L'Italia è più vicina all'Indonesia rispetto al Giappone (Free Map dice che Tokyo è a 9.864 km da Roma, mentre Phuket dista 9.075 km), ma penso che la catastrofe giapponese ci tocchi più da vicino rispetto a quella indonesiana. Quando si verificano terremoti o tsunami in paesi che consideriamo inferiori al nostro (Haiti, Iran, Indonesia, certe regioni della Cina) tendiamo a pensare che i danni, provocati da quei disastri, siano stati accentuati dalla carenza di infrastrutture e controlli che caratterizza quelle nazioni. Nel caso del Giappone il discorso cambia perché parliamo di un paese appartenente al G8; di una nazione che ha saputo convivere col rischio senza affidarsi a superstizioni e santini; di un popolo che dopo un conflitto mondiale perso per ko, ha saputo rimboccarsi le maniche, ha inseguito la manifattura occidentale, e a un certo punto l'ha anche superata, introducendo delle innovazioni fondamentali nei campi della tecnologia e della gestione dei sistemi logistico - produttivi. Il Giappone non è un paese in cui le case sono di paglia, e non ha nemmeno l'aria di essere un luogo in cui regna quell'abusivismo tipico di alcune aree del nostro paese. Ma tutta questa precisione, tutta questa prevenzione, non ha potuto nulla davanti alla furia della natura.
In Italia la politica ha dimostrato di non aver capito nulla (sai che novità). Cicchitto, quello che aveva la tessera del circolo di caccia e pesca (P2), rassicura tutti ricordando che il programma nucleare andrà avanti comunque. Lo stesso mantra è ripetuto da quei politici che hanno fatto qualche promessa di troppo all'aziende che già si fregano le dita immaginando i benefici economici derivanti dalla costruzione (e gestione) delle centrali. Chicco Testa (un uomo un perché, da Legambiente al Forum Nucleare, come se Vendola diventasse capo di Forza Nuova e Storace presidente di Rifondazione Comunista) va in tv a dire che il nucleare è sicuro e il terremoto è la prova lampante. Anche un intelligente giornalista come Oscar Giannino si è lanciato in una frettolosa analisi pro-nucleare sostenendo che le centrali hanno retto alla grande (infatti hanno evacuato solo 150mila persone). In tutte queste dichiarazioni si legge paura: c'è il timore di ottenere un nuovo effetto Chernobyl con il referendum previsto per giugno, e allora si prova a rassicurare l'opinione pubblica, dimenticando però alcune questioni basilari, prima fra tutte il fatto che gli effetti di un incidente nucleare non possono essere valutati dopo 96 ore.
La scelta di tornare al nucleare passa anche per la nostra avversione / propensione al rischio. I cittadini vanno informati su questo fatto e ognuno deve fare una valutazione personale. Nella scienza una probabilità pari al 99,9% non equivale ad una certezza, anche perché ad un'analisi preventiva è possibile assegnare delle probabilità ai diversi scenari che ipotizziamo, ma in futuro possiamo stare pur certi su una sola cosa: tra le tante ipotesi, mutuamente esclusive, che abbiamo formulato se ne realizzerà una sola. Studiare le conseguenze dello scenario cui associamo uno 0,01% di probabilità non è un esercizio di retorica, ma è un'attività estramamente importante (anche per il discorso sulla propensione al rischio). Per esempio spesso leggiamo che il fumo è significativamente correlato con alcune patologie, ma non possiamo dire con certezza quale sarà il futuro riservato a ciascun individuo (non abbiamo strumenti per capire chi si ammalerà e chi no), si va per probabilità. Nel caso del nucleare è opportuno considerare quali sono gli eventi capaci di trasformare un'attività industriale (produzione di energia) in una minaccia per la popolazione. Le variabili in grado di far verificare lo scenario pessimistico sono due: l'uomo (Chernobyl) e la natura. Per arginare la prima si possono adottare particolari procedure organizzative e si possono predisporre dei sistemi di controllo capaci di correggere gli errori umani. Il discorso diventa diverso nel secondo caso. Non abbiamo la capacità di prevedere con precisione i terremoti, quindi partendo da una conoscenza di base da affinare (sennò potremmo fare previsioni migliori) si ricorre a delle stime. Di sicuro gli scienziati dispongono di stime puntuali per definire la probabilità che in una certa area si verifichi da qui a n anni un terremoto con potenza pari o superiore ad un certo livello della scala Richter. Costruiamo gli impianti per resistere a quel livello, ma per quanto ci sforziamo non possiamo dare per certa una variabile aleatoria, e ci sarà sempre una coda di probabilità che sfugge alla nostra attività di prevenzione. In Giappone il super terremoto di 8,9 gradi ha colpito impianti costruiti per resistere a 8,5 gradi della scala Richter. E' presto per capire gli effetti delle esplosioni, ma di certo possiamo dire che una certezza non può mai essere aleatoria. Una sicurezza al 100% non la può garantire nessuno. Chi lo fa dovrebbe avere il coraggio di mettere qualche garanzia personale, altrimenti è un mascalzone.
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