domenica 17 aprile 2011

Quale futuro per un paese arrogante (e ignorante)?

Altro giro, altro temino. Dopo l'articolo pro-nucleare, in cui il professor Panebianco rivendicava la scelta nuclearista in nome di un'analisi pressapochista sul rapporto tra rischio e progresso, ecco un nuovo imperdibile pezzo sui mali dell'Italia e sulla contrapposizione destra / sinistra. Gaber ci aveva fatto una canzone ironica, il professor Panebianco usa lo stesso buonismo per fare un articolo serio. Alè.

Tornando al nucleare trovavo che l'articolo fosse superficiale perché veniva banalizzato il tema: non v'è dubbio che qualunque attività porti in dote un certo livello di rischiosità, ma non per questo possiamo dire che tutte le attività sono uguali, poiché ciascuna deve essere associata al livello di rischio che la distingue. Chi lavora, o ha studiato la finanza (o tutte e due) sa che il mercato si regge su due principi. In primis sulla relazione rendimento / rischio: comprare un'obbligazione decennale dal tesoro Italiano comporta l'assunzione di un rischio diverso all'analogo titolo di stato tedesco, francese (meno rischiosi), portoghese e greco (più rischiosi). La seconda architrave è la percezione / propensione al rischio, infatti lo stesso investimento per diversi soggetti può generare livelli di utilità differenti, perciò ciò che per me rappresenta un grande affare può essere per altri un'autentica sola. Queste due basi le traslerei sul tema del nucleare per precisare che quando una scelta influenza pesantamente la vita delle persone (a Fukushima la gente deve abbandonare la propria abitazione se vive nel raggio di 30Km dalla centrale) bisogna lasciare al popolo la possibilità di scegliere in base a come percepisce il rischio. La mia scelta antinucleare non è dettata dalla paura, ma, in termini brutali, dalla volontà di non avere preoccupazioni perché trovo che il rischio nucleare non sia accettabile. In secondo luogo trovo che il problema non si risolve costruendo nuove centrali, ma bisogna intervenire affinché si riducano i livelli di domanda interna (efficienza energetica, non usare l'auto per andare a pisciare...).

L'articolo di oggi invece affronta il tema destra / sinistra e ci spiega che non siamo disposti ad ascoltare le ragioni degli altri. Se devo essere sincero penso che un discorso simile sia figlio della retorica buonista e perbenista che riscuote successo nell'Italia intera. Uso la parola "buonista" perché dovremmo iniziare a chiamare le cose col nome che si meritano. Non tutte le idee sono degne di attenzione, le "cazzate" vanno chiamate con questo appellativo, e se non ascolto i deliri di qualche vassallo o di qualche vecchio arricchito, non mi sento cafone, ma penso solo di fare buon uso del mio arbitrio. I mali dell'Italia sono tre: 1) vittimismo diffuso, 2) uso sproporzionato del buon senso, 3) banalizzazione dei problemi. Il mostro si regge su queste premesse.

Il vittimismo lo coltiviamo dalla culla. A sei / sette anni i pargoli sono geni incompresi da professori incapaci e se non giocano titolari nella scuola calcio è per via di allenatori incapaci. La sfortuna si accanisce con i nostri giovani eroi che fino ai 18 anni incappano in educatori inadeguati. Poi, col passare degli anni, arrivano arbitri incapaci, docenti universitari raccomandati, burocrati che soffocano il genio ed infine magistrati comunisti. Il vittimismo ci rende forti e stronzi perché ci porta  a negare tutte le responsabilità: noi siamo perfetti e se non sfondiamo è per via di eventi esogeni contro cui non possiamo nulla (non dimentichiamo la percentuale altissima di "colleghi leccaculo" e di "capi stronzi e ignoranti"). Sempre colpa degli altri, noi invece siamo belli e bravi. Il paese dei geni incompresi si regge su queste basi e in questo modo siamo autorizzati a delegittimare i successi del nostro vicino di casa o del nostro collega. Attenzione, anche negli States c'è il culto della persona (fin da piccolo ti educano a pensare che sei il migliore), ma questo si accompagna ad un rispetto altissimo per istituzioni e controllori. In pratica si crea un sistema equilibrato in cui dai tutte le forze per emergere, ma al tempo stesso hai fiducia in chi ti valuta / promuove.

L'uso sproporzionato del buon senso è un altro male. All'innamorato che si rende ridicolo nel suo egocentrismo infantile non si può dire nulla: in amore tutto è concesso. Ai genitori che viziano ai figli non si può dire nulla: i figli sono le stelle. Vige la regola del manichiesmo degli idioti: se è una cosa non è bianca, allora deve essere nera. E' giusto vietare ai genitori di concedere qualunque vizio ai figli? No, quindi gli si può concedere tutto. Su queste basi logiche fanno incetta di consensi quei partiti politici che parlano alla pancia, e parlare alla pancia non è mai un merito di cui vantarsi. Sul buon senso poi credo che se ne faccia troppo affidamento, basterebbe ricordare cosa diceva La Rochefoucauld  ("troviamo del buon senso solo nelle persone che la pensano come noi"), per capire che col buon senso si può stampare la carta igienica.

L'ultimo tema è la banalizzazione dei problemi. L'immigrazione si risolve col "fora di ball", i giovani "non sono umili e non vogliono fare certi mestieri". Poi per i problemi si perde tempo a discutere sugli slogan ("processo breve", "meritocrazia") dimenticando che una corda non basta per fare un impiccato (cit), e le cose si valutano nel merito. Se bastassero tre luoghi comuni e tre slogan potremmo progettare dei robot superefficienti che svolgono il ruolo dei pagliacci che legiferano. Invece queste attività devono essere svolte da uomini proprio perché è vitale la capacità di distinguere le qualità, di valutare le sfumature per vedere cosa si cela dietro l'abito usato per nominare le cose. La banalizzazione dei problemi si combina con i due punti sopra e crea l'Italia in cui viviamo: arroganza e scarsa capacità autocritica (punto 1), uso di mezzi di valutazione arcaici e inadeguati (punto 2), scarsa capacità di percepire la complessità (punto 3), il mostro è servito. Einstein diceva "make everything as simple as possible, but not simpler", chissà cosa direbbe se guardasse alla politica italiana.

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