sabato 6 luglio 2013

Belinelli agli Spurs e il trionfo della tenacia

La carriera NBA di Marco Belinelli è una storia che merita di essere raccontata. E soprattutto merita un lieto fine. Nel 2007 l'italiano partecipa al Draft dove viene scelto con la 18a scelta dai Golden State Warriors. In molti sono scettici perché Belinelli, essendo una guardia, andava a competere in un ruolo in cui gli americani hanno problemi di abbondanza. Don Nelson, allenatore della franchigia californiana, spendeva sin da subito parole d'elogio per Belinelli (I think he's sensational). Parole false, o come minimo frettolose, perché i due anni della guardia italiana nei Warriors non sono indimenticabili. Durante il primo anno appare (è il caso di usare questo verbo) in 33 partite di regular season (quindi sono più le gare in cui non mette piede in campo - 49). Di quell'anno si ricordano i troppi, malinconici garbage time, in cui il Beli doveva praticamente lottare con i compagni di squadra per avere la possibilità di fare qualche punto. Sì, perché il garbage time, vale a dire i minuti finali di partite in cui il punteggio è già definito, sono l'unica vetrina per i disperati esclusi dalle rotazioni, e si trasformano in una gara per mettere a referto qualche statistica (gli americani sul tema sono maniacali, basta guardare il sito del NBA). Ma almeno quell'anno il record dei Warriors era positivo, e non era la prima volta che un rookie europeo veniva platealmente escluso dalle rotazioni che contano. Insomma si poteva accettare un inizio così duro, mentre restava inaccettabile il soprannome scelto per il Beli: "The Cookie Monster" non può essere un vanto.

L'incredibile avviene l'anno dopo. Don Nelson usa Belinelli in modo schizofrenico. Partite in cui l'italiano è in quintetto ed è trattato come se fosse il principale terminale offensivo (vedi la vittoria in casa con Boston), si alternano a partire in cui viene umiliato con rotazioni ai limiti del mobbing (NY). Le statistiche migliorano, ma non c'è il salto di qualità atteso. A fine anno l'addio ai GSW è la soluzione più logica, ma il passaggio a Toronto non produce la svolta attesa: Belinelli, nella considerazione degli addetti ai lavori, resta una guardia tiratrice, debole in difesa. 

La prima vera svolta arriva l'anno dopo con il passaggio ai New Orleans Hornets dove si ritrova ad essere guardia titolare al fianco di Chris Paul. Belinelli acquisisce fiducia, per la prima volta chiude l'anno con più di dieci punti di media a partita e fa anche un giro nei playoff, dove gli Hornets vengono eliminati per 4-2 ai Lakers. Poi un anno di transizione sempre negli Hornets, ma stavolta privi di Paul, partito per Los Angeles sponda Clippers, e ambizione. Quindi la seconda svolta con il passaggio ai Bulls. Belinelli dimostra di stare a pieno diritto nella NBA. L'inizio non è dei migliori perché Thibodeau non si fida delle capacità difensive dell'azzurro, ma poco per volta Belinelli conquista fiducia e minuti, e finisce per giocare due serie di playoff da protagonista. Certo, la serie con Miami ha mostrato che Belinelli non è Dwayne Wade e nemmeno LeBron James (ma chi pensava il contrario?), non sarà mai ai loro livelli e difficilmente sarà titolare fisso in un team che punta al titolo, ma quanto fatto vedere nell'anno dei Bulls, era semplicemente inimagginabile pensando al terribile inizio.

Adesso si preannuncia la terza svolta. La firma di un contratto da free agent con gli Spurs è un momento chiave per le motivazioni che hanno guidato la scelta della guardia italiana. Chiariamo sin da subito che è evidente come vi sia una bella differenza tra chi rinuncia a $3mln per guadagnare comunque una cifra simile, e il modesto dipendente che rinuncia a qualche centinaia di euro. Ma resta comunque un fatto constatare come Belinelli abbia preferito gli Spurs, nonostante offrissero meno soldi (ha firmato un biennale da $6mln, Cleveland si dice ne offrisse 9), perché vuole imparare (e trova Popovich, un maestro) e giocare in un team che punta in alto. Non è cosa da poco in quel fantastico circo che risponde al nome di NBA, e forse è la spiegazione più semplice per capire le enormi motivazioni che hanno spinto questo ragazzo a non mollare, a migliorarsi poco per volta e a credere sempre nei suoi mezzi. Un bravo se lo merita tutto.

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