Proviamo a mettere in fila un po' di elementi su giovani e mercato del lavoro.
Il 31 luglio è uscito sul Corriere della Sera un articolo in cui Corinna De Cesare riportava l'attenzione su un provvedimento del Governo Monti che avrebbe dovuto agevolare l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Il principio della norma voluta dai tecnici era e resta condivisibile: i giovani devono avere la possibilità di entrare nel mercato del lavoro con dei contratti a tempo indeterminato. La situazione attuale è ben diversa e non sto a dilungarmi perché tutti sappiamo come invece le aziende preferiscano tenere i giovani in un'anticamera che dura anni e permette loro di avere una forza lavoro fresca e sottopagata. Senza dimenticare il dato raccapricciante sulla disoccupazione giovanile, ormai stabilmente sopra il 30%.
Il fatto che gli incentivi abbiano prodotto appena 11mila e 442 assunzioni può essere letto in diversi modi. Non vi è dubbio che la crisi attenui gli effetti di queste norme, ma appare evidente come vi siano anche dei grossi limiti culturali. Le aziende, soprattutto le multinazionali, continuano a proporre buonuscite ai lavoratori vicini alla pensione. Il caso degli esodati brucia e non deve essere piacevole per coloro che hanno subito un cambio in corsa delle regole. Però all'interno delle aziende e delle forze sindacali non ha ancora fatto breccia l'idea che un sistema equo debba garantire pari opportunità tra le diverse generazioni. Se le aziende fissano budget consistenti per politiche di riduzione della forza lavoro, è difficile chiedere alle stesse di trovare risorse per assumere giovani. Le forze sindacali dovrebbero preoccuparsi di questo, ragionando in un'ottica di lungo periodo e salvaguardando l'occupazione (in qualità e quantità), mentre mi sembra che anche lì vi sia uno sbilanciamento sul breve.
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