qualche voto, lo scrittore campano rischiava la vita, difatti dal 13 ottobre del 2006 vive sotto scorta.

C'era già una bella discrepanza tra chi ci metteva la faccia e chi provava ad avere un tornaconto personale, ma l'effetto Saviano era ineusaribile. Tutti ad esaltarlo e tutti ad iscriversi al gruppo di facebook "giù le mani da Saviano" (o qualcosa di simile). Ma non appena lo scrittore ha iniziato a fare i nomi dei politici collusi con la camorra, ecco che i professionisti del cadreghino hanno iniziato a prendere le distanze. Alcuni giornali hanno iniziato il solito, collaudatissimo, giochetto dello sputtanamento della persona per denigrarla completamente. Del resto vanno benissimo gli annunci e i proclami contro l'illegalità, ma non appena ci si accorge che qualche personaggio pubblico potrebbe essere supportato dalla criminalità, ecco che tutti i cuor di leone fuggono dalla sacra battaglia per la legalità. Questo è lo specchio di un paese dove abbiamo una classe politica che fa finta di cambiare le cose. Si parla di lotta all'evasione e poi scopri che nessuno si opera per garantire la tracciabilità dei pagamenti (e le tecnologie ci sono!), si parla di lotta alla mafia e Don Luigi Ciotti protesta perché attraverso la vendita dei beni sequestrati si rischia di rimetterli nelle mani di chi si vuole combattere. E purtroppo questo è un problema che non dipende dalla maggioranza democraticamente eletta.

Un paese dove bastano i propositi e un bel discorsetto è più che sufficiente per sentirci a posto con la nostra coscienza, e per pensare di aver contribuito a cambiare le cose. Un paese dove si premia chi eccelle nella mediocrità e dove chi prova a dare seguito alle parole coi fatti, viene bollato come "uno scrittore politicizzato".

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lunedì 16 novembre 2009

Il disegno di legge della discordia

Per giustificare lo scempio della proposta sulla prescrizione, Maurizio Gasparri ha tirato fuori la proposta dei DS di qualche anno fa. Non condivido lo spirito di entrambi i disegni di legge: snellire la giustizia accorciando la prescrizione è un ragionamento bizzarro. Va detto che le due proposte hanno alcuni punti in comune, ma presentano delle rilevanti differenze, soprattutto per quel che riguarda la "sospensione per la prescrizione del procedimento" e quindi per il calcolo dei "tempi di prescrizione".

Pubblico il link del documento proposto dalla premiata ditta Finocchiaro - Casson
Preme osservare la differenza tra l'art.4 proposto dagli ex diessini e la proposta di Ghedini. Di certo un dato rilevante, che solo un onesto esperto del settore può chiarire, è l'art.6 del disegno di legge del centro sinistra e l'effetto delle sospensioni previste dal 346 ter. Tradotto in soldoni, i due anni concessi per ogni grado di giudizio (anche se al primo non sono proprio due) sono sufficienti per avere una giustizia equa, se sono abbinati alle sospensioni previste? Che incidenza hanno queste sospensioni? Almeno capiremo se questa proposta è realmente simile a quella del PdL, e ciascun cittadino avrà il diritto di comprendere se è più ipocrita chi scaglia contro un muro un facs simile del suo disegno di legge, o chi si azzarda a fare paragoni strampalati. Uno dei due, tra Gasparri e la Finocchiaro, mente, resta da capire chi.

domenica 15 novembre 2009

Il vassallo dell'anno 2009

Maurizio Lupi ce l'aveva messa tutta e sembrava ormai avviato ad una facile vittoria, ma un carneade dell'ultima ora gli sta rovinando i piani. Giorgio Stracquadanio (chi?) sta organizzando il "sì berlusconi day", manifestazione di risposta al "no berlusconi day", e penso che riuscirà a ottenere l'ambito riconoscimento di vassallo dell'anno. Suvvia si scherza, dai.

Mi preme sottolineare che le due manifestazioni si differenziano per una piccola parolina, il che riassume lo stato comatoso in cui versa la politica italiana. Berlusconi è un'icona, non è uno statista come sostiene qualche menestrello, e spacca l'opinione pubblica. La sua crisi ha acuito la percezione di vivere in un paese berluscocentrico dove ogni tornata elettorale rappresenta un referendum sulla popolarità del soggetto. Questo difetto accumuna tanti italiani che amano, e votano, o che odiano a prescindere. Ma il fatto ancor più grave è che i fanboy del premier, e le loro nemesi, hanno la pratesa di manicheizzare tutto l'universo. Qualunque cosa scrivi o dici dimostri la tua simpatia e vieni etichettato come berluscones o anti. Una terza, o anche quarta, quinta via è esclusa a priori. L'idea è quella di vivere in un mondo binario, black or white, ma tale semplificazione è solo il desiderio che possono avere persone limitate (nella testa) e incapaci di leggere la realtà nelle sue sfumature.

Tornando al manifesto diffuso da Stracquadanio (chi?) bisogna estrapolare alcune parti per capire l'inutilità di questa politica.

1."..Silvio Berlusconi è l'uomo che ha impedito nel 1994, attraverso libere elezioni, la conquista del potere da parte del Partito Comunista Italiano, che dopo la caduta del Muro di Berlino aveva solo cambiato nome."

Si potrebbe anche dire che è l'unico merito di un premier che ha governato otto, dicasi otto, anni. Un po' pochino, no?

2."..Silvio Berlusconi è oggetto della più impressionante aggressione ad personam della storia contemporanea da parte della magistratura politicizzata. La stessa che aveva spianato la strada ai comunisti eliminando i partiti democratici e occidentali attraverso la galera, la distruzione morale, la violenza giudiziaria, con gli stessi metodi utilizzati nelle dittature comuniste contro i dissidenti."

Proprio cattivi questi magistrati! Hanno messo in galera chi pagava le tangenti, pensa un po' te che razza di sovversivi.

3."..Silvio Berlusconi è l'unico imprenditore ad aver creato da zero una delle poche grandi imprese private italiane, senza mai ricevere un centesimo dallo Stato."

Insomma, mica tanto. La multa di Rete4 la paghiamo noi e gli utili li intasca lui, poi c'è la famosa storia del decreto salva - Mediaset di Craxi, ma facciamo finta di nulla. Così come si può stendere un velo pietoso sui benefici indiretti dovuti alla Legge Gasparri.

4."..Silvio Berlusconi è l'uomo che ha sempre agito rispettando la Costituzione della Repubblica su cui ha giurato; e che si è sempre sottoposto alla più importante prova che esista in democrazia: il voto popolare."

Ecco, bravo visto che ha giurato potrebbe anche rispettarla in toto. Potrebbe far suo il principio che siamo tutti uguali, anche quella è una prova di rispetto della democrazia.

5."..Silvio Berlusconi rappresenta l'argine contro i nemici della libertà e della sovranità del popolo, contro chi, ancora una volta, tenta di sovvertire con la violenza e l'uso politico della giustizia il risultato di libere elezioni e oggi può contare dell'aiuto di chi non ha compreso – per malafede o cecità – che non è in gioco il destino di un uomo, ma il presente e il futuro della libertà."

Non preoccuparti per le mie facoltà mentali, ho capito benissimo quale destino è in gioco.

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La fine del PD e il caos ordinato di Fini

Quando Walter Veltroni concepì il Partito Democratico aveva in testa un progetto ambizioso e apprezzabile. All'epoca c'erano i Democratici di Sinistra e la Margherita, due formazioni politiche che avevano sempre appoggiato lealmente Romano Prodi, ma questi due partiti si rivolgevano ad una piccola parte della popolazione. L'idea di Veltroni era invece quella di costruire un partito capace di parlare più lingue, capace di raccogliere i bisogni di alcune fasce della popolazione ignorate dai DS (come ad esempio i commercianti, artigiani, professionisti e imprenditori), per dare vita ad un soggetto politico desideroso di esprimere la sua naturale vocazione maggioritaria. L'esperimento è mestamente naufragato perché Veltroni è riuscito solo a costruire un partito eterogeneo nelle persone, ma vuoto nei contenuti. Sarà pur vero che ha messo sotto la stessa capanna Bersani e Callearo, la Binetti e Marino, l'operaio della Thyssen e Colaninno, ma non c'è stata alcuna evoluzione culturale.

La storia di questi mesi conferma quanto detto. Alle primarie abbiamo visto tre candidati (preparati) che si contendevano la poltrona, ma la ripartizione del consenso interno era figlia delle divisione storiche del centro sinistra. Bersani rappresentava l'area DS, Franceschini l'area ex democristiana e Marino l'area laicista. Può essere un quadro grossolano, ma è evidente che la discussione interna è rimasta ancorata agli schemi storici, alla divisione in ex diessini e ex della margherita. L'amalgama culturale necessaria per far fare un salto di qualità al partito era, ed è, completamente assente. In aggiunta a ciò va pure ricordato che chi si è autoescluso dalla partita per la segreteria (Rutelli, Lanzillotta, Callearo & co) ha levato le tende per fondare con Tabacci l'Alleanza per l'Italia. Questo è un'ulteriore dimostrazione del fallimento dell'esperimento democratico e supporta i sospetti di chi ha visto nel PD un contenitore vuoto e lacerato.

Mentre Sparta si lecca le ferite, Atene non ride. Il PdL vive una situazione grottesca perché ha una maggioranza enorme, ma per la prima volta si incontrano grosse difficoltà per votare l'ennesima legge ad personam. In genere lo schieramento di centro destra era unito e coeso (un po' una bocciofila..) e approvava qualunque porcheria. Oggi le cose sono cambiate, e questo rappresenta un bel colpo per la leadership del premier, il quale si vede costretto a mediare coi suoi stessi alleati per far approvare provvidimenti che in genere venivano votati ad occhi chiusi.

Fini è andato dalla Annunziata a dire che si può approvare un Lodo Alfano costituzionale, ma è il primo a sapere che l'iter per approvare una legge costituzionale è troppo lungo per le esigenze del premier (i processi ripartono tra poco) e, soprattutto, dimentica che la bocciatura del Lodo Alfano poggiava sulla violazione di un articolo fondante della nostra Costituzione. Si continua a discutere su come sia possibile salvare il premier e salvare la faccia davanti agli italiani, ma il tempo stringe e qualcuno si sta innervosendo.

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sabato 14 novembre 2009

I Toronto Raptors alla prova del nove

La franchigia canadese sembra un'altra squadra rispetto all'anno scorso e bisogna dare i giusti meriti a Colangelo per le scelte operate. L'anno scorso la rivoluzione iniziò sostituendo l'allenatore, partì Sam Mitchell e arrivò Jay Triano. Quel cambio non determinò alcun inversione di rotta immediata, ma alcuni giocatori, come ad esempio Andrea Bargnani, hanno beneficiato da quella sostituzione. Il Mago era preso di mira dal suo vecchio allenatore e, anche a causa di alcuni suoi limiti caratteriali, faticava a dare continuità alle sue prestazioni. Oggi invece viaggia attorno ai 20 punti di media e riesce ad essere più incisivo in difesa, anche se quello resta il suo tallone d'achille.
La rinascita dei Raptors è dipesa anche da alcune operazioni oculate di mercato. Quest'anno è arrivata una stella di prim'ordine come Hedo Turkoglu, che però non è ancora a posto fisicamente. Poi il roster è stato allungato e rafforzato acquistando DeRozan, Jack, Nesterovic, Amir Johnson, Evans e il nostro Marco Belinelli. Il saldo tra quelli che sono partiti e i nuovi arrivi pende dalla parte dei secondi, e il campo sembra confermare questa sensazione (vedi ad esempio la prova del Beli contro i Clippers).
Un record finale positivo dovrebbe garantire un posto nei playoff e  i Raptors sembrano poter rispettare questo requisito. Per il momento la franchigia canadese viaggia con 5 vinte e 4 perse, ma ha incontrato squadre di livello. Le vittorie esterne con Hornets (in crisi nera) e Clippers (malata cronica) sono ordinaria amministrazione per una squadra che punta ai playoff. Le sconfitte con Dallas e San Antonio sono accettabili, anche se hanno messo in evidenza una difesa troppo vulnerabile, mentre non può essere giustificata la figuraccia di Memphis. In casa la squadra ha vinto contro tre squadre che parteciparono allo scorso finale di stagione - Cleveland, Detroit e Chicago - mentre ha ceduto ai Magic, nonostante fossero decimati tra sospensioni e infortuni.
Adesso le tre trasferte consecutive a Phoenix, Denver e Salt Lake City (Utah), chiariranno il ruolo dei canadesi. Vincere una di queste tre gare sarebbe un bel segnale per affrontare con fiducia il resto della stagione.

Se la fedeltà viene scambiata per un merito

Tutto il caos politico, messo in piedi da "Il Giornale" e promosso dai media berlusconiani per attaccare i ribelli "finiani", nasce da un'incongruenza di fondo. La legge elettorale, concepita da quella mente illuminata di Calderoli e ribattezzata da lui stesso "una porcata", conferisce un potere enorme alle segreterie di partito. E' ovvio che poi tra una formazione politica e l'altra vi sono notevoli differenze, il PD è il regno dell'anarchia, mentre PdL e Lega tendono al modello della caserma. Se la formazione di centro sinistra è lacerata da infinite lotte e scissioni interne in correnti, rigagnoli e individualisti, nel centro destra questo problema non si pone: la gerarchia è chiara per (quasi) tutti in ogni momento.

La porcata di Calderoli non è un incidente accidentale, ma è stata fatta per snaturare il rapporto storico che esisteva tra Governo, Parlamento e cittadini, al fine di favorire i signori Bossi e Berlusconi, i quali possono controllare il potere legislativo. Quando questa legge venne introdotta i fedeli difensori sostenevano che avrebbe finalmente risolto il problema delle disparità economiche tra i candidati, cioè che chi aveva più soldi riusciva a farsi più pubblicità e otteneva più preferenze, peccato che quel problema sia stato sostituito con l'invasione dei vassalli. Non che prima tutti i parlamentari fossero di assoluta indipendenza, ma oggi abbiamo un dilagare di quel fenomeno. Con la legge attuale alle elezioni politiche vi è già un ordine predefinito tra i candidati parlamentari e la spartizione delle poltrone è scelta secondo logiche interne ai partiti. Il Parlamento è popolato da numerosi personaggi che hanno il solo merito di assicurare fedeltà assoluta a chi le ha nominate, ma spesso risultano inadeguate per ricoprire ruoli di responsabilità.

Questa logica di fondo prevale nelle considerazioni de "Il Giornale", e la critica mossa ai finiani è proprio quella di non essere compatti a difesa del Cavaliere. L'esercito dei vassalli popola ormai da anni le aule parlamentari, i giornali e pure i talk show televisivi. In genere li riconosci perché l'unica loro idea è la difesa passionale del premier, e così le loro opinioni (oltre a coincidere con quelle del capo) si rimodellano nel tempo per giustificarne ogni comportamento ed esaltarne la magnificenza. Per fortuna non sono tutti così, ma è arrivata l'ora di dimostrarlo coi fatti.

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venerdì 13 novembre 2009

L'economia riparte e l'Italia è nella media

Sono usciti i dati sul PIL del terzo trimestre 2009. L'andamento congiunturale, cioè rispetto al secondo trimestre 2009, è positivo e il dato del +0.6% indica che è in atto una lieve ripresa economica. Purtroppo l'andamento tendenziale resta abbondantamente negativo perché rispetto al terzo trimestre 2009 si registra un -4.6%. Il confronto con gli altri paesi lascia vedere che l'Italia è in linea con le potenze occidentali: gli Usa hanno un dato congiunturale del +0.9% e tendenziale del -2.3%, la Gran Bretagna segna -0.4% e -5.4%, mentre la Francia registra un +0.3% e -2.9%.

Come è noto l'incremento percentuale più alto indica una ripresa economica significativa, ma ciò è influenzato non solo da quanto si sta crescendo, ma anche da quanto si è caduti in basso nel passato. L'economia americana potrebbe recuperare tanto proprio in funzione del fatto che ha subito una recessione più acuta rispetto agli altri paesi. Così come non deve essere dimenticata l'importanza del timing. Ciascun paese è entrato nella crisi in momenti diversi. L'Italia potrebbe veder danneggiato il suo dato tendenziale perché, a differenza di USA e GB, è entrata in recessione solo dal quarto trimestre 2007, ma con una successiva ripresa nel primo trimestre 2008. Insomma il bel paese sembra reggere il confronto con le altre nazioni e solo il futuro chiarirà se abbiamo una ripresa sostanziale o un colpo di coda dovuto all'effetto una tantum degli incentivi. Le politiche di Obama, e anche del Governo Berlusconi in Italia, stanno agevolando il mercato dell'auto. Sono sforzi apprezzabili perché aiutano grandi imprese, ma al fine di avere una vera ripresa bisognerà capire se questi gruppi industriali avranno la capacità di camminare con le loro gambe, o se dovranno diminuire investimenti e produzione.

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Un sorriso alla Belpietro

Chi guarda i talk show televisivi ormai si sarà abituato al sorriso del direttore di Libero. In genere compare sul suo viso quando si compiace per quello che ha detto, quando pensa di aver calato l'asso pigliatutto e di aver così segnato un gol pesante su un campo ostico. Il sorrisetto di Belpietro segue tutti i suoi interventi ad Annozero (tranne quello storico in cui disse che "risponde solo alla sua coscienza"), ma spesso è più un'autocelebrazione per una giocata effimera, piuttosto che la gioia esagerata del Pippo Inzaghi che segna di rapina.

Ieri sera il direttore di Libero conferma l'ipotesi che lo invitano per fare la sua solita figura. Bisogna dargli atto che si presenta preparato ed espone una bella trafila di dati, peccato che spesso siano inutili per l'ipotesi sottostante. Anche ieri poteva, e doveva, partire da quei dati per elaborarne altri e costruire un confronto solido tra le diverse nazioni. Parla Davigo ed espone un'analisi chiara in cui evidenzia l'anomalia italiana: troppe cause in corso. Non si è detto, ma è ovvio, che una coda troppo lunga può dipendere da due motivi: sistema sotto dimensionato, sistema di fannulloni. Ma attenzione, una causa non elimina l'altra, le due possono pure coesistere. S'è detto che la dimensione della coda è di 3.000.000 di processi, ovvero 10 volte tanto rispetto alla Francia. Premesso che sarebbe interessante conoscere quante nuove cause vengono iniziate ogni anno, poi sarebbe bello incrociare quell'informazione coi dati di Belpietro. Lui è sempre preparato, ma non riesce mai a produrre un'analisi decente. I termini assoluti che ha portato sono del tutto insignificanti perché se non vengono incrociati con i dati della domanda, e se non viene fatto un confronto tra diversi paesi, non dicono nulla. Ha detto che l'Italia spende tot e la Francia spende meno, ma si è anche detto che la Francia destina meno risorse umane e deve far fronte ad una domanda dieci volte inferiore (dato comunque da verificare). Bastava fare un misero rapporto e confrontare i risultati, ma Belpietro aveva quel suo simpatico sorriso di chi pensava già ad altro, tipico di chi si ferma ad analizzare la superficie delle cose.

P.S. magari poi l'elaborazione dei dati gli dava pure ragione, ma ora non disturbatelo che deve sorridere.

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mercoledì 11 novembre 2009

Aldo Grasso critica Mai Dire Grande Fratello



Nel fare comune colpisce una cosa. Quando capita che la discussione si sposta sul GF, poi arriva la fatidica domanda "ma lo guardi?" e puntuale ecco la risposta di rito "ma va..io..no, l'ho visto sul Mai Dire". Che dire, ormai è il programma di avvicinamento al GF per i finti snob. Ma la sostanza resta la stessa, si tratta anche qui di trash.

L'importanza delle emergenze

Questo tg1 non finisce di stupire i telespettatori. La deviazione giornalistica introdotta da Riotta e perfezionata da Minzolini continua a grande velocità, e a pensarci bene è una riproduzione (meno trash) dell'orribile Studio Aperto inventato da Mario Giordano. Su Italia 1 ci si può consolare con servizi adeguati al target dei telespettatori da reality, così sono stati trasmessi pezzi in cui, per parlare di un'insignificante velina o pseudo attrice, si mostra qualche foto nella quale è mezza nuda. Per la serie siamo tutti guardoni. Il tg1 non può replicare in toto il modello "Studio Aperto" (perché cambia il target), ma sta già riproducendo alcuni difetti legati alla scelta dei temi trattati, alle modalità con cui vengono esplorati e all'interazione tra cronaca e politica.
Chiunque si sarà accorto che Minzolini ha una sorta di passione per le "emergenze" e la scusa di sostenere che il pubblico vuole questo tipo d'informazioni sembra abbastanza patetica e sminuisce la capacità del giornalismo di influenzare le preferenze delle persone. Per una settimana c'è stato il tormentone dell'AH1N1, messo in apertura con servizi deliranti e contraddittori. Tra questi non possono mancare un macabro bollettino di guerra, in cui le persone diventano un numero per mostrare la pericolosità della malattia o della catastrofe, e fantastici servizi in cui si domanda alla gente cosa ne pensa dell'allarmismo. Pure stile "Secondo Voi", intervistane tanti e monta solo le cose che rafforzano il messaggio che vuoi inculcare nella testa delle persone. Queste due tipologie di servizi creano lo stato di ansietà e di emergenza. Certo, poi arriva l'esperto a rassicurare tutti, ma allora perché dare la parola anche alla signora che esce dalla metropolitana? Qual'è il contributo che offre l'opinione di un individuo che non ragione su base scientifica, ma esprime il pensiero (modesto) popolare? Il contributo è solo quello di alimentare ulteriormente l'allarme e il caos, al fine ci creare un cortocircuito in cui le emergenze vengono gonfiate da chi è indottrinato a ritenerle tali.
La scelta di parlare con toni allarmistici non è fine stessa, ma contraddistingue un'impostazione volta a sminuire la profondità della riflessione politica. L'immunità, cioè un concetto estremamente complesso, viene così banalizzata nel significato e negli effetti sociali. Per il telespettatore medio del tg1 le emergenze sono e devono essere altre, la nota politica può così diventare superficiale e orientata senza che nessuno ci faccia caso. Prendete anche ieri sera, prima si parla del faccia a faccia Fini - Berlusconi. Poi c'è stato un servizio sulla reazione dell'opposizione, chiaramente chiuso con la pontificazione del pidiellino di turno, e poi un altro pezzo d'antologia sempre sulle opinioni della maggioranza. Ma l'apertura dell'intero tg era un pezzo di cronaca (effetto allarmismo, bollettino di guerra, immagini del dramma e chiamate delle persone disperate) in cui non vi erano tracce significative di denuncia. E' come se si preferisse far viver al telespettatore il dramma umano della tragedia, si vive l'esperienza sentimentale, mentre si ignora la riflessione razionale per evitare altri casi simili.
Non solo è un'informazione orientata, ma pure falsata nei contenuti. L'oggetto del contendere viene cambiato a piacimento, e dall'impunità di un indagato, diventa la definizione di un provvedimento tale da garantire una "giusta durata dei processi". Le domande sono poste partendo da questo punto di vista e nessuno poi si chiede se tagliare i tempi di prescrizione produca l'effetto di aumentare l'efficacia e l'efficienza del sistema giudiziario. Un parametro di tempo, che di fatto bloccherebbe molte cause in corso, viene fatto passare per la panacea dell'inefficienza. La proposta di Fini, cioè l'ovvia considerazione che se tagli i tempi devi dare la possibilità al sistema giudiziario di poterli rispettare, diventa un atto di ribellione, mentre è invece la logica risposta ai tagli a pioggia (Tremonti docet).
Concetto assai dannoso in materia economica e, ahinoi, giudiziaria. L'indulto 2 ci aspetta, ma non preoccupatevi accelererà la giustizia (perché elimina i processi lunghi). Se vi capiterà di fare un reato (e siete incensurati) fate una cosa in grande, possibilmente in compagnia, almeno i tempi tecnici si dilatano. Valutate di non sforare la pena limite e prendetevi un buon avvocato. L'impunità è assicurata.

N.B. chiaramente il discorso sulle emergenze non vuole sminuirne l'importanza UMANA, ma criticare il modo in cui vengono raccontate e inserite nel telegiornale.

Minzolini continua a pontificare

martedì 10 novembre 2009

Minzolini continua a pontificare

Con la sua cantilena da alunno che ha appena imparato a memoria la poesia della recita, Augusto Minzolini è tornato nelle case degli italiani per parlare del più grave problema dell'Italia contemporanea: la giustizia. In un condensato di due minuti scarsi il direttore del tg1 ha provato a riassumere il significato dell'immunità parlamentare, ha attaccato il magistrato Ingroia (che indaga sulla mafia) e ha mostrato la sua posizione sul Lodo Alfano. Gli si può concedere l'attenuante che in due minuti è difficile essere esaustivi, ma essendo lui stesso il direttore della testata poteva preparare un discorso più convincente o limitare l'ampiezza dei temi trattati. La Costituzione Italiana è stata sì mossa dal principio di garantire la separazione dei poteri, ma non si può dimenticare che è stata scritta dopo il ventennio fascista e il principio tanto caro a Montesquieu era stato calpestato dai gerarchi, non dalle toghe rosse. Poi è abbastanza fuori luogo parlare di immunità la sera stessa che Cosentino viene coinvolto in una triste vicenda camorristica.

Nell'Italia della stampa libera, in cui il direttore del tg1 schernisce la manifestazione promossa da varie associazioni, passa quasi in secondo piano che tutto questo vociare sulla giustizia è arrivato dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Il legame causa effetto tra le due cose è evidente, del resto se facciamo un intersezione tra l'insieme delle persone che beneficiavano del Lodo Alfano, cioè le 4 più alte cariche dello Stato, e quello dei beneficiari della nuova proposta, vediamo che nasce un insieme con dentro una sola persona (indovina chi?), il perseguitato. Inseguito o fuggitivo, a seconda dei punti di vista, non si può non partire da questa prospettiva, cioè che l'immunità parlamentare entra nel dibattito politico a seguito di una decisione avversa della Corte Costituzionale, la quale, decidendo sul Lodo Alfano, non ha fatto altro che il suo mestiere (qualunque decisione prendesse).

L'immunità è una questione seria e delicata perché rappresenta un privilegio concesso ad alcune persone che operano (in teoria) per la collettività. Detta in questi termini sembra una cosa sacrosanta, ma non si può dimenticare che, come tutti i privilegi, crea una disparità tra le persone (onorevoli vs comune mortale) e quindi deve essere maneggiata con cura. Si parte da un oggetto che vede coinvolti due attori: la politica e la giustizia. Le ingerenze della giustizia vanno sicuramente evitate, ma eliminarle donando uno scudo alla politica significa partire dal presupposto che questa politica non ha nulla da nascondere e i processi sono frutto della persecuzione giudiziaria. Chi porta avanti questa tesi dimentica che, proprio per garantire un giusto giudizio, il nostro ordinamento prevede tre livelli di giudizio. Anche Minzolini quando parla di Governi ribaltati dalle procure dimentica di dire che quei processi non erano delle bolle di sapone, così come sembra discutibile la scelta di portare come esempio d'immunità i casi di D'Alema e Di Pietro, quando neanche una settimana fa il Parlamento ha bloccato un procedimento contro Matteoli.

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lunedì 9 novembre 2009

Le domande di Micromega agli onorevoli dell'IDV

Sul sito di Micromega sono uscite 10 domande aperte a tutti i deputati e gli europarlamentari dell'IDV. Le domande sono state scritte da Salvatore Borsellino e da Andrea Scanzi.
Riporto le 5 domande di Andrea Scanzi, mentre lascio un link per chi volesse leggere l'intero articolo.

1) L’Italia dei Valori è diventato il privilegiato approdo di molti delusi da sinistra, più per demeriti altrui che per meriti propri. E’ un partito che usufruisce di voti fluttuanti, radicalizzati ma non radicati. Un voto “in assenza di”: non un’adesione pienamente convinta. Quando scatterà – se scatterà – l’appartenenza?
2) L’immagine attuale dell’Italia dei Valori è quella di un partito in cui le personalità maggiori coincidono con Di Pietro e De Magistris: due ex magistrati. E’ normale o piuttosto il segnale che il “giustizialismo” può diventare un assillo, quasi una devianza patologica?
3) La questione morale è centrale nell’Italia dei Valori. L’inchiesta di MicroMega sembra però avere infastidito la nomenklatura. Per chi fa politica come l’Idv, sempre sull’orlo del populismo, è costante il rischio che a furia di fare i Robespierre prima o poi spunti un Saint-Just a rubarti scena (e testa). Non è per questo particolarmente sbagliato minimizzare i problemi interni (per quanto inferiori alla media)? Non avvertite l’esigenza di dimostrare che le Sonia Alfano e i Gianni Vattimo non erano specchietti per le allodole?
4) Il momento più basso dell’Idv è stato il voto contrario alla Commissione d’Inchiesta sulle mattanze a Bolzaneto e Scuola Diaz, quando il vostro partito era al governo. E’ di queste settimane il calvario di Stefano Cucchi. L’impostazione “poliziottesca” dei quadri dirigenziali dell’Idv (emblematico il caso Giovanni Palladini) può portare a una sottovalutazione di vicende analoghe? La vostra attenzione alla legalità contempla anche il garantismo e il coraggio di non reputare intoccabili magistrati e forze dell’ordine?
5) L’Italia dei Valori prospera per la risibile debolezza del Pd e perché il bipolarismo italiano è drammaticamente atipico: non centrosinistra e centrodestra, ma berlusconiani e antiberlusconiani. Questa radicalizzazione avvantaggia un partito di lotta come l’Idv: di lotta, ma non di governo. Cosa farà l’Italia dei Valori quando Berlusconi non ci sarà più? Non è un partito che, paradossalmente, per prosperare ha bisogno anzitutto del Nemico?

domenica 8 novembre 2009

Storace andò alla guerra

Francesco Storace (04 luglio 2007): "An non è più la mia casa politica e non rappresenta più la destra. Fini mostra superficialità e superbia, con lui siamo passati da Salò ai salotti. Ha fatto l'inno del politeismo, proposto il voto agli immigrati, fatto discutere di Corano nelle scuole, ha detto che il fascismo è il male assoluto." Così si consumò lo strappo tra Fini e l'ex Ministro della Salute. All'epoca Fini disse che le motivazioni politiche erano inconsistenti, mentre Storace, tra la gioia di tutti quei forzisti desiderosi di ridimensionare AN, proseguì per la sua strada.

Il 10 novembre 2007 Daniela Santanchè confluisce ne "La Destra". Due giorni dopo dichiara: "non siamo un partito moderato, siamo un partito incazzato, con la bava alla bocca, che non darà tregua a chi tradisce" e nel frattempo critica Fini, reo di non applicare la meritocrazia, e La Russa, l'amico che l'ha tradita. Il 10 febbraio 2008 Daniela Santanchè viene nominata candidata premier, "La Destra" correrà da sola senza fare alleanze con il PDL. Storace: "Siamo rimasti impressionati dall'ovazione di ben cinque minuti tributata alla proposta di candidare la nostra portavoce Santanchè a Palazzo Chigi. Più in generale rimarco a tutti che se è nata La Destra è perché c'è sangue nella vene e non accettiamo giochetti".

Inizia la campagna elettorale, e Daniela Santanchè attacca i due leader del PdL con queste parole: "Fini è il peggiore dei traditori. E' solo un funzionario di partito", e poi: "Berlusconi è ossessionato da me. Tanto non gliela do...". Nel frattempo Storace informa tutti che la canzone che più rappresenta il nuovo soggetto politico è "Non mollare" di Gigi D'Alessio (uh!).

Arrivano le elezioni che vanno maluccio (2,428% alla Camera), ma ci sono validi motivi per festeggiare: "A casa di una donna di destra, questa è una serata in cui si festeggia. È la sera in cui scompaiono i comunisti. E si fa giustizia dei venti mesi precedenti" - Daniela Santanchè, e ancora: "Abbiamo conquistato un milione di voti in quattro mesi e mezzo. Sono più di duecentomila al mese. Se tanto mi dà tanto...", poi nega ogni possibilità di accordo con Berlusconi. Il 27 settembre 2008 cambia idea e la "pasionaria" de La Destra decide di ricucire lo strappo col PdL, Storace non le dà credito e resta nel movimento politico da lui creato.

A novembre anche Storace cambia idea e apre al PdL: "Ho ascoltato con grande rispetto e interesse il rappresentante del Pdl: Quagliariello ha detto che magari un giorno ci ritroveremo nello stesso partito. Vorrei dire a Quagliariello che qua non ce n'è uno che vuole stare nello stesso partito con te. Basta fare l'analisi del sangue ai dirigenti della Destra" e definisce Berlusconi un amico, "ma la politica è un'altra cosa".

L'alleanza costruita in occasione delle europee è alquanto bizzarra (MPA, La Destra e Partito dei Pensionati) e su base nazionale raccoglie un misero 2,22%. Considerato il plebiscito di Lombardo (15%) in Sicilia è una debacle vera e propria. Arriviamo ad oggi, 8 novembre 2009, così parla lo stesso Storace: "A guardare le frequenti liti tra fondatori del Pdl e ministri, per non parlare delle vere e proprie scissioni in Sicilia, perché ce l'avevano con noi, che eravamo solo pochi deputati?" e si parla di "alleanze comuni per battere la sinistra, un patto valido ovunque e non a macchia di leopardo, noi non siamo l'Udc" (infatti l'UDC può essere l'ago della bilancia).

Non è difficile capire a chi ha fatto comodo questo teatrino. Rottura con Fini, AN (senza Storace) entra nel PdL, La Destra corre da sola e non sfonda, la Santanché abbandona la nave e torna a casa, Storace riapre al centro destra. Astinenza da potere o qualcuno (non tutto quel partito) ha fatto un favore che verrà ricompensato?

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Bossi alza il tiro, chi gli dice di no?

Quando Maroni ha alzato la testa per chiedere i finanziamenti necessari per trasformare in fatti le parole "lotta per la sicurezza", si è visto arrivare un rimprovero padronale dal suo capo partito. Umberto Bossi ha altri grilli per la testa e l'imminente banchetto regionale è una buona occasione per guadagnare posizioni strategiche capaci di generare ulteriore consenso. L'uomo simbolo della Lega Nord ha chiesto due piccole regioni come il Veneto e il Piemonte. E' superfluo ricordare come il calo dei consensi del centro destra non è tale da mettere in discussione (ad oggi) un trionfo alle prossime regionali, del resto se si replicasse il voto delle europee avremmo una significativa inversione di tendenza in molte regioni.

Preme sottolineare qualche piccola incoerenza. La Lega ha sempre avuto due cavalli di battaglia: "Roma ladrona" e la vicinanza con le popolazioni locali, o popoli padani. La scelta di mandare a casa un buon Governatore come Galan sarebbe però una nomina esclusivamente politica, figlia di una spartizione scientifica delle cariche dall'alto. La trattativa politica iniziata dopo le europee ha visto una Lega che, conscia di essere sempre più determinante per l'esecutivo, ha alzato il tiro chiedendo la poltrona di una delle due locomotive industriali. A quel punto Formigoni ha risposto picche, così Galan è diventato l'agnello da sacrificare per placare la fame del senatur.

Non so se metteranno Cota o Zaia al posto di Galan, vengono i brividi al sol pensiero ed è bene sperare che l'attuale Governatore del Veneto abbia il coraggio di non accettare alcuna poltrona di ripiego. Sarebbe bello vederlo correre da solo, senza inciuci con l'attuale opposizione (PD & co), per provare a fermare questa intromissione dall'alto nelle questioni locali. Del resto la sua sostituzione sarebbe dovuta all'indebolimento del PdL rispetto alla Lega e la scusa del "ma se hanno il 10% allora gli spetta qualche regione" (tratta dal manuale Cencelli) è buona per negare l'evidente rimescolamento, ma in politica non si fa beneficienza. E se la si fa c'è sempre un valido motivo.
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La solita Juventus

Fabio Cannavaro aveva parlato chiaro:" tra scudetto e Champions non abbiamo preferenze, puntiamo a vincere ovunque". Per una volta una dichiarazione altisonante di personaggi juventini è stata seguita da una prestazione vincente (ma non convincente) in campionato. Il cinque a due di Bergamo è un buon risultato per i tre punti incamerati, ma finchè non verranno corretti alcuni difetti difensivi la squadra avrà sempre un andamento imprevedibile.

Una prima analisi della vittoria deve essere fatta partendo da alcuni presupposti. Dopo 11 giornate la Juventus aveva 7 punti di ritardo dall'Inter e solo 2 punti di vantaggio sul malatrattato Milan di Leonardo. La squadra aveva già perso due gare in campionato contro Palermo e Napoli, come nel 2008, ma si poteva consolare con una classifica soddisfacente in Champions League (anche se i 6 punti col Maccabi erano d'obbligo). Quel che non cambia sono i vizi legati all'impostazione in campo e alla difesa del risultato. Il cambiamento di mentalità è iniziato con la retrocessione in serie B, all'epoca arrivò Deschamps con l'oggetto misterioso Boumsong. Gol a raffica subiti in contropiede, ma si pensò che le colpe fossero tutte da attribuire al modesto centrale francese. Via Bum Bum (che salutò con un gol all'Inter in Coppa Italia), si tornò all'antico rispolverando Legrottaglie e adattando Chiellini come centrale. La coppia ha funzionato, i due hanno meritato la convocazione della nazionale, ma è restata l'incapacità di gestire il risultato e la cronica difficoltà a vincere contro squadre ordinate e impostate per giocare ripartenze veloci. L'anno scorso si è perso in questo modo con Palermo, Napoli, Cagliari e Udinese, tutte gare gettate al vento con questo filo conduttore comune, cioè gol subiti in contropiede, mentre quest'anno il vizietto è tornato a galla nella gara interna col Napoli e pure ieri sera, dove tra l'altro si è vinto grazie ad un attacco ispirato.

I gol di Valdes e Ceravolo sono due belle azioni orobiche, ma nascono da improvvise verticalizzazioni dei centrocampisti che eludono la tattica del fuorigioco bianconera. E' vero che la Juventus subisce due tiri e prende due gol, ma se sei impostato in modo da lasciare l'attaccante solo davanti a Buffon non potrai attenderti che questo. Diamo tempo a Ferrara, ma con Capello certi gol non si prendevano (e si subivano s'incazzava!) e la difesa resta sempre la chiave dietro ai successi in campionato.

sabato 7 novembre 2009

Chi ha paura di fare le riforme è utile alla causa?

Credo che il caso Alitalia rappresenti quello che la politica non dovrebbe essere. Non è questione di aver votato Mortadella o di votare Berlusconi, ma bisognerebbe stare alla larga dai fanatismi iconografici, per concentrarsi solo sul significato delle azioni. Alitalia era una società pubblica perennemente in perdita, presentava un bilancio disastroso sia con i governi di centro sinistra che con quelli di centro destra, ma soprattutto, agli occhi del politico Alitalia era una focina di potenziali elettori. Così, seguendo una logica clientelare che è sopravvissuta alla caduta della Prima Repubblica, non è cambiato il vizietto di rimandare a domani, o meglio ancora agli altri, le scelte dolorose e impopolari. Alitalia aveva evidenti squilibri nel numero di dipendenti e nel costo del lavoro, qualunque confronto con i principali competitor evidenziava questa anomalia italiana che portava ad avere risultati d'esercizio negativi, fino al record del 2007. In quell'anno la perdita per dipendente era di 25.000 euro (!), battuta solo dalla Tirrenia (altra statalizzata) che primeggiava con circa 75.000 euro per dipendente.

Quando una situazione societaria si presenta così disastrata è evidente che certe colpe affondano radici nel passato. Preso atto che una situazione di perdita duratura conduce all'inevitabile fallimento, va anche detto che un conto è arginare un comune canale, un altro è gestire la piena del Po. Ecco, ogni anno che si è rimandata la questione Alitalia, non si è fatto altro che lasciare che si ingigantissero i problemi. Al tempo stesso la medicina era nota, serviva una politica di tagli e di riduzione dell'attività per concentrarsi su quelle "core", al fine di pianificare in un futuro prossimo una successiva espansione. Nessun politico ha avuto il coraggio di fare questa scelta impopolare, ma necessaria per evitare il tracollo, così i cuor di leone hanno pensato di vendere la società. Stupisce leggere che la cessione fosse inevitabile, questo lo può dire un politico desideroso di nascondere la sua mediocrità. La vendita poteva essere evitata, se si affrontavano i problemi quando sono emersi, o nelle fasi di criticità dei terribili anni 2000. Vendere a Colaninno, che tra l'altro ha tagliato personale e voli, non significa altro che passare la pistola ad un'altra persona perché non si ha il coraggio di prendersi la responsabilità delle proprie scelte e azioni.

Mi chiedo solo se è utile avere una politica che per mantenere una buona popolarità è disposta a lasciar fallire le società, mettendo così in crisi i conti pubblici. Del resto nessun cittadino comune percepisce fino in fondo l'enorme handicap dovuto al debito abnorme, mentre ci sarà sempre qualcuno da scontentare per perseguire l'efficienza. E se prevale l'ossessione del sondaggio di popolarità, la scelta è (ahimè) ovvia.

La storia di Alitalia e l'immobilismo della politica

La storia di Alitalia la conoscono anche i sassi, del resto è un fenomeno piuttosto frequente nel panorama italiano. Fino a un anno fa non era nient'altro che una delle tante partecipate dal Ministero del Tesoro, peccato che generasse più dispiaceri che soddisfazioni, bilanci perenemmente in perdita, un indebitamento che si era gonfiato al punto tale da trascinarla sull'orlo del default e prestazioni di efficacia e efficienza lontane dai benchmark di mercato. Il tutto sotto l'occhio vigile di manager statali, quindi nominati con l'avallo della politica, che sembravano più interessati alle loro tasche che a operare quella necessaria ristrutturazione societaria per cui erano pagati

L'ex Ministro del Tesoro (TPS) decise che era giunto il momento di liberare il bilancio dello stato da un asset che, invece di creare valore assorbiva risorse economiche senza restituire alcun beneficio. La proposta del Governo Prodi era quella di vendere la società ad Air France, la quale riscattava anche gli oneri. Berlusconi reagì fin da subito sventolando (inopportunamente) la bandiera dell'Italia. La battaglia politica si trasferì anche su quel terreno, ma preme sottolineare come entrambe le fazioni, prodiani e berluscones, partivano dal presupposto che la vendita fosse necessaria. Certo, cambiavano le condizioni perchè Tommaso Padoa Schioppa suggeriva una cessione che non gravava sul bilancio, mentre il piano dell'attuale maggioranza ha determinato un ulteriore indebitamento pubblico, ma il filo conduttore era la convergenza sulla necessità della cessione.

In pochi hanno pensato che la presenza di privati, desiderosi di rilevare la compagnia aerea, suggeriva che il malato fosse guaribile. La vicenda è andata a finire come tutti sanno, ha vinto l'italianità, ma soprattutto han vinto coloro che aderirono alla cordata promossa da Roberto Colaninno (Piaggio), mentre il pubblico ha perso la faccia. Alitalia ha chiuso il terzo trimestre 2009 in verde, per la prima volta da anni (o forse decenni). Dai -210 mln di euro del primo trimestre, si è passati ai + 15 mln del terzo, e questa svolta è solo l'inizio. Accanto a questo ci sono dati non economici importanti che testimoniano la trasformazione in atto, il load factor è passato nello stesso periodo dal 51 al 74%, la puntualità è oggi al 74%. Insomma un anno di cura privata ha trasformato un carrozzone in perdita in un investimento appetitoso. Come è possibile?

Non è che forse il pubblico ha margini di manovra molto più limitati rispetto al privato? La storia di Alitalia ha dimostrato come certe eccessive tutele sociali possono uccidere le società (e creare disoccupazione), ma ha anche mostrato l'ennesimo fallimento della politica. Qualcuno aveva detto che avrebbe portato la mentalità privata nel pubblico. Bene, ma allora perché è necessario vendere le società pubbliche al privato affinchè recuperino competitività? Non ci si può nascondere dietro la scusa dell'aver le mani legate e dei margini ristretti di manovra che ha il pubblico perché questa politica manca di coraggio e piuttosto che spiegare l'urgenza di certe scelte impopolari (difficili da capire per l'uomo della strada), si lascia sedurre dal facile consenso del populismo becero.

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venerdì 6 novembre 2009

Arrivano i soldi dello scudo e parte l'assalto alla diligenza

Col senno di poi è facile dirlo, ma non si può ignorare che un anno di crisi e di politica economica di Tremonti hanno portato l'Italia ad avere un debito su PIL del 115%. In Europa c'è la Grecia che sta messa peggio (120%), ma ad esaltarsi per queste notizie si rischia di cadere nel ridicolo. Per le esangui finanze pubbliche italiane potrebbe arrivare una boccata d'ossigeno grazie al gettito straordinario determinato dallo scudo fiscale. I Tremontiani difendono la legittimità dell'opera perché porta capitali in Italia (classica frase di chi pensa che la ricchezza si crea per magia), risana le casse pubbliche e non tocca le tasche degli italiani. E' un vero peccato dover scrivere per rompere questo falso quadro bucolico, ma basta un semplice paragone per delegittimare quel ragionamento. Un'entrata una tantum può essere applicata al contesto familiare. Prendiamo un nucleo che ricava 20 e spende 25, se anche vende la casa per 500 deve comunque cercare un equilibrio nella gestione corrente, sennò tra qualche anno si ritorna al solito punto, e quando sono finiti gli asset da liquidare si andrà in default. Tremonti è abile a camuffare il dato finale (perché i condoni lo gonfiano), ma queste opere non sono altro che un palliativo, capace solo di allungare l'agonia.

Il gettito dello scudo ad oggi dovrebbe essere di 2,5 mld di euro (il 5% dei 50 mld rientrati). Si poteva ottenere la stessa cifra mostrando i muscoli e imponendo l'aliquota inglese, che è del 50% circa, facendo rientrare 5 mld di euro. Magari ci voleva anche più tempo e magari tutto si risolveva in un fallimento, di certo agendo in quel modo la legalità non sarebbe una parola vuota. Nel frattempo il Ministro dell'Economia deve stringere i cordoni della borsa perché tanti ministeri vogliono avere la priorità. Maroni rischia la faccia sul tema della sicurezza e non vuole fare brutte figure, La Russa pensa alle forze armate, e poi ci sono pure le pressioni degli imprenditori che non vogliono pagare l'IRAP. Ma nessuno si è chiesto perché è stata creata un'imposta che non va solo sull'utile? Forse c'era un comportamento diffuso di "tax avoidance" e lo si è voluto limitare?

Ma in mezzo alle preoccupazioni per le casse pubbliche e le capacità di Tremonti di garantire stabilità e rigore (tra l'altro si è sempre in attesa di capire se la sua previsione della crisi ha portato qualche beneficio al sistema paese), vi sono motivi d'orgoglio. Nel PIL pro capite abbiamo superato la perfida albione. Ma saremo capaci di tenere questa posizione anche durante la ripresa, magari attenuando le differenze sociali? E soprattutto, siamo sicuri che il PIL pro capite sia un indicatore esaustivo? Forse questa crisi ha accentuato le differenze economiche e quel numero medio non è sufficiente per cantar vittoria. Può bastare un indicatore per dire che le cose vanno male, ma è difficile costruire un quadro positivo usandone solo uno. Il criterio della prudenza andrebbe applicato anche in politica, ma è poco populista.

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giovedì 5 novembre 2009

Al Giornale si torna a manganellare Fini

Una volta che finisci nell'occhio del ciclone non te ne perdonano una. Apri bocca e vieni subito zittito col solito ritornello di banalità e osservazioni stracotte. Ma quel che conta non è imbastire un discorso sensato, l'obiettivo è sempre quello di far rumore per zittire l'altra parte, illudendosi di darla a bere a tutte le persone. Al Giornale la nuova direzione si vanta per gli ottimi risultati commerciali, ma dovrebbe anche iniziare a riflettere sulla reputazione che sta costruendo tra chi non compra o non legge quel quotidiano. Feltri sta continuando la sua battaglia in difesa del fratello del datore di lavoro e forse dovrebbe avere la decenza di fermarsi adesso che è in tempo, perché rischia di venire inghiottito da questa serie infinita di scandali e discorsi senza senso che sta facendo.

Se ben ricordate tutto iniziò con Boffo e all'epoca venne usata l'espressione "cominciamo da..". L'evoluzione dei fatti scandalistici, cui tutti hanno assistito in questi mesi, ha mostrato come ci siano poche anime pie e, purtroppo, abbiamo una parte della stampa che non pubblica le notizie, ma le usa, senza pudore, come arma di ricatto (per conto terzi?). Feltri oggi ha detto di essere pronto a subire il rischio di "querele", cioè ha minacciato Fini di pubblicare notizie scomode sul suo conto. E' giornalismo questo? Un cronista che usa le notizie in questo modo si comporta in modo serio servendo la causa della diffusione dell'informazione? Lascio giudicare a tutti, soprattutto a quelli che si riempiono la bocca con la parola "libertà".

Ma oggi l'offensiva del Giornale non si ferma qui, Giancarlo Perna cala il jolly e punisce Fini per aver detto che Berlusconi spesso si crede un monarca assoluto. L'articolo parte con una breve confutazione della frase di Fini: Silvio non è assolutista perché ha un carattere gioioso, mentre il freddo Gianfranco controllava AN in modo dittatoriale. Accidenti, che profondità! Invidio Perna che studiando questo lato del carattere riesce a trarre questa conclusione generale.

L'articolo ha il merito di illustrare la "non logica" che parte della stampa usa. Se si vuole sostenere una tesi, una persona onesta porta elementi che la supportano, quando invece porta elementi denigratori, ma lontani dal cuore della tesi, opera un'abile mossa di manipolazione intellettuale. Fateci caso, l'articolo parte con una tesi, cioè re Silvo è buono, mentre Fini è cattivo. Poi però si passa a parlare non di rapporti all'interno dei partiti (il tema originale), ma si tirano fuori argomenti per delegittimare il Presidente della Camera. Si parla delle contraddizioni di Fini, come ad esempio family day, rapporto col fascismo, giudizi su immigrazione e droghe, ma questi fatti, seppur veri, portano un contributo alla tesi iniziale? No, sono semplicemente della polvere per spostare l'attenzione da un tema all'altro, così come suona male la difesa di Gasparri rimproverato da Fini per il caso Eluana (no dico, parliamo di Gasparri!! quello del tom tom e leggetevi cosa aveva detto in quei giorni). L'unica parte rilevante è quella sulle correnti, ma usare la frase "aboliamo le correnti" come prova di assolutismo è un comportamento avventato perché le differenze, tuttora esistenti, tra le correnti di AN sono enormi (pensate ad Alemanno e La Russa, c'è un abisso) e ad un certo punto mettevano a rischio la stabilità del partito stesso. Insomma si scrive la storia di Fini per nutrire la fame di omogeneizzazione che hanno i vassalli del monarca, quello vero però.

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L'anti Annozero

Nel mese di settembre c'erano molti dubbi sulla messa in onda della nuova stagione di Annozero perché mancavano i contratti di Travaglio e di buona parte del team che lavora per realizzare i contenuti della trasmissione. Qualcuno gridava ad un editto bulgaro bis, ma l'ex rappresentante legale di Mediaset è magnanimo ed anche abbastanza perspicace. Forse ha capito che la cacciata di Biagi, Luttazzi e Santoro, fu un bel autogol che spianò la strada ad un processo di beatificazione dei tre personaggi. Ai tempi dell'editto bulgaro Biagi conduceva "il fatto" e realizzava uno share favoloso. La sua colpa principale era il non genuflettersi davanti al nuovo uomo della provvidenza, e i soliti noti sono riusciti a compiere un bombardamento mediatico per fare in modo che, nell'immaginario collettivo, una trasmissione modello fosse considerata alla pari di un articolo della Pravda. Biagi si caratterizzava per la sobrietà nella conduzione e per la grande impronta professionale che dava alla trasmissione, questa aveva un corpo centrale, costituito dalla divulgazione di fatti e dati ufficiali, cui seguiva una breve interpretazione del giornalista. Chi vuole cambiare l'informazione in cronaca ha sempre da obiettare su questo punto sostenendo che l'interpretazione è faziosa. Ma chi ragiona in questo modo dimentica che il lavoro del giornalista non può essere quello di fare taglia e cuci (che poi tra l'altro è l'accusa principale di Facci & co. contro Travaglio, ma se i fatti sono contro il re allora non bisogna raccontare nemmeno quelli), ma deve anche essere quello di fornire una lettura responsabile e personale dei fatti. Sarà poi il pubblico a decidere se l'interpretazione è sensata o discutibile. Annullare la libertà d'interpretazione significa aderire ai dogmi dello stalinismo.

Ma ero partito da Annozero e lì torno. L'anti Santoro sarà impersonificato da Maurizio Belpietro. Il direttore di Libero non mi sembra dotato della capacità televisiva per intrattenere un telespettatore (anche Biagi non dava un ritmo incalzante, ma "Il fatto" non durava due ore e passa) e non mi sembra nella posizione ideale per costruire una trasmissione equilibrata. Non dà mai alcun cambio di marcia al suo discorso, dice sempre ovvietà e non ha la capacità di persuadere un vasto pubblico con i suoi ragionamenti perché sono palesemente una visione parziale della realtà e dà sempre l'impressione di ignorare (volutamente) una lettura completa delle cose. Anche nelle vicende sessuali recenti ha mostrato di non avere una visione organica della società e della politica. Le scuse usate per difendere l'uno, al grido di , sono diventate le colpe dell'altro perché questo andava con dei trans, che stando a Gasparri non sono neanche delle persone. Ma da un giornalista si può pretendere una visione del mondo simile al buonsenso di una perpetua? Ritengo di no, poi sarebbe anche bene porre fine alla convinzione popolare che al termine moralista corrisponde solo il "bacchettone cattolico". Accanto alla morale della Chiesa ve ne è una diffusa nei comportamenti e nei costumi delle persone. Alcuni comportamenti tabù per la Chiesa (divorzio, aborto, libertà sessuali, ecc) non lo sono per buona parte della popolazione, ma altri, come ad esempio l'andare coi trans restano, nell'immaginario collettivo, un tabù. E' come se accanto alla morale rigida ecclesiastica ve ne fosse una più flessibile e aperta, ma giudicare il mondo sulla base di questa seconda morale resta sempre un'opera di moralismo.

La vicenda Marrazzo ha anche mostrato l'esistenza di un giornalismo scandalistico disposto a dare una visione esclusivamente "morale" delle azioni. Le ripercussioni politiche del caso Marrazzo sono invece evidenti e devono essere approfondite. Storace stesso ha indicato la strada giusta che è quella di cercare tra appalti, concessioni e tagli compiuti dal Governatore del Lazio negli ultimi tempi. Resta un mistero quello di capire se i carabinieri lavorassero in proprio o per conto terzi, il che cambierebbe la lettura di molte scelte giornalistiche e politiche.

La differenza tra Santoro e Belpietro è parsa evidente nel modo di raccontare questa storia. La ricerca della dietrologia (fatta da Santoro) non è solo un geniale stratagemma per far incollare il telespettatore allo schermo, ma rappresenta un modo interattivo di fare giornalismo. Significa portare avanti la concezione del giornalista che cerca, scava, analizza, mette in relazioni fatti ed espone la sua ipotesi al pubblico. Ma questo non ha colore politico, si chiama giornalismo e vedremo se Belpietrio saprà costruire una trasmissione capace di sostenere con forza un'ipotesi.

mercoledì 4 novembre 2009

La macchina del consenso leghista. Bossi zittisce Maroni

Lo scontro emerso tra Maroni e Bossi dimostra che c'è modo e modo di fare politica e di ottenere consenso. La Lega sta attraversando uno dei suoi momenti più felici, arriva da un clamoroso risultato ottenuto alle europee ed è così riuscita ad aumentare il suo peso decisionale nella maggioranza (anche grazie alle distrazioni del premier). Ma questo consenso, questa valanga di voti presi lo scorso giugno, sono dovuti ad una politica concordata con i vari Ministri di area leghista. Sparate a parte, Zaia ha sempre mostrato di essere sensibile ai problemi degli agricoltori, mentre Roberto Maroni ha fatto un lavoro di qualità (politica, sia chiaro). Intanto è riuscito nell'intento di spostare il dibattito politico verso due temi cari all'elettorato leghista e di cui era responsabile in qualità di Ministro dell'Interno. Chi ha buona memoria del resto non potrà negare che l'ultima campagna elettorale è stata centrata sui temi dell'immigrazione clandestina e sulla sicurezza.
Al fine di assicurare il successo elettorale è stato forse amplificato a dismisura questo senso d'urgenza, per poi passare al contrattacco, mostrando una serie di risultati che sembravano dire:" vedete, la Lega mantiene le promesse". Di cosa parliamo? Di due cose, la prima è la conferenza stampa in cui furono annunciati i dati del Viminale sull'andamento dei reati. In quell'occasione Maroni illustrò una situazione in cui i delitti (in generale!) calavano e approfittò, della sonnolenza mostrata da chi prese quei dati senza metterne in dubbio le metriche, per farli passare come un'informazione precisa. Un calo tendenziale dei reati è auspicabile e deve essere perseguito, ma come si misura la diffusione di un reato? Può essere sufficiente basarsi sulle denunce? A mio avviso no. Il secondo pilastro della strategia Maroni consisteva nella lotta agli sbarchi clandestini. Anche qui parliamo di una mossa popolare, ma bastano i respingimenti per ridurre, in modo significativo, l'entità dei flussi migratori verso l'Italia? Un professore della Cattolica, che collabora con un organismo internazionale il quale opera nel monitoraggio dei flussi migratori, aveva detto che, stando alle loro rilevazioni, solo il 5% dei migranti arriva col barcone. Queste affermazioni sono state rilasciate durante la trasmissione "Presadiretta" e sembrerebbero ridurre la significatività della lotta all'immigrazione promossa da Maroni. Se a queste parole corrispondesse la verità allora sarebbe un altro caso di populismo.
La Lega deve quindi ancora fare il salto di qualità per trasformarsi da una macchina del consenso ad un partito di vero Governo. Maroni ha capito che ricopre una posizione delicata e le promesse elettorali, se verranno disattese, potranno trasformarsi in un boomerang. In quest'ottica deve esser letta la sua dichiarazione di apertura verso il PD perché lui non vuole cambiare partito, ma vuole solo difendere la sua credibilità. I tagli nei finanziamenti per le forze dell'ordine non sarebbero un bel biglietto da visita per un Ministro dell'Interno che punta in alto.
A questa legittima presa di posizione del Viminale, Bossi ha risposto da padrone del partito. Il "senatur" sa perfettamente che ora bisogna decidere le candidature per le prossime regionali. Il potere acquisito grazie alle europee pone la Lega in una posizione privilegiata e Bossi vuole capitalizzare al massimo questo vantaggio. Le promesse elettorali possono aspettare.

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martedì 3 novembre 2009

Caso Marrazzo. Qualcuno ha mentito.

Gli sviluppi della vicenda Marrazzo sono descritti in un articolo del Corriere della Sera. La situazione pare piuttosto intricata perché tutte le parti in causa raccontano delle versioni discordanti. Marrazzo ha ammesso che parte dei soldi con cui pagava i trans erano destinati all'acquisto di droga. Verrebbe da dire che non c'è limite al peggio perché si può essere garantisti sulla vita sessuale, ma un eventuale uso di sostanze stupefacenti potrebbe mettere in discussione la lucidità che il Governatore aveva quando governava il Lazio.
Resta un mistero la storia del ricatto. Certi giornalisti (con editori ben informati e interessati) gettano acqua sul fuoco e danno, all'intera vicenda, la lettura più semplice. Lo stesso Marrazzo ha però confermato di non essere stato ricattato dai carabinieri. Se il Governatore dicesse la verità (cosa che spero per lui) allora l'intera vicenda sarebbe più complicata di quanto pare. In quel caso l'irruzione in via Gradoli dei quattro carabinieri diventerebbe una rapina che è servita per coprire la registrazione di un video utile per un ricatto successivo (o commissionato da qualche terzo interessato a demolire Marrazzo). Se invece il Governatore mente abbiamo un politico che ha esercitato le sue funzioni sotto un ricatto durato tre mesi. Questa ipotesi pare sempre la più logica, ma, al fine di condividere in toto questa strada, resta da chiarire perché Marrazzo non si sia attivato fin da subito per recuperare ed eliminare l'arma del ricatto.
Di certo non deve sfuggire la condizione abilitante che ha reso possibile tutto questo casino. I vizi privati, e imbarazzanti, dei politici possono determinare questa confusione e delegittimare le persone. Se Marrazzo avesse tenuto a bada certe sue passioni oggi non saremmo qui a parlare di questa vicenda perché non ci sarebbe stata nessuna ipotesi di ricatto, di consumo di droga o di frequentazioni transex (le ultimi due sono certe).
Resta uno strano scherzo del destino quello che in via Gradoli c'era il covo delle Br che rapirono e uccisero Aldo Moro. Qualcuno sostiene che addirittura lì vi fosse la prigione del leader democristiano. Dopo più di 30 anni lo stesso luogo torna nelle cronache, ma questa volta è la politica a perdere, per mano della sua sfacciataggine, un altro pezzo di dignità.

lunedì 2 novembre 2009

Una critica (sensata) ad Annozero

Ogni puntata di Annozero suscita un polverone di polemiche. Spesso si tratta di discussioni inutili perché portate avanti da fedeli collaboratori del premier o da persone che, in qualunque caso, sono ostili alla figura di Berlusconi (come la Serracchiani). Assistiamo ad accuse e difese basate sull'appartenenza politica e mai fondate su un'analisi dei contenuti e delle scelte giornalistiche della testata. Qualunque cosa dicono o fanno Santoro e Travaglio abbiamo una polarizzazione delle posizioni che, ahimè, è preconcetta. Questa divisione manichea (concetto caro ai giacobini) semplifica, e di molto, la vita del telespettatore. Non serve ascoltare e neanche sforzarsi di seguire il filo logico della discussione o la qualità dei contributi portati dagli ospiti. Tutto è già noto a priori, ognuno viene così visto come parte di una recita in cui i ruoli sono predefiniti e si finisce per guardare una trasmissione informativa con gli occhi del tifoso sportivo.
Alla coppia di giornalisti scomodi credo vada riconosciuto il merito di fare inchieste e portare sostanziose basi per sviluppare la discussione. Si potrà discutere sulla forma, ma i contenuti spesso sono insindacabili e piuttosto che vedere ospiti capaci solo di costruire una linea Maginot, sarebbe piacevole vedere discussioni sul merito. Al tempo stesso riconoscere un merito non significa essere un fanboy. E questo è uno dei principali limiti non solo dei berluscones, ma dell'italiano medio. La logica manichea prodotta da Berlusconi non è una sua malsana invenzione, ma rappresenta un adeguamento al modo di pensare di noi italiani.
Come detto Santoro non è esente da critiche, io ne trovo due principali, e se qualcuno leggerà spero possa aggiungerne altre. Premesso che i contenuti non mi sembrano criticabili (cosa fondamentale per una trasmissione), lo è la forma nella scelta degli ospiti e nella conduzione della trasmissione. Non so se gli ospiti sono scelti dai partiti, ma partirò dal presupposto che sono invitati. A livello di giornalisti è palese l'abisso tra non so un Porro e Belpietro, ma in coincidenza della presenza dell'uno cambiano toni e argomenti trattati. Certo, i due operano in ambiti diversi, ma hanno modi diversi di porsi. Se il primo elabora dei ragionamenti, il secondo argomenta le sue tesi con fatti subito smentiti da chi è in studio. Forse Belpietro non se ne accorge, ma viene invitato proprio per fare la figura del cioccolataio, in quanto finisce per essere demolito dalle precisazioni di Travaglio. Porro riescie a guadagnarsi credibilità proprio perché parte invece da ragionamenti fondati, chiari e sensati, non da discorsi palesemente pilotati dall'appartenenza politica. Idem al quadrato per i politici. Castelli si autoriduce ad una presenza da cabaret (con i tormentoni del libro e il populismo su quanto prende Beppe Grillo), Ghedini ha il suo mavalà e Lupi è una contraddizione vivente (interrompe, insulta e si dichiara tollerante). Nel teatrino recitano alla perfezione la loro parte e finisce che portano un contributo nullo alla discussione. Forse nella destra sono contenti della figura che fanno, ma non tradiscono nemmeno le aspettative di chi conduce perché si dimostrano senza idee autonome, ma portatori sani di banalità o del verbo di Mr B.
L'altro aspetto discutibile è il modo (momenti e parole) che viene usato per dare la parola ad un ospite.
Questo è Santoro, con i suoi pregi, come giornalista d'inchiesta, e i suoi difetti.

Le critiche senza senso

Ogni giornale scrive per soddisfare le aspettative dei suoi lettori. Vale per tutti i quotidiani apertamente schierati (Repubblica compresa), ma questa regola trova un'applicazione estrema nelle critiche televisive che compaiono sul "Giornale" e su "Libero". Le ultime trasmissioni di Santoro sono state criticate accusandolo di incoerenza nell'analisi dei casi Marrazzo e Berlusconi. A veder l'ultima puntata di Annozero viene invece da chiedersi se tutti gli ospiti ascoltano gli interventi dei loro interlocutori. Belpietro ha dapprima sostenuto che Travaglio non avesse parlato del PD, poi ha rincarato la dose dicendo che si voleva dare la colpa ai Ros, e infine è riuscito ad attribuire a Corona parole che non sono uscite dalla sua bocca. Sagace.

Leggendo tra i fanboy di Berlusconi emergono alcune considerazioni di default usate per criticare Santoro e Travaglio. La pietra miliare è l'idea che i due sanno solo parlare di Berlusconi. Ogni volta che leggo questo ragionamento resto a bocca aperta, e spero che siano stati necessari pochi secondi per arrivare a questa conclusione. Santoro e Travaglio parlano sempre di Berlusconi? Certo, parlassero del signor Rossi mi preoccuperei. Ma il punto non è quanto ne parlano (quantità), bensì se ne parlano a sproposito o portando avanti delle tesi motivate. La puntata su Marrazzo è stata esemplare perché il premier ha deciso di entrare in questa storia fin dal momento in cui qualche rappresentante del suo mondo editoriale ha visionato il filmato. A maggior ragione Mr B. è diventato un protagonista della vicenda di Marrazzo quando ha deciso di chiamare il governatore del Lazio. Si può discutere l'ipotesi di Santoro (la puzza era l'ipotesi di un ricatto che parte dai piani alti), ma di certo non si può negare che Mr B. è entrato volontariamente anche in questa storia. Non c'è dubbio che vendendo la Mondadori eviterebbe anche questi spiacevoli coinvolgimenti.
L'altra base dell'elevato ragionamento da fanboy è quella della mancanza di coerenza nel giudizio dei casi Marrazzo e Berlusconi. Qualche giornalista riesce a pubblicare pensieri simili a questo e ciò significa che o io ho seri problemi nella comprensione orale, o li ha chi mangia queste foglie. Il discorso Santoro / Travaglio è sempre stato fondato su riflessioni politiche. Il caso Giampi è rilevante perché l'esecutivo si apprestava ad elaborare una norma anti prostituzione e perché quel metodo (escort in regalo) rappresenta qualcosa di molto simile alle tangenti (e in Puglia ha coinvolto il PD). Il focus è sempre stato sulla rilevanza dei comportamenti privati, ma non per dare giudizi bacchettoni, bensì per chiarire che certi comportamenti socialmente imbarazzanti spianano la strada ad eventuali ricatti. La morale centra solo perché è una condizione abilitante, del resto per essere ricattati bisogna fare azioni di cui ci si vergogna o che possono avere ripercussioni negative sulla propria popolarità / credibilità.

Piuttosto che criticare Santoro facendo finta di non capire il significato dei suoi discorsi, si potrebbe costruire una critica televisiva sensata sul modo in cui conduce le trasmissioni e sulla scelta degli ospiti, sia politici che giornalistici

domenica 1 novembre 2009

Cambia l'allenatore, ma è la solita Juve

Una squadra lo deve pur vincere un campionato e non le si può fare una colpa se deve primeggiare in una competizione di basso livello. Molti sostengono che la decadenza del campionato italiano è coincisa con "calciopoli", da juventino dico che i mali del calcio nostrano sono arrivati con l'inizio del terzo Millennio. Fino agli anni 2000 c'erano le famigerate sette sorelle - Milan, Inter, Juventus, Roma, Lazio, Parma e Fiorentina - ovvero sette società con presidenti capaci di effettuare ingenti investimenti e di allestire delle squadre competitive in Italia e in Europa. Leggetevi la formazione del Parma di Ancelotti e Malesani, mettetela a confronto con quella delle squadre che oggi veleggiano attorno al secondo posto e tirate le vostre conclusioni. Di certo gli scandali finanziari che hanno coinvolto la Cirio e la Parmalat hanno determinato la caduta di Lazio e Parma. Il rigore di Lotito è un buon modello per costruire una squadra sostenibile, ma senze pretese di classifica; mentre in Emilia ci sono voluti molti anni (in cui la squadra è stata smantellata poco alla volta) prima che arrivasse un presidente capace di portare entusiasmo e giocatori validi. La Fiorentina è caduta in disgrazia con l'impero di Cecchi Gori, oggi è una buona squadra grazie alla passione dei Della Valle, ma lontana parente della Viola di fine anni '90, quella di Batigol e Rui Costa per intenderci. La Roma stessa, che ha rivaleggiato con l'Inter, è un buon team, anche lei economicamente sostenibile, ma non è paragonabile con lo squadrone costruito dai Sensi quando arrivò Capello. Nel complesso non è un impoverimento determinato da calciopoli, ma riflette le difficoltà incontrate negli anni da chi investiva nel calcio e quelle di un sistema che complessivamente è meno attraente rispetto a quello inglese e spagnolo.
Quest'anno l'anti Inter doveva essere la Juventus, ma anche lei è stata sopravvalutata per dare pathos ad una competizione già scritta. Tutte le variabili incerte stanno girando male per i bianconeri. L'inesperienza di Ferrara si sta rivelando un grosso limite. La squadra ha sempre dato l'impressione di essere schierata in modo da non essere sufficientemente protetta in difesa. Questa Juventus soffre troppo le ripartenze, e considerando che questo era un vizio della gestione Ranieri, viene da chiedersi se ci siano effettivamente stati i miglioramenti attesi. La sconfitta di ieri col Napoli ricorda quella dell'anno scorso con il Cagliari. L'aspetto grave è che in entrambe le circostanze la Juventus si è fatta rimontare (perdendo) in casa, subendo gol in contropiede quando era in una situazione di vantaggio. L'impostazione di Ferrara può andare bene per sbloccare le partite, ma è folle pensare di vincere le partite giocando 90 minuti con quello schema. Così come è discutibile la scelta di togliere il modesto Poulsen per tenere in campo Tiago. Non si discute il valore tecnico dei due giocatori (entrambi discreti operai), ma l'utilità, e alla Juventus che affrontava il Napoli serviva come il pane un mediano che tenesse la posizione.
Sulla graticola sono finiti pure gli acquisti onerosi: Diego e Felipe Melo. Entrambi sono stati pagati profumatamente. Forse non sono al massimo della forma, ma non si può dimenticare che le loro prestazioni dipendono dai compiti che gli sono affidati e da come si esprimono i compagni. Melo deve coprire una porzione di campo troppo ampia, mentre Diego è costretto a giocare troppo distante dall'area e diventa così inefficace. Le colpe non sono delle new entry, ma forse risiedono nella scelta di confermare un terzino destro che all'Inter finirebbe sempre in tribuna e di comprarne uno a sinistra che è troppo distratto in fase di copertura.

Panini, emergenze e bengodi: l'Italia di Minzolini

Ad un telegiornale si chiede la capacità di selezionare le notizie rilevanti, raccontare con equilibrio la politica e delineare un'immagine veriteria del paese. Nel tg1 di Minzolini non vi è neppure una di queste tre cose, ma l'ennesimo tentativo di riproporre un prodotto informativo sulla falsariga di quelli realizzati nell'era Mimum. A tal proposito può essere utile leggersi quel capitolo del libro "Regime" (Travaglio e Gomez), in cui veniva criticato il tg1 proposto da Mimum. Oggi Clemente J è al tg5, mentre sulla rete principe del servizio pubblico è approdato l'ex giornalista della "Stampa". I due prodotti confezionati dai principali competitor televisivi sono molto simili, il che non sarebbe poi una cosa negativa trattandosi di informazione, se non fosse che entrambi hanno la stessa impostazione faziosa.


Tra le tecniche celebri vi era, e resiste, quella del "panino". Parlano le istituzioni (maggioranza), poi l'opposizione e alla fine l'ultima parola spetta alla maggioranza parlamentare. La tecnica si caratterizza anche per la durata limitata dei singoli interventi che sono pezzi di un'intervista / dichiarazione o commenti del giornalista. Ieri sera è andato in onda un servizio sulle parole di Berlusconi contenute nel libro di Bruno Vespa, e abbiamo visto il panino senza prosciutto. Prima ampie citazioni delle parole del premier (con annessa pubblicità al libro), poi il commento di Bonaiuti. Fine servizio. Con l'impressione che il portavoce del premier è pure magnanimo perché si è disposti ad accettare le sentenze (?) solo se sono a nostro favore (aaah).

Un'altra caratteristica del tg1 è quella delle emergenze. Ieri c'è stato un servizio sui serpenti nel lodigiano, che forse era più da tg regionale, e la solita apertura dedicata all'influenza AH1N1. Ferruccio Fazio, cioè colui che ha la delega alla Sanità, si era un po' sbilanciato in estate, ma poi ha sempre tenuto un atteggiamento coerente. Non perde occasione per ricordare che l'influenza ha un tasso di mortalità inferiore a quella stagionale, ma per il tg1, che comunque riporta queste dichiarazioni, si tratta comunque di un'emergenza. L'apertura del tg è dedicata da tempo a questa notizia, e poi in un servizio ci raccontano pure di madri agitate più del normale quando il figlio ha l'influenza. Non che tutti guardano il tg1 e si lasciano "influenzare", ma certi proclami e scelte giornalistiche producono effetti sui comportamenti e sui pensieri delle persone. Notare che le emergenze di cui parlare sono scelte con cura.

Eh sì, c'è un'altra emergenza di cui Minzolini non parla, che è quella occupazionale ed economica. Detto che si risolverà prima la seconda e dopo forse la prima, va però sottolienata l'istantanea del paese che ci lascia il tg1. Il paese del bengodi. Servizi a raffica sui regali ci aspettano nei prossimi giorni, ma in settimana si segnala un servizio sulle piste da sci. La giornalista ha detto che non ci si è neanche tolti il costume che già si preparano gli sci (lo giuro, è vero). Peccato che nel frattempo qualcuno sia rimasto in mutande.

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