Il mercato appena concluso certifica l'involuzione del calcio italiano. Gli anni scorsi era già suonato più di un campanello d'allarme. Basta pensare al crollo dell'Italia nel ranking Uefa, con conseguente riduzione del numero di club italiani ammessi alla Champions League, e valutare senza paraocchi il saldo tecnico delle sessioni di mercato (ove per saldo tecnico si intende la differenza tra chi arriva in Serie A e chi l'abbandona). Ma nonostante questi fatti oggettivi, c'è stata anche la volontà di difendere il valore attribuito al prodotto da vendere. Di conseguenza le valutazioni critiche sullo stato di salute dei club italiani sono sempre passate in secondo piano, e per ogni fatto c'era una scusa buona per non ammettere il ridimensionamento in corso. Se il Ranking Uefa scendeva solo una minoranza osava constatare che il livello medio della Serie A era in calo, mentre la maggioranza preferiva la forma alla sostanza, criticando i meccanismi di calcolo del ranking, in particolare rilevando che i club italiani snobbavano la Coppa Uefa proprio perché preferivano concentrare le loro risorse sul duro campionato. Tipico atteggiamento da fiaba di Esopo ("la volpe e l'uva" per chi non l'avesse capito). Per non parlare del saldo tecnico dove la capacità di fuoco dei nuovi paperoni (sceicchi, russi) diventava una scusa etica per giustificare le cessioni illustri. Come se invece c'era un'etica quando i soldi giravano in Italia e i Berlusconi, gli Agnelli ed i Moratti (senza contare quelli che per stare al loro passo hanno poi perso la proprietà dei rispettivi club), spadroneggiavano in tutta Europa applicando la stessa scellerata politica dei nuovi ricchi, ossia ingaggi raddoppiati e cartellini strapagati.
In tutto questo ci possiamo anche consolare con i tre pareggi in tre giornate del PSG. Possiamo pensare che tutto sommato Ibrahimovic, Thiago Silva, Thiago Motta, Verratti, Pastore, Menez, Lavezzi, Maxwell e Sirigu, non siano una perdita incolmabile. Ma i primi problemi sorgono constatando che non sono arrivati dall'estero giocatori di grido. Emblematico il caso della Juventus, vale a dire i campioni in carica, negli ultimi ha dovuto sempre ripiegare su scarti della Premier e della Liga. Anni fa trattò Xabi Alonso e si ritrovò con Poulsen, oggi invece si è partiti da Van Persie e ci si ritrova Bendtner. Sia chiaro, probabilmente il centravanti danese farà bene perché è un buon giocatore, ma non ha l'identikit del nome di grido che parte della tifoseria attendeva. E non ne faccio una colpa a Marotta ed Agnelli, semplicemente penso sia doveroso constatare che alcuni giocatori non sono alla portata dei club italiani. Se Galliani può affermare, senza poter essere smentito, che De Jong "fra tutti i giocatori arrivati dall'estero, in questo momento è quello con il nome più pesante", c'è qualcosa che non va. Siamo alle nozze coi fichi secchi (cit).
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