sabato 6 febbraio 2010

Dalla parte di Marchionne

Grazie a Marchionne la società italiana ha trovato un punto d'accordo. Da quando i vertici Fiat hanno annunciato la futura chiusura di Termini Imerese, le agenzie di stampa continuano a raccogliere le dichiarazioni di personaggi che, incredibilmente, sembrerebbero pensarla allo stesso modo. Sindacati, ministri leghisti, sacerdoti, ex deputati dell'estrema sinistra, giornalisti filo Berlusconi, ecc..ormai tutto si è trasformato in un patetico teatrino in cui anche le istituzioni (vedi le banali parole di Schifani) si sentono in dovere di rilasciare il loro fondamentale contributo.

Va detto che questo "movimento di unità nazionale" (anti Fiat) è mosso da sentimenti diversi. C'è la contrapposizione ideologica di coloro che ragionano come se fossimo ancora nel diciannovesimo secolo, c'è l'odio per gli Agnelli che anima alcuni giornalisti di pseudo destra, c'è il tentativo della Chiesa di mostrarsi vicina ai più deboli e c'è il populismo di un Governo sempre premuroso quando si tratta di salvaguardare i sondaggi di popolarità. Tra tutte queste diverse motivazioni mi lascia basito la seconda. Non sarò così ingenuo da sostenere che la Fiat non abbia beneficiato per anni di finanziamenti diretti, o di incentivi che drogavano l'intero mercato dell'auto, ma se vogliamo guardare al domani, proponendo una soluzione "sostenibile", sarebbe forse arrivata l'ora di lasciare da parte gli errori storici, che sono da spartire tra la vecchia gestione e la politica d'un tempo.

La storia della Fiat ci impone una seria riflessione su quello che sono le società industriali nella nostra civiltà. Non serve avere un master per capire che la Fiat appartiene all'insieme di quelle imprese che hanno cavalcato il boom economico e, considerato l'immobilismo cui abbiamo assistito per anni, ogni ragionamento deve partire da lì. Negli anni del boom l'Italia era un mercato vergine, molti sistemi produttivi sono stati sovradimensionati perché qui si produceva a basso costo (rispetto al resto dell'Occidente) e c'era un mercato interno da esplorare e conquistare. L'arricchimento della popolazione italiana è coinciso con una saturazione del mercato dell'auto, ed è in quel momento che si è manifestato il grosso errore di fondo che nessuno analizza. Molti dei sistemi produttivi italiani non erano sostenibili sul lungo periodo perché offrivano dei prodotti in cui vi era un'enorme discrepanza tra la domanda iniziale (un'intera nazione da servire) e la domanda a regime, che era decisamente più ridotta.

E' da questo enigma di fondo che nasce l'insostenibilità sociale dell'azienda Fiat ,e piuttosto di sputare invidia sarebbe meglio riflettere sugli scenari allora, ed oggi, possibili. Se un'azienda è sovradimensionata rispetto alla domanda si possono avere due macro opportunità: o l'azienda riduce le sue dimensioni per essere ancora profittevole (libero mercato), o il mercato e i suoi bilanci vengono aggiustati con l'intervento degli enti pubblici che creano le condizioni per una "sostenibilità" forzata. In Italia s'è decisa la seconda strada. Fare ricadere tutta la colpa su Agnelli è stupido. La politica non ha voluto risolvere il dilemma, l'organizzazione è rimasta sovradimensionata, e la proprietà si è trovata nella condizione di non poter gestire in modo attivo la società. Il rinvio del problema, ed il mantenimento a tutti i costi degli stabilimenti, ha portato al continuo peggioramento della situazione perché oggi non è più conveniente produrre in Italia. E queste osservazioni non sono ciniche, ma realiste.

L'avvento di Marchionne è una forte rottura col passato. Questo management accetta la sfida di gestire attivamente la società, ma in cambio chiede solo di poter attuare quelle trasformazioni che rendono competitivo il gruppo che, è bene ricordare, non è un ente di volontariato. Se vogliamo che la Fiat non pesi più sui conti pubblici (anche se gli incentivi erano al settore) bisogna accettare la chiusura di qualche stabilimento che potrebbe essere accompagnata dall'espansione di altri stabilimenti italiani. Se altrimenti vogliamo salvaguardare questo assetto, allora avremmo, per l'ennesima volta, uno Stato che vincola e limita le scelte della proprietà, ed in cambio contribuisce a rendere l'azienda profittevole. Io non voglio questo, preferisco che Marchionne possa operare in totale autonomia e nel rispetto delle leggi e degli accordi formali presi.

I piagnistei dei Ministri del fare hanno invece il sapore delle lacrime di coccodrillo: quando diedero il benestare agli incentivi auto potevano obbligare la Fiat ad assumersi qualche impegno formale. Ma non l'han fatto, mentre in Francia, con la Renault, le cose sono andate diversamente.


Bookmark and Share

3 commenti:

  1. tutto mooolto giusto quanto esposto, peccato che si dimentichi una cosa: la Fiat (e con essa anche molte altre aziende italiane) ha sempre sfruttato gli aiuti di Stato, grazie ai quali ha potuto continuare le numerose attività. Dire che gli Agnelli non sono corresposabili però è una grande fesseria, perché grazie agli aiuti si sono ingrassati all'inverosimile. Perciò alla conta dei fatti si dovrebbe chiedere i danni sia alla famiglia Agnelli che a tutti gli amministratori delegati che si sono succeduti fino ai gg nostri.

    RispondiElimina
  2. le cose che dici sono scritte, forse non sono chiare. "il mercato e i suoi bilanci vengono aggiustati con l'intervento degli enti pubblici che creano le condizioni per una "sostenibilità" forzata". Nelle mie intenzioni era un modo per dire che la società ha accettato di non tagliare i posti di lavoro, ma in cambio ha preso i soldi (bilanci drogati).
    "Fare ricadere tutta la colpa su Agnelli è stupido", e questa non è un'assoluzione..Dico solo che hanno preso gli aiuti, e da un punto di vista economico, hanno avuto le mani legate sul futuro della società. Hanno preso i soldi per non modificare le dimensioni di un carrozzone che faceva acqua.

    RispondiElimina
  3. cioè, chiariamo un punto, le attività aiutate coi soldi pubblici erano attività che non stavano in piedi. L'imprenditore serio avrebbe riorganizzato la società (tagli e modifiche). Agnelli ha detto, io salvaguardo il lavoro, ma siccome rinuncio ad avere l'azienda profittevole, allora tu stato mi paghi perché mantengo l'occupazione.

    RispondiElimina