La retorica del Governo cattivo e dei sindacati che difendono i diritti dei più deboli, mi lascia alquanto perplesso. Sarà per la mia giovane età, ma fatico a comprendere la polemica sugli esodati. O meglio, capisco quanto sia antipatica la situazione (cambiano le regole del gioco), ma penso che ci si dimentica di fare uno più uno e collegare dati apparentemente sconnessi. Ammetto il mio conflitto d’interessi (sono giovane), ma ne vedo uno grosso come una casa tra i sindacati che, legittimamente, tutelano l’interesse dei loro affiliati. Per carità, la cosa è giusta, però almeno si potrebbe evitare tutto il teatrino.
In una fase storica in cui una percentuale compresa tra il 30% e il 40% dei giovani è stabilmente disoccupata, nessuno fa la domanda più logica: ma perché a fronte di un certo numero di esodati abbiamo una disoccupazione giovanile alta? Se i sindacati avessero a cuore il bene del paese, dovrebbero ammettere che non hanno mai pensato, in nessuna fase storica, di inserire nelle trattative con le aziende (intendo le trattative per definire la buonuscita degli esodati) una clausola per assicurare un doveroso ricambio generazionale.
Sono diverse le motivazioni che inducono le aziende ad un accordo sindacale che ha per termine l'esodo di personale.Il primo e più diffuso è sicuramente lo stato di crisi dell'azienda,va da se che se l'azienda riesce a lincenziare un tot numero di dipendenti,non ne assumerà altrettanti,sia che l'accordo lo preveda o no.Quindi ad un certo numero di esodati non corrisponde un altrettanto numero di assunti,sia giovani che non.Poi ci sono le aziende che terminano tutto o in parte il loro ciclo produttivo,ed anche queste,soprattutto nel primo caso non assumeranno nessuno,e non credo che i sindacati abbiano margine di trattativa per far assumere dei giovani al posto degli esodati.
RispondiEliminaQuesti a mio modesto pare sono i motivi principali che non hanno permesso il cambio generazionale sui posti di lavoro.
Saluti
Antonio
grazie Antonio. Condivido pienamente la tua spiegazione che determina uno squilibrio tra giovani e genitori. I primi senza lavoro, i secondi incentivati per abbandonarlo. In questo modo la ricchezza non si distribuisce in modo non dico uniforme, ma equo, e si finisce per avere una generazione che spesso non può essere indipendente.
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