La positività di Alex Schwazer ha
oscurato i successi ottenuti dagli atleti italiani. Il vizio (se così possiamo
chiamarlo) di privilegiare le cose negative trova una giustificazione nel fatto
che l’atletica sia la disciplina principe nel programma olimpico e nell’atleta
altoatesino, già olimpionico a Pechino ’08, erano riposte le uniche speranze da
medaglia per l’Italia.
Sul fatto che Schwazer abbia
fatto un errore madornale non ci sono dubbi. Per evitare di rivedere un film
che in Italia va in onda ciclicamente (e da tifoso ne so qualcosa dal 1999)
sarei veramente felice se l’italiano medio iniziasse a smuoversi da alcuni
luoghi comuni. Innanzitutto tralasciando le considerazioni guidate dall’invidia
e dal vero sport nazionale che consiste nel gioire per le disgrazie del primo
della classe. Ovviamente mi riferisco alla gioia espressa attraverso gli
insulti, tipico infantilismo che suscita conati di vomito quando è messo in
pratica da quelli che erano i fanboy più scatenati nei momenti del trionfo.
Infine sarei ancora più contento se iniziassimo ad avere un atteggiamento
maturo nei confronti dello sport e degli atleti. Lo sport è una bellissima
allegoria ed è una palestra di vita, ma da solo non può bastare per costruire
una persona. Spesso pensiamo che l’atleta sia un esempio anche al di fuori
dell’ambito in cui eccelle. Errore grave, da matita rossa. Proiettiamo
sull’atleta delle qualità che non ha mai dimostrato, e poi ci sentiamo traditi
quando l’idolo si mostra umano e scopriamo che sbaglia. Non è che forse alcune
nostre deduzioni sono un tantino esagerate?
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