giovedì 21 gennaio 2010

L'effimera gioia per l'elezioni americane

Quando Barack Obama vinse le elezioni nel novembre 2008 ricordo che Diego Bianchi (in arte "Zoro") realizzò uno speciale in "Parla con me". Si prendevano in giro tutti i piddini italiani che avevano fatto le ore piccole per festeggiare la vittoria di Obama. Il senso del pezzo era chiaro perché si metteva in evidenza come la vittoria di Obama fosse una quesione che riguardava gli americani e non noi italiani. Poi era di una comicità senza pari vedere la Melandri che abbracciava tutti, mentre sei mesi prima aveva assistito alla Waterloo della sinistra italiana. Questione di gusti.

Ma forse sto già sbagliando. Ho usato la categoria sinistra e noi italioti ci lasciamo guidare da questa divisione in destra e sinistra per dare libero sfogo al nostro istinto da ultras. Risvegliamo la voglia di tifo ad ogni elezione straniera, va bene qualunque cosa. Può essere Aznar che perde con Zapatero, può essere Sarkozy che batte la Royal (socialista!!), può essere Brown che rischia per l'ascesa dei conservatori, e poi il tifo da stadio arriva al massimo quando si tratta dell'election day americano. Ogni anno, ogni elezione diventa motivo d'orgoglio per democratici e pidiellini che se potessero, si schiererebbero pure su chi tifare nel challenger di San Marino. Ma serve a qualcosa questa passione?

L'interesse per la politica estera è un fatto positivo, ma deve essere incanalato non in uno sterile entusiasmo, bensì deve concentrarsi nella valutazione dei temi portanti di ciascun candidato. Mentre in Italia perdiamo tempo tra amore, odio e simili, all'estero gli elettori votano per i programmi, e se qualcuno non li rispetta è punito. Non c'è crisi che tenga. Qualcuno saluta con giubilo la vittoria dei repubblicani in Massachussets, ma è bene ricordare che i repubblicani sono lontani da un esecutivo che vota una norma bislacca come il "processo breve", e beneficiano del voto di protesta del popolo americano, contro un'amministrazione che non ha ancora sanato tutte le ferite aperte dalla crisi economica.

In Italia invece ci affidiamo all'amore e all'ottimismo da fessi che pubblicizza il nostro Presidente del Consiglio. Poi è superfluo rimarcare l'atteggiamento da ebeti con cui guardiamo alla politica estera, ma qualche esempio vorrei farlo. La capacità di imitare ha trovato il suo culmine quando Veltroni ha scopiazzato il motto di Obama, dall'altra parte ora ci sarà invece una giornata dell'orgoglio repubblicano italiano ("Yes, he did it"). Scusate se non sento la musica! Ma invece ho una chiara visione sulla classe politica italiana (locale e nazionale) che si preoccupa solo di dire alla gente le cose che vuole sentirsi dire. Ai ragionamenti (costano fatica, e poi metti che il tuo interlocutore non capisce!) si preferisce la "Spritz Politik" basata sulle icone, sugli aperitivi e sulle patetiche simpatie per realtà che non ci riguardano. Ma è innegabile che sia tutto più chic.

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