martedì 16 febbraio 2010

La donna - tangente nel paese delle parole al vento

Non appena era esploso lo scandalo della protezione civile pensavo che non fosse opportuno sputare sentenze sui singoli e, nel mio precedente intervento, ho ragionato su due piani distinti: le colpe dei singoli e i limiti del sistema. Purtroppo il dibattito politico - mediatico non sta operando questa separazione, e mischiando le cose si corre il rischio che si parli tanto senza però cambiar nulla.

Lo scandalo della protezione civile è uno stretto parente del caso Tarantini. In entrambi i casi i presunti corruttori sono dei giovani imprenditori che non mostrano qualità imprenditoriali in senso stretto, ma piuttosto dimostrano di saper trattare scavalcando le regole imposte da una leale competizione. Questi giovani "parvenue" danno l'idea di essere più afferrati nelle public relations, rispetto che alla stesura di un business plan, e sembrerebbe che hanno usato questa loro capacità relazionale per entrare nelle grazie degli uomini di comando.

Lo scandalo Tarantini poggiava sull'uso della donna - tangente, utile per vincere la competizione nel mercato pugliese (giunta di centro sinistra) e buono per provare ad entrare nella cerchia degli amici di Berlusconi. Gad Lerner, quando parla degli aspetti psicologici legati alla donna - tangente, ha colto il punto fondamentale: oltre a dimostrare quanto sia maschilista questa società, l'uso delle escort ha il sapore della trasgressione che cementifica i rapporti di coloro che conoscono il piccolo segreto. Lo scandalo Anemone sembrerebbe riprodurre ancora queste dinamiche, che mischiano l'appagazione sessuale e l'ostentazione del potere.

Il problema politico è invece duplice. Da un lato vi è la scelta delle persone, mentre dall'altra parte c'è la riflessione sulla bontà di un sistema che concentra troppo potere decisionale nelle mani di un singolo. Il secondo problema è emerso nella vicenda Bertolaso, dove si sta delineando un quadro disgustoso di imprenditori che per vincere le commesse erano disposti a vendere l'anima. La politica può rimediare a questo punto se, e solo se, ammette gli errori e costruisce nuovi sistemi di gestione capaci di assicurare trasparenza e velocità. Considerato che tutto il mondo industrializzato riesce a spostare quest'apparente trade - off, non vedo perché l'Italia non debba riuscirci.

L'altro aspetto concerne la scelta delle persone. Su questo punto sono rassegnato perché non vedo alcuna volontà concreta di cambiare le cose. Bastano le piccole cose, come sapere che la base politica di alcuni partiti non appoggia i vertici, ma poi, all'atto pratico, non ha mai il coraggio di disconoscerli pubblicamente. Questo basta per capire quanto sia profondo l'idealismo politico.

giovedì 11 febbraio 2010

Scandalo protezione civile. E se fosse un problema di governance?

La vicenda Bertolaso sta mostrando l'atteggiamento infantile che accompagna la società italiana. Davanti ad uno scandalo che coinvolge la protezione civile, e dovrebbe imporre una sana riflessione sull'adeguatezza dei sistemi di governance adottati per la realizzazione delle opere pubbliche, ecco che noi italiani ci perdiamo nelle solite guerre di Pirro. Ma questa volta la guerra si combatte su due fronti.

La prima battaglia la combattono i guardoni - bacchettoni. Quelli che si chiedono se Bertolaso andasse dalla massaggiatrice (senza doppi sensi) o se invece partecipasse ai festini organizzati dai presunti corruttori. Dilemma senza senso e, soprattutto, non di prima importanza. So perfettamente che se Bertolaso si lasciava corrompere non è una questione irrilevante, ma le informazioni sono talmente poche e incomplete, che è da pazzi costruire adesso una campagna contro l'individuo. Se ad oggi la stampa ha solo quelle intercettazioni telefoniche, mi riesce molto difficile attribuir loro un'interpretazione univoca, e in una società civile bisogna rispettare i diritti dell'accusato.

Questo però non vuol dire essere garantisti e lasciare che tutto finisca a tarallucci e vino. Berlusconi, da grande statista qual'è, ha provato ad usare la vicenda Bertolaso per trarne un vantaggio personale. In primo luogo ha chiesto al capo della "protezione civile" di non dimettersi, e poi si è prodigato nel suo discorso contro i magistrati. Per il Presidente del Consiglio abbiamo una classe di magistrati che spreca le risorse pubbliche perché costruisce indagini che non conducono a nessun risultato, e abbiamo il vizio di demolire le persone che fanno del bene a questo paese. Poi B., per non smentire la sua fama di barzellettiere, ha pure detto che tutte le sue cause si sono risolte in una bolla di sapone. Chiunque vuole informarsi sa che non è andata proprio così, ma non starò a riepilogare le sue peripezie giudiziarie.

Il punto chiave del discorso, che i Lupi e i Gasparri continuano a raccontare, è l'idea, malsana, che se un uomo ha fatto bene qualcosa, allora tutto gli è concesso. Non può però essere così in un paese civile. I meriti di Bertolaso sono tanti e non vanno dimenticati, ma questo non ridimensiona la gravità delle accuse. Essere corrotti è una colpa non da poco per un sottosegretario, e se le accuse fossero confermate allora si dimostrerebbe l'inadeguatezza di Bertolaso a svolgere un incarico di pubblica responsabilità. Ecco, è quest'ultima la parola chiave: responsabilità.

Come la gestiamo la "responsabilità" nelle opere pubbliche? E' coerente e sicuro lo schema adottato nella procedura d'emergenza? L'inchiesta potrebbe, tanto per fare un esempio, portare ad una situazione in cui c'era un sistema corrotto, ma Bertolaso non era direttamente coinvolto (magari le escort erano un diversivo). Una condizione assurda in cui il plenipotenziario non ha visibilità e controllo sul processo che gli è affidato. Non è fantascienza, ma è proprio il senso della dichiarazione rilasciata oggi da Bertolaso al tg1 e, sia che il sottosegretario avesse ragione, sia che fosse direttamente corrotto, la politica dovrebbe assumersi le sue responsabilità. La scelta di ricorrere eccessivamente alla procedura d'emergenza è degli ultimi due Governi, in particolare di quello in carica, e se non han visto le lacune allora sono incapaci e co-responsabili.

P.S. Bertolaso mi pare abbia assunto un atteggiamento più dignitoso rispetto alle persone che lo acclamano. Ma è presto per dare giudizi definitivi.


Bookmark and Share

mercoledì 10 febbraio 2010

L'arte di non rispondere alle domande

Fin da quando sei piccolo ti insegnano una cosa banale: ad una domanda si deve rispondere con una risposta motivata e pertinente. La regola può conoscere eccezioni, ma se dovessi scegliere un campo dove non si possono accettare giustificazioni e vie di fuga, allora credo che esso sarebbe quello politico. Invece in Italia abbiamo la brutta abitudine di accettare che i nostri politichelli non rispondano alle domande, anzi il loro misero tentativo di evadere i problemi diventa un modello da imitare. E' un vero peccato che non sia utile per passare gli esami universitari, mi sa che i prof. sono comunisti per questa forma mentis bolscevica.

Anche ieri lo spettacolo offerto dal Ministro per grazia ricevuta (Sandro Bondi, l'ex comunista) è stato ripugnante. Dall'alto della sua saggezza, il sommo poeta si è sentito in dovere di bacchettare i servizi di Ballarò ed ha così evaso tutte le domande di Floris. Fin tanto che il PdL propone simili personaggi diventa difficile immaginare che in quel partito prevalga la meritocrazia, o qualsivoglia "principio liberale" tanto caro al nostro premier.

Sulle tasse i dati sono eloquenti: la pressione fiscale è aumentata. In un paese normale, con dei politici che veramente rappresentano il meglio della società, mi aspetterei delle risposte esaustive, in cui l'intervistato di turno è in grado di comprendere le dinamiche che spiegano i valori che può assumere l'indicatore. Fino a quando invece in tv ci vanno personaggi come Bondi, ovvero dei burocrati, la mia speranza sarà sempre disattesa. Davanti al dato della pressione fiscale in aumento si vede in genere una reazione isterica perché le menti, ormai abituate a lodare e non a pensare, non riescono a trovare una giustificazione razionale per descrivere il dato. La Ravetto a Telelombardia non ha saputo rispondere alle domande di Parenzo. Quando il conduttore le ha chiesto quali fossero le principali aliquote, lei sdegnata ha risposto che non era un esame di diritto tributario, ed è un vero peccato che poi quelle competenze siano invece necessarie per legiferare in modo attivo. Ma anche lei, come il Ministro dei beni culturali, ha mostrato disprezzo per le statistica, come se i numeri elaborato dagli enti internazionali fossero faziosi.

L'aumento della pressione fiscale su PIL è invece normale. In tempi di recessione il PIL cala, quindi il denominatore scende, mentre il nominatore ha una doppia dinamica. Le aliquote legate ai redditi, che complossivamente calano, decrescono (ma calano come il PIL?), mentre si può supporre che alcune imposte fisse (i famosi bolli, l'ICI..) restano costanti, e la loro incidenza percentuale su un denominatore più basso è maggiore. Magari ho scritto una cosa sbagliata, ma mi stupisce constatare che questi politici rifiutano il ragionamento, vivono il confronto sempre con il colpo in canna, ossessionati solo dal consenso popolare. Vivono il dibattito come una sfida, in cui bisogna urlare, interrompere il ragionamento, al solo fine di apparire come le persone che hanno la verità in tasca. Ma questi politichelli sono stati anche abituati a non spiegare nulla alla gente perché nessuno gli rende conto di quello che fanno, e perché il popolo italiano vive in una condizione di felice ignoranza.

Invece basterebbe poco. Iniziare a provare a capire le cose che non comprendiamo e cambiare l'atteggiamento rispetto ai numeri. Solo capendo come si formano si può arrivare a compiere l'ardua impresa di attribuire responsabilità e meriti, ma parte del PdL i meriti se li prende al mercato delle grida e, dall'alto della sua mediocrità, critica anche i  numeri che non gli danno alcuna colpa.

Bookmark and Share

domenica 7 febbraio 2010

Un uomo per tutte le stagioni

Dopo il lancio del Duomo, Berlusconi si è preso una pausa dovuta alle sue condizioni fisiche, ma ora che è tornato al 200% ce lo dobbiamo subire. Il viaggio in Israele, il litigio con Casini, gli attacchi ai giudici e le barzellette sulle tasse, sono la dimostrazione che il Presidente del Consiglio ha completamente recuperato un buono stato di salute.

Nel suo viaggio in Israele Berlusconi ha provato un salto mortale con avvitamento, ma l'esito non è stato dei migliori. Dapprima ha parlato al Parlamento Israeliano dove è arrivato a parlare dell'invasione di Gaza e l'ha definita una giusta reazione alle provocazioni palestinesi. Dopo poche ore ha però detto ad Abu Mazen di paragonare le vittime di Gaza all'Olocausto. Senza entrare nel merito della complessa questione medio-orientale, va ricordato che a Gaza sono morti civili palestinesi per mano dell'esercito israeliano. Non vi è dubbio che la situazione fosse tesa da tempo, e Israele si è sentita in dovere di proteggere i suoi confini, ma lascia perplessi l'affermazione del premier italiano che poteva cavarsela, diplomaticamente, invitando le due parti ad un accordo, senza ficcar naso nelle guerre passate. So che sarebbe stata la classica dichiarazione di circostanza, ma almeno sarebbe parsa coerente, mentre mi pare poco serio paragonare i morti alla Shoah e prima dire che chi ha ammazzato quelle persone ha fatto bene.

In Italia le tensioni nascono per il ruolo dell'UDC. Casini sta giocando a carte scoperte e vedremo quante sono le regioni in cui corre: da solo, con il centrosinistra e con il PdL. Al momento si sa per certo che nel Nord Italia non entrerà in coalizioni con la Lega Nord (per fortuna), mentre in alcune Regioni è possibile un'alleanza con il PD. L'unica Regione in cui mi pare che possa allearsi con il centrodestra è la Puglia, dove sembrerebbe che le scelte di Fitto non convincono il super capo.

Ma Berlusconi ha una bella gatta da pelare con le tasse. Dopo i colpi di sole d'inizio anno, con l'annuncio di un taglio seguito dalla smentita immediata, ecco che ieri ha annunciato di aver già abbassato le tasse. Mi aspetto già qualche dato di finto abbassamento, che in realtà non c'è stato perché il gettito si è contratto a causa della contrazione del PIL. Ma siamo arrivati ad essere così rimbambiti che ci serve una terza persona per capire se paghiamo più o meno tasse?

Il tema delle tasse si lega anche con lo stato di salute dei conti pubblici. Noi italiani siamo insensibili a questo argomento, ma, visto che tocca alcune realtà economiche europee, è bene iniziare a non sottovalutare la questione. Rispetto a politiche economicamente insostenibili (come ad esempio un taglio delle tasse pre elezioni), preferirei che questo Governo si assumesse la responsabilità di sanare il deficit che annualmente abbiamo. Possono farlo senza aumentare le tasse, basta solo essere più seri nella lotta all'evasione (mentre le scelte operative di Tremonti vanno nella direzione opposta) e tagliare le fonti d'inefficienza senza intaccare la qualità dei servizi. Ma se la politica sarà quella di risparmiare sull'istruzione (non s'è mai visto un paese che spende poco e ha un buon livello culturale) e mantenere il carrozzone di commissioni e istituzioni, allora non ci siamo proprio. Teniamo anche conto che tutte le statistiche mostrano che a livello di istruzione siamo il paese del G7 che investe meno nell'università (ma investivamo di più nella scuola dell'obbligo), mentre su altri temi, come ad esempio i costi della burocrazia, siamo quello che sperpera di più. La Casta (Stella, Rizzo) era stata piuttosto chiara su questo punto, ma tutti l'hanno applaudita, e nessuno l'ha usata.

sabato 6 febbraio 2010

Dalla parte di Marchionne

Grazie a Marchionne la società italiana ha trovato un punto d'accordo. Da quando i vertici Fiat hanno annunciato la futura chiusura di Termini Imerese, le agenzie di stampa continuano a raccogliere le dichiarazioni di personaggi che, incredibilmente, sembrerebbero pensarla allo stesso modo. Sindacati, ministri leghisti, sacerdoti, ex deputati dell'estrema sinistra, giornalisti filo Berlusconi, ecc..ormai tutto si è trasformato in un patetico teatrino in cui anche le istituzioni (vedi le banali parole di Schifani) si sentono in dovere di rilasciare il loro fondamentale contributo.

Va detto che questo "movimento di unità nazionale" (anti Fiat) è mosso da sentimenti diversi. C'è la contrapposizione ideologica di coloro che ragionano come se fossimo ancora nel diciannovesimo secolo, c'è l'odio per gli Agnelli che anima alcuni giornalisti di pseudo destra, c'è il tentativo della Chiesa di mostrarsi vicina ai più deboli e c'è il populismo di un Governo sempre premuroso quando si tratta di salvaguardare i sondaggi di popolarità. Tra tutte queste diverse motivazioni mi lascia basito la seconda. Non sarò così ingenuo da sostenere che la Fiat non abbia beneficiato per anni di finanziamenti diretti, o di incentivi che drogavano l'intero mercato dell'auto, ma se vogliamo guardare al domani, proponendo una soluzione "sostenibile", sarebbe forse arrivata l'ora di lasciare da parte gli errori storici, che sono da spartire tra la vecchia gestione e la politica d'un tempo.

La storia della Fiat ci impone una seria riflessione su quello che sono le società industriali nella nostra civiltà. Non serve avere un master per capire che la Fiat appartiene all'insieme di quelle imprese che hanno cavalcato il boom economico e, considerato l'immobilismo cui abbiamo assistito per anni, ogni ragionamento deve partire da lì. Negli anni del boom l'Italia era un mercato vergine, molti sistemi produttivi sono stati sovradimensionati perché qui si produceva a basso costo (rispetto al resto dell'Occidente) e c'era un mercato interno da esplorare e conquistare. L'arricchimento della popolazione italiana è coinciso con una saturazione del mercato dell'auto, ed è in quel momento che si è manifestato il grosso errore di fondo che nessuno analizza. Molti dei sistemi produttivi italiani non erano sostenibili sul lungo periodo perché offrivano dei prodotti in cui vi era un'enorme discrepanza tra la domanda iniziale (un'intera nazione da servire) e la domanda a regime, che era decisamente più ridotta.

E' da questo enigma di fondo che nasce l'insostenibilità sociale dell'azienda Fiat ,e piuttosto di sputare invidia sarebbe meglio riflettere sugli scenari allora, ed oggi, possibili. Se un'azienda è sovradimensionata rispetto alla domanda si possono avere due macro opportunità: o l'azienda riduce le sue dimensioni per essere ancora profittevole (libero mercato), o il mercato e i suoi bilanci vengono aggiustati con l'intervento degli enti pubblici che creano le condizioni per una "sostenibilità" forzata. In Italia s'è decisa la seconda strada. Fare ricadere tutta la colpa su Agnelli è stupido. La politica non ha voluto risolvere il dilemma, l'organizzazione è rimasta sovradimensionata, e la proprietà si è trovata nella condizione di non poter gestire in modo attivo la società. Il rinvio del problema, ed il mantenimento a tutti i costi degli stabilimenti, ha portato al continuo peggioramento della situazione perché oggi non è più conveniente produrre in Italia. E queste osservazioni non sono ciniche, ma realiste.

L'avvento di Marchionne è una forte rottura col passato. Questo management accetta la sfida di gestire attivamente la società, ma in cambio chiede solo di poter attuare quelle trasformazioni che rendono competitivo il gruppo che, è bene ricordare, non è un ente di volontariato. Se vogliamo che la Fiat non pesi più sui conti pubblici (anche se gli incentivi erano al settore) bisogna accettare la chiusura di qualche stabilimento che potrebbe essere accompagnata dall'espansione di altri stabilimenti italiani. Se altrimenti vogliamo salvaguardare questo assetto, allora avremmo, per l'ennesima volta, uno Stato che vincola e limita le scelte della proprietà, ed in cambio contribuisce a rendere l'azienda profittevole. Io non voglio questo, preferisco che Marchionne possa operare in totale autonomia e nel rispetto delle leggi e degli accordi formali presi.

I piagnistei dei Ministri del fare hanno invece il sapore delle lacrime di coccodrillo: quando diedero il benestare agli incentivi auto potevano obbligare la Fiat ad assumersi qualche impegno formale. Ma non l'han fatto, mentre in Francia, con la Renault, le cose sono andate diversamente.


Bookmark and Share

venerdì 5 febbraio 2010

Se il Corriere non trasforma le insinuazioni in fatti si è giocato la faccia

Il caso della settimana riguarda Antonio Di Pietro e i suoi rapporti con i servizi segreti americani. Il "Corriere della Sera" ha tirato fuori gli attributi per attaccare l'ex pm, ma forse sta facendo il passo più lungo della gamba, e si sta giocando una credibilità guadagnata con anni di giornalismo professionale.

Ieri sera Felice Cavallaro, lo Sherlock Holmes di Via Solferino, è stato pure ospite ad Annozero, dove ha difeso la linea del suo quotidiano. Per chi ancora non lo sapesse il caso è nato da una foto del 1992, in cui erano immortalati Contrada (ex Sisde, poi condannato per concorso in associazione esterna mafiosa) e l'allora pm di Mani Pulite. Sulla base di questa foto, che si dovrebbe riferire ad una cena organizzata da un maggiore dei Carabinieri, il giornalista del "Corriere" ha costruito un pezzo da "Giornale" o "Libero". L'articolo ha il vizio di essere caotico. Si mettono in relazione una serie di fatti che non necessariamente sono collegati (per questo è da Sherlock Holmes, ma non tutti hanno quell'intuito), ed il risultato più evidente consiste nel tentativo (riuscito) di alzare un polverone in cui non si distingue nulla. Perché mai c'è una relazione tra la foto con Contrada e il viaggio all'estero dopo la morte di Falcone? Chi ha detto che c'è un legame professionale tra due persone che pranzano assieme?

Qualcuno potrà scrivere che è inopportuno sentire certi discorsi da chi difende Travaglio. Un paragone semplice lo possiamo fare coi gol, sempre di gol si tratta, ma solo un sempliciotto può mettere sullo stesso piano un gol al parchetto e uno alla finale del Mondiale. Tornando all'articolo penso solo che Travaglio si è raramente abbassato a scrivere pezzi simili. Personalmente trovo i suoi articoli molto chiari e si distingue nettamente la tesi dagli excursus, che sono fatti per approfondire qualche argomento / evento. Qui la tesi è invece debole, e si prova ad illudere il lettore dando all'excursus un'importanza che non può, e non deve, avere. E' e deve essere un contorno per contestualizzare, non può essere l'unico elemento portante.

Il sillogismo che sta dietro all'articolo è semplice. Si parte con la foto che, anche a detta del giornalista, si riferisce ad una cena innocente tra forze dell'ordine. Ma allora perché la si pubblica? La risposta è semplice, perché Di Pietro voleva farla sparire. Per il "Corriere" il mistero parte da questa volontà dell'ex pm, se la foto è innocente perché vuole toglierla dalla circolazione? Che enigma! Provo a fare l'avvocato del diavolo. Non è che forse è perché la foto ritrae un magistrato con un funzionario dello Stato poi condannato per mafia? Senza fare troppa dietrologia mi sembra la spiegazione più ovvia. Se mi fanno una foto con uno che poi viene condannato per qualche reato grave, non farei i salti di gioia se poi qualcuno la mettesse su facebook.

Ma al "Corriere" una tale domanda è più che sufficiente per iniziare la campagna dei se e dei ma. La scusa poi è buona perché, come è stato detto ieri, bisogna dare ai lettori la possibilità di giudicare. Scusa vera e il giornalista rilancia ricordando che anche lo scoop sulle escort è stato fatto dallo stesso quotidiano. Se questa è la concezione che De Bortoli ha di "par condicio" allora stiamo freschi.

L'illusione del "potere ai lettori" puzza di fallimento come le teorie economiche che si fondano sulla perfetta informazione del mercato. Per chi non lo sapesse siamo in una società dove siamo bombardati da informazioni, e i giornali devono selezionare ciò che ritengono rilevanti da ciò che non lo è. In genere una buona discriminante consiste nel dividere i fatti dalle ipotesi, cosa che non solo determina l'utilità di un quotidiano, ma è l'essenza dell'informazione. Un giornalismo che pretende di pubblicare foto in nome del diritto dei cittadini a fantasticare è un giornalismo di serie z. Alla stampa chiedo di darmi certezze, di darmi fatti e di non lasciare che sfogliando un quotidiano e leggendo un articolo debba costruirmi un bel viaggio su ciò che sarebbe potuto accadere nel 1992 in Italia. La mia giornata dura 24 ore, e non ho la possibilità di permettermi il lusso di verificare l'attendibilità per distinguere un fatto da un'opinione: penso sia compito del "Corriere" preoccuparsi di fare un serio pre filtraggio senza abbassarsi al livello di qualche altro pseudo-giornale che fa disinformazione professionale.

Poniamo un'ipotesi tra le tante. Pensiamo che questo signore Di Domenico che accusa Di Pietro, e che ha perso 19 querele contro l'ex pm, è effettivamente un grafomane. Che si fa? Come si rimedia alle insinuazioni fatte su Di Pietro. E attenzione, lo stesso vale per Ciancimino, per Spatuzza quando parlano di Berlusconi (che considero inadeguato per il ruolo di Presidente del Consiglio e non un mafioso).

Fare informazione non è facile e quando si parla di "politica e dietrologia" si chiede ai giornalisti di essere seri, senza occultare le ipotesi, ma chiarendo fin dal principio che sono diverse dai fatti. Il lettore non ha il tempo di distinguere, e magari non leggerà le rettifiche. Un giornalista serio dovrebbe saperlo perché il lettore raramente cerca domande, ma vuole sempre risposte. E in questi articoli del Corriere ci sono tante osservazioni che però nessun giornalista ha messo in ordine causale. Senza conferme è spazzatura disordinata.

Su altri argomenti invece i giornali decenti sono stati chiari nel distinguere le ipotesi dai fatti.

P.S. se poi si critica Di Pietro si potrebbe utilizzare parte del pensiero di Luca Josi (ex PSI). Invece di giocare al piccolo chimico si potrebbe fare una semplice domandina all'ex pm: non crede che sia inopportuno che un ex magistrato che ha scoperchiato un sistema politico (marcio) sia poi entrato in politica sostituendo il sistema che ha eliminato? Tutto il resto sono cazzate.

Bookmark and Share

giovedì 4 febbraio 2010

Toronto vince e consolida il quinto posto

La stagione regolare della Nba ha da poco superato il primo giro di boa, e i Toronto Raptors ,con 27 vittorie e 23 sconfitte, stanno difendendo la quinta posizione della Eastern Conference. Ieri sera i canadesi hanno avuto la meglio sui non irresistibili New Jersey Nets (peggior squadra della Nba con 4 vinte su 48) ed ora hanno 4,5 gare di vantaggio sui Milwaukee Bucks, che sono attualmente la prima delle escluse dai playoff.

Bargnani, dopo il career high di 34 punti contro Indiana, ne ha segnati altri 20, mentre Belinelli è stato tolto dal quintetto base e ha contribuito alla causa con solo 6 punti. Complessivamente la stagione dei due italiani è positiva. Bargnani, dopo i due anni e mezzo altalenanti sotto la gestione Mitchell, ha finalmente fatto il salto di qualità che tutti si aspettavano. In questa stagione viaggia con 17,6 punti a partita (suo massimo), e rispetto alle passate annate ha incrementato il minutaggio medio e il numero di rimbalzi a partita. L'aspetto che più convince è la continuità trovata in fase offensiva. Il Bargnani dei primi due anni e mezzo di Nba era un giocatore che alternava una partita monstre ad una modesta. Si affidava ostinatamente al tiro da fuori, e in difesa era troppo "leggero". Ora invece ha alternato le soluzioni: si affida meno al tiro da tre, ma è più incisivo quando attacca il ferro. Questa stagione del Mago giustifica l'investimento fatto dai Raptors, che non meno di un anno fa avevano rinnovato il suo contratto proponendone uno da 10 mln a stagione.

Anche la stagione di Belinelli è più che positiva. Forse il bolognese si aspettava un maggiore minutaggio rispetto ai 19 minuti di media, ma di certo ai Raptors ha trovato la possibilità di mostrare il suo reale valore. Belinelli oggi è un "guastatore", e Triano lo usa in modo tale da valorizzarne le qualità offensive. I punti per partita sono praticamente gli stessi dell'anno scorso, ma quest'anno l'ex fortitudo gioca in una squadra vincente (mentre i GSW sono un po' caotici) ed ha un ruolo chiaro nel team (mentre l'anno scorso passava dal quintetto alla tribuna). L'unica nota dolente è l'incisività in fase difensiva. Nell'ultima sconfitta con Indiana, Triano ha schierato Belinelli in quintetto e, purtroppo, questa promozione, dovuta all'infortunio di Turkoglu, è coincisa con un'inaspettata debacle dei Raptors, apparsi fragili e spaesati in difesa.